Ma a cosa serve l'intersezionalità?
Volevo intitolarla "Tutti intersezionali con la marginalizzazione degli altri" ma non so perché non mi suonava bene.
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Ciao! Chissà se anche tu, come me, qualche giorno fa hai avuto un brusco risveglio… Eh, sì. Alla fine in America hanno eletto quello condannato per 34 capi d’accusa, che ha organizzato un colpo di stato mezzo riuscito, che ha sottratto documenti secretati e con ogni probabilità li ha anche venduti, colpevole di frode fiscale, di violenza sessuale, di diffamazione, di cospirazione, responsabile della diffusione di più di 10.000 notizie false (c’è chi le ha contate), palesemente in preda alla demenza senile, sessista, razzista, classista ma ehi… almeno non è una donna di colore, dai!
E mentre The Donald gongola perché ora che è di nuovo il re del mondo può cancellare con un colpo di spugna tutti i suoi processi e le relative condanne, qui su Patrilineare diventa sempre più impellente (ri)parlare di intersezionalità. Perché la battuta d’esordio - una variazione su un tema che si può trovare un po’ su tutti i social nei canali dem - esemplifica in modo molto chiaro il concetto del privilegio e della marginalizzazione. Kamala Harris è stata fortissima, ci ha fatto sperare e palpitare ma il suo viaggio è stato troppo più difficile di quello di Donald Trump. Perché lei, per almeno due “dimensioni” (le più importanti: genere e razza) è una persona marginalizzata.1
Voglio riprendere l’intersezionalità perché si tratta di un impianto teorico che veramente aiuta a vedere meglio le storture del mondo, anche se - è innegabile - negli ultimi 6 o 7 anni in cui il termine è diventato “di moda” si è portato dietro una serie di fraintendimenti e utilizzi peculiari tanto da essere diventato ormai una buzzword, una parola bandiera, utile a posizionarsi in un certo modo all’interno di una galassia di femminismi più o meno noti. “Sono unə femminista intersezionale” sta a significare che non ti occupi solo di questioni di genere ma anche di razza, di classe, di disabilità, di scolarità… eccetera.
Allora: cosa si intende per intersezionalità. Intanto è un termine abbastanza nuovo, introdotto nel 1989 dalla giurista americana Kimberlé Crenshaw2 per definire un concetto già noto al femminismo black degli anni ‘70 (pensiamo ad Angela Davis). L’idea è che esistano diversi ruoli sociali che si intersecano nella vita di una persona, e che questi ruoli sociali costituiscano delle “dimensioni” (o delle “assi”) in base ai quali vengono agite determinate oppressioni, discriminazioni, marginalizzazioni. La teoria intersezionale prevede infatti che all’estremo di una determinata dimensione ci sia il ruolo nella sua forma di maggior potere e all’altro estremo lo stesso ruolo sociale nella sua forma di maggior marginalizzazione.
Ne abbiamo già parlato in una delle prime uscite di Patrilineare, perché è strettamente legato al concetto di privilegio, e in particolare al privilegio del maschio bianco etero cis ricco bello adulto abile e istruito. Il privilegio, dicevo in quella uscita, è quello che determina i vari -ismi (sessismo, razzismo, abilismo, etc.) e avevo parlato di una “ruota della sopraffazione”.
Sei andato a leggerti quella vecchia uscita? Hai capito la storia della ruota? Beh, eccoci di nuovo qui a parlarne, ma con una vera ruota disegnata bene da Fondazione Libellula che mi ha dato il permesso di usarla: eccola qua. Come la spiego io a parole è sicuramente una roba confusa, come l’hanno visualizzata loro salta subito all’occhio. Se tutti i tuoi ruoli sociali sono vicini al centro, sei una persona privilegiata, quando non - probabilmente - un oppressore, anche inconsapevole. Se hai qualche caratteristica che si sposta verso l’esterno della ruota, hai dei tratti per cui potresti essere tu la persona oppressa di turno. Kimberlé Crenshaw, donna e nera, ovviamente metteva l’accento sul fatto che genere e colore della pelle “si intersecano” facendo sì che una donna nera abbia meno privilegi di una donna bianca. E si potrebbe andare avanti: una donna nera senza permesso di soggiorno e magari omosessuale, e magari disabile? Ancora meno privilegi!3
La ruota del potere e del privilegio © Fondazione Libellula
Ognuno di noi in qualche modo può “scoprirsi oppressə” osservando questa ruota. Posso essere un uomo bianco di successo, ma magari sono neurodivergente e fortemente sovrappeso, e non avrò mai lo stesso status sociale degli altri uomini. Oppure ho tutti i crismi del "potere”, ma mi manca l’istruzione, il lavoro stabile e vivo in una condizione economica precaria: volerò agli occhi di chiunque mi parli di privilegio maschile e sicuramente voterò i candidati più a destra possibile, che sappiano assecondare la mia rabbia, blandire le mie paure e ripropormi costantemente una visione monodimensionale del mondo opponendosi a qualsiasi tentativo di interpretare la complessità.4
Quello che è importante tenere a mente, e che viene ben spiegato da nel suo ultimo saggio “Il femminismo non è un brand”, è che l’intersezionalità non determina gli individui, determina delle forme di oppressione sociale. Se ci basiamo sulla ruota di cui sopra, non è il caso di usarla semplicisticamente per dire “io sono un maschio bianco cisgender, laureato ma precario" o “io sono una donna nera transgender con un lavoro stabile e un buon livello di ricchezza” e in sostanza fare una raccolta di figurine tipo “Indovina chi?”5 facendo a gara a chi è più discriminato o peggio determinando delle user personas cui poter vendere qualcosa - un prodotto o un’idea. Il concetto di intersezionalità risale agli anni ‘80, ma è esploso nel dibattito pubblico nel 2017 a seguito dell’inizio della prima amministrazione Trump e dell’emergere del movimento #MeToo. A distanza di pochi anni, però, si è perso un po’ il senso originario: si tratta di una lente teorica con cui guardare la società, non il singolo individuo.
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In particolare, non si tratta - come ha ribadito la stessa Crenshaw in un’intervista a Vox.com citata anche da Guerra nel suo saggio6 - di usare l’intersezionalità per generare una sorta di “classifica degli oppressi” in cui in cima alla catena alimentare c’è il diabolico maschio bianco etero che opprime tutte le altre soggettività. L’intersezionalità non è un bastone con cui minacciare le persone in condizione di maggior potere (incidentalmente, la locuzione “maschio bianco etero” tanto odiata dai conservatori viene proprio da qui). Purtroppo, però, nella pratica comune chiedere a un maschio di riconoscere il proprio privilegio spesso sottintende una sorta di richiesta di “espiazione” che il maschio - soprattutto quello di destra - rifiuta in blocco. Quando invece, riconoscere il privilegio dovrebbe essere semplicemente lo step iniziale necessario per impegnarsi a cambiare la realtà, e riflettere sull’intersezionalità dovrebbe servire essenzialmente a capire le dinamiche sociali per provare a cambiarle in meglio dove possibile.
Chi riflette sull’intersezionalità in modo superficiale (sono io il primo spesso a farlo) si ferma alla dicotomia potere/marginalizzazione, privilegio/oppressione ed è portato a fare semplicisticamente una somma o sottrazione di privilegi trasformando l’intersezionalità in una questione individuale. Peraltro, questa riflessione non ha nemmeno molto senso farla solo a livello individuale, perché per carità, capisco molte cose e mi sembra che tutto sia illuminato, ma poi? Posso cambiare atteggiamento io, ma le soggettività oppresse rimangono oppresse. La lente dell’intersezionalità dovrebbe essere utilizzata a livello collettivo, come strumento per costruire una proposta politica alternativa al capitalismo che oggi ha ormai cannibalizzato anche un certo tipo di femminismo "di facciata" e lo ripropone sotto forma di empowerment femminile, superamento del gender pay gap,7 etc.
Ma essere femminista - e vorrei dire, scusami se vado sul politico, essere di sinistra - non è questione di "potere su" o "potere di", ma di "potere con". Un potere che abbiamo tutti insieme e che viene usato per cambiare le cose. E ora chiudo questo flusso di coscienza che mi sta sfuggendo di mano riportando qui sotto una cosa che un lettore (credo) di Patrilineare ha scritto in una chat8 citandomi e che mi trova tristemente molto d’accordo.
A mio avviso essere di sinistra significa abbracciare la complessità del mondo che ci circonda ed è necessario spiegarla alla gente, perché è facile dare risposte semplici per acquisire consenso. Prima c'erano le sedi di partito, c'erano i dopolavoro dove i corpi intermedi riuscivano sul campo a raggiungere le persone, generare dibattito e raccogliere consenso. Oggi con la privatizzazione della politica nata da Mani Pulite e dal populismo solo chi ha soldi può fare politica e quindi arrivano alle persone solo i messaggi che fanno comodo al famoso 1%. È veramente difficile oggi per chi, come me, fa politica in un piccolo partito di sinistra riuscire a raggiungere le persone fisicamente e i social sono forse solo un contentino che ci viene dato per illuderci che quello che diciamo riesca a raggiungere tante persone. La sinistra è diventata di élite perché purtroppo solo l'élite ha il tempo e la voglia di potersi informare al di là del rumore di fondo dell'odio social.
Ecco, io vorrei che più persone possibile parlassero ad altre persone della complessità del mondo. Tutto qui.
Linkando qua e là
Articoli, post, notizie che mi hanno fatto pensare “aspetta che me lo segno per Patrilineare”…
Buongiornissimo Shawn Mendes © Getty Images
Claire Legros su Internazionale fa un lungo excursus sul ritorno del mascolinismo. Il divario ideologico di genere non è solo un fenomeno americano: il Financial Times lo ha rilevato in 20 paesi. L’articolo è denso e ricco di spunti, fatti un favore e leggilo con calma.
Trump e l'idea di "proteggere" le donne: come emerge molto chiaramente dal pezzo di Arwa Mahdawi sul Guardian, per protezione si intende ovviamente “controllo”.9
La vicenda politica di Íñigo Errejòn in Spagna è veramente emblematico del classico atteggiamento “predico bene e razzolo male” che prima o poi viene fuori ovunque. E quando viene fuori è generalmente accolto nel silenzio. Dalla newsletter di arriva questo bell’articolo di El Salto.
Ci avviciniamo al 25 novembre e vorrei segnalarti il numero 2/2024 di Micromega intitolato “Liberiamoci dal patriarcato”: lo puoi leggere tutto on line, ti linko qui tre pezzi interessanti. L’editoriale di apertura di Cinzia Sciuto, un pezzo sul maschile non marcato e lo schwa di Giuliana Giusti e un testo a più voci intitolato Il femminismo ieri, oggi e domani.
Un progetto interessante presentato a Lucca Comics & Games: TrasFormare, contro la violenza maschile nelle scuole. Sarebbe bello anche vedere on line i lavori dei ragazzi.
L’Osservatore Romano (!!!) sulla necessità impellente di una educazione sessuale e affettiva nelle scuole (vabbè, è Celeste Costantino, ma comunque è sull’Osservatore Romano).
E sull’educazione sessuale nelle scuole non poteva mancare il parere dell’ineffabile Rocco Siffredi, che in questi giorni è in giro con il suo spettacolo teatrale…
Abbiamo parlato spesso dei bias che l’intelligenza artificiale ha in particolare nei riguardi delle questioni di genere.10 L’utilizzo della IA in medicina può avere risultati sorprendenti, ma purtroppo quei bias se li porta dietro.
Ti ho parlato spesso di Fondazione Libellula: negli ultimi giorni ha avuto molta eco la pubblicazione del loro studio Senza confine. Le relazioni e la violenza tra adolescenti. Credo sia un testo che andrebbe letto e analizzato in modo minuzioso, per capire le ragioni di questo “patriarcato di ritorno” che celebra il “malessere” nelle sue varie forme e confonde l’amore con il controllo. Ne hanno parlato La Repubblica e Globalist, tra gli altri. Ed è anche il tema dell’ultima uscita di Diversamente Maschio di .
Da Orizzonte Scuola, una minuziosa analisi di quali sarebbero le procedure da adottare nei casi di bullismo e cyberbullismo a scuola.
Saoirse Ronan al Graham Norton Show: in una sola battuta fa aprire ai colleghi gli occhi sul privilegio maschile.
Shawn Mendes ha fatto coming out come questioning. Nonostante questo tipo di “notizia” mi infastidisca sempre molto (ritengo che queste siano cose private e trovo sconcertante che il pubblico faccia pressioni alle celebrità per farle uscire allo scoperto), è un ottimo spunto per capire la “Q” di Questioning.
Torino si aggiudica l'Europride. Io non avevo dubbi, comunque!
Italy Needs Sex Education: manca poco alle 10.000 firme! E tu, hai già firmato? A questo link di Drive c’è anche il kit della campagna, se vuoi fare un po’ di attivismo a costo zero!
La sex/ed che vorrei
Il sesso è comunicazione: questo è l’assunto principale di questa penultima puntata in cui parliamo dei comportamenti sessuali senza troppi peli sulla lingua (pun intended).
Ep. 10 - Sesso e comunicazione: i comportamenti sessuali
Siamo arrivato al capitolo “hot” di questa educazione sessuale e affettiva sui generis. Abbiamo già parlato di sesso a proposito della scoperta del proprio corpo e della masturbazione, ma qui siamo su un altro livello. Stiamo parlando di fare sesso con un’altra persona. Probabilmente il chiodo fisso di tutti gli adolescenti di ogni genere o razza. Se finora hai letto con attenzione avrai capito che il mio obiettivo non è spiegarti le posizioni migliori per farla o farlo impazzire a letto. Queste sono cose che è meglio scoprire da soli con l’esperienza. Il messaggio principale che vorrei far passare è che il sesso è bello e appagante soprattutto perché ti mette in contatto e in comunicazione profonda con un altro essere umano. E poi che il sesso è una cosa da esplorare senza vergogna ma con tre regole sempre ben presenti: il consenso, la pulizia, la protezione.
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Voglio spiegarti meglio cosa intendo quando dico che il sesso è comunicazione. Esattamente come parlarsi e scoprire cose l’uno dell’altro in una relazione è comunicazione (cioè, “mettere in comune” informazioni, pensieri, etc), anche fare sesso è un modo per imparare a conoscere l’altro, a confrontarsi sul piano del corpo con un altro soggetto desiderante. Il sesso è comunicazione nella misura in cui mettiamo in comune i nostri rispettivi desideri. Ed è un livello di comunicazione molto profondo.
Si tratta di un linguaggio che va imparato, esattamente come da piccoli si impara a parlare. Nessuno te lo insegna, va scoperto poco a poco. Cominci con l’imparare i bisogni del tuo corpo per poterli comunicare a chi sta con te. Prosegui imparando i bisogni dell’altra persona, quello che può fare più o meno piacere, scoprendo qualcosa di nuovo su un corpo diverso dal tuo o anche su un corpo uguale al tuo ma che ha desideri ed esigenze diverse.
Ovviamente, il sesso presenta anche dei pericoli a proposito dei quali viene fatta molto spesso una comunicazione di tipo “medico”. I pericoli di cui parlo sono essenzialmente due: le malattie sessualmente trasmissibili (STD, dall’acronimo inglese Sexually Transmitted Diseases) e le gravidanze indesiderate. Le prime sono un problema sotterraneo e spesso “non detto” di molti adolescenti alle prime esperienze sessuali. Le seconde, tradizionalmente vissute nella società dei maschi come un problema femminile, sono in realtà un fenomeno sociale su larga scala che - quando non correttamente prevenuto o gestito - costringe molti adolescenti a diventare adulti troppo in fretta e senza nessuno strumento (prima di tutto emotivo) per gestire una situazione più grande di loro.
Quello che vorrei farti notare, però, è che quando in Italia parliamo di educazione sessuale parliamo, in genere, proprio di questo e solo di questo. Cioè solo di malattie e gravidanze. In sintesi, terrorizziamo i giovani per spingerli a non fare sesso. Ma i giovani (e gli adulti, e gli anziani, voglio sperare) non smetteranno mai di fare sesso. Senza però altri strumenti che non siano lo spauracchio di una gravidanza non voluta o di orribili e imbarazzanti problemi “lì sotto”. Il sesso, per la società italiana è in genere un argomento “vergognoso”, del quale sarebbe meglio non parlare mai. Si fa, ma non si dice.
Ne consegue che non esiste una vera e propria educazione sessuale. A scuola non viene nemmeno sfiorata: è un tema che spetta alle famiglie, e ogni famiglia ha la sua sensibilità riguardo all’argomento: di solito, però, finisce che non se ne parla. Il risultato? Ancora oggi, l’educazione sessuale è demandata al porno. Non esiste teenager che non abbia visto un certo numero di video pornografici on line, ricavandone ovviamente una visione quantomeno distorta o monodimensionale del sesso.
L’educazione sessuale, quindi, deve essere per forza di cose una “conquista sul campo”. Bisogna parlarne, non necessariamente con gli adulti, ma anche e soprattutto tra pari. Parlare di sesso, ossia di cosa ci piace e cosa non ci piace, cosa desideriamo e cosa invece ci fa paura o vergogna o schifo, e confrontare il nostro piacere e il nostro desiderio con quello degli altri. Parlando di cosa è il sesso per noi, impariamo e facciamo imparare cose che poi ci porteranno alle nostre decisioni su come vivere la nostra vita sessuale, senza vergogna ma con consapevolezza e positività. Ed è un percorso che inizia da adolescenti ma continua tutta la vita, perché la sessualità è presente in forme e condizioni diverse in tutte le fasce di età di uomini, donne e persone transgender.
Ci sono diverse scelte - assolutamente personali - che puoi fare su come vivere la tua vita sessuale. Possiamo chiamarli i comportamenti sessuali, che sono una cosa diversa dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere, e che riguardano essenzialmente come decidi di rapportarti con un potenziale partner.
Una scelta è quella della monogamia, cioè una relazione esclusiva. Stai con una persona e non ritieni necessario stare con nessun altro. La relazione con questa persona ti appaga totalmente. Un’altra scelta è quella di mantenere una relazione non esclusiva, per esempio sperimentando una relazione poliamorosa (in cui cioè le persone coinvolte siano più di una). In entrambi i casi l’importante è che ci sia un esplicito consenso di tutte le parti in causa su come viene definita la relazione: il sesso, come i soldi, è fonte di enormi problemi nelle relazioni quando le cose non sono adeguatamente messe in chiaro da subito - motivo per cui, per inciso, sarebbe opportuno che fin da bambini venga impartita un’attenta e adeguata educazione economica oltre che sessuale.
Oppure, per quanto riguarda strettamente la sfera dell’attività sessuale, si può scegliere di collezionare rapporti casuali (sempre con la massima attenzione alla protezione e alla contraccezione) o piuttosto di buttarsi sull’estremo opposto: l’astinenza. Quest’ultima è una scelta un po’ forte che non a caso in alcuni contesti è addirittura una prescrizione (ad esempio l’astinenza sessuale dei preti cattolici). In alcuni casi può essere un modo di prolungare l’attesa per rimandare a un maggior piacere, in altri può semplicemente essere legato ad un orientamento asessuale. Anche qui è sempre una questione di chiarezza, di consenso, di comunicazione, di dialogo.
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La stessa cosa per quello che riguarda la parte più segreta dei tuoi desideri, quella di cui magari ti vergogni un po’ e che decidi di rivelare solo alle persone di cui ti fidi veramente: le situazioni, le pratiche o gli oggetti che ti danno un surplus di eccitazione. In un mondo in cui la maggioranza degli adolescenti ha già visto ore di contenuti pornografici on line, è quasi scontato affermare che con ogni probabilità abbia sviluppato delle preferenze “particolari”. Le preferenze sessuali sono tipiche di ognuno di noi (qualunque sia il nostro genere o il nostro orientamento) e non sono razionalmente controllabili.
All’interno di un rapporto di coppia, o anche frequentemente nelle fantasie masturbatorie, possono emergere dei kink, ossia pratiche sessuali “non convenzionali” che in genere hanno a che fare con dei “giochi di ruolo” a carattere sessuale. Probabilmente (lo spero) per un adolescente è già una gran cosa poter praticare del sesso convenzionale. C’è da dire però che l’esposizione al porno di cui parlavo porta molte persone ad avere familiarità con termini come BDSM, D/s (dominazione/sottomissione), femdom, spanking, bondage, per cui non è da escludere che una persona anche in giovane età possa avere determinate preferenze: l’importante è sempre che non diventino un’ossessione o che non vengano imposte al partner senza il suo consenso.
Altra cosa rispetto ai kink sono i fetish (feticismi), che sono inclinazioni sessuali radicate in noi fin dall’infanzia e che si “fissano” su determinate parti del corpo o oggetti inanimati (ad esempio una particolare biancheria intima, il cuoio o il vinile, i piedi) che in qualche modo ci eccitano particolarmente. Esistono: molte persone non li hanno, molte altre li hanno e li sviluppano già in modo evidente anche in età molto giovane. Non c’è nulla da vergognarsi, sono semplicemente una parte della personalità. Magari non la sbandieriamo ai quattro venti, ma tra le lenzuola può anche uscire fuori senza paura.
Quello che mi interessa sottolineare, è che i feticismi e i kink non sono “perversioni”: uso la parola inglese “kink” proprio per evitare quella connotazione negativa. Il kink è un’opzione che in una relazione sessuale può essere praticata sempre se e solo se entrambi i partner la accettano, la desiderano, danno il consenso. Altrimenti è una forma di imposizione, esattamente come voler imporre una pratica sessuale convenzionale (per curiosità, il sesso convenzionale in opposizione a tutto quanto è “kinky” viene definito in inglese “vanilla”, alla faccia del mio gusto di gelato preferito).
Questo fatto di imporre qualcosa, devo dire, è tipicamente maschile, e va assolutamente rivisto. Il maschio - in quanto maschio - pensa di poter sempre imporre la sua presenza, le sue parole, il suo desiderio. Questa imposizione è ovviamente una prevaricazione e non presuppone una relazione ma un semplice rapporto di possesso, che oggettifica il partner. Quindi, diciamolo un’altra volta, ché non è mai abbastanza: come tutto quello che riguarda una relazione, anche il sesso (soprattutto il sesso) va discusso, va confrontato, finché non si arriva al pieno consenso di entrambi.
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Prima ero tentato di scrivere che il sesso va “contrattato”. Non ho usato questa parola perché ha una connotazione negativa, legata alla compravendita di qualcosa. Abbiamo detto che il sesso è comunicazione, e la comunicazione è mettere qualcosa in comune, uno scambio. Quando questo scambio oltre al sesso include i soldi arriviamo al concetto del sesso come merce che ha un suo valore in una transazione. Parliamo ovviamente di prostituzione o sex work, un argomento complesso che ho già analizzato in precedenza.11
In ogni caso è veramente importante sottolineare che in nessun modo la prostituzione può essere fonte di un giudizio morale. Sia che stiamo parlando di una persona sfruttata che dovrà consegnare tutti o quasi i suoi guadagni agli sfruttatori, sia che parliamo di unə liberə professionista che si guadagna da vivere con il suo lavoro sessuale, unə sex worker non è una “puttana”. È molto facile trasformare una parola in un insulto, ma forse dovremmo pensarci due volte: se esiste un mercato del sesso è perché esiste una domanda da parte di un certo tipo di popolazione maschile che ritiene di aver bisogno di quel prodotto. Un prodotto/merce - il sesso - che il maschio dovrebbe invece contribuire a creare, alimentare e far crescere in un rapporto paritario e consensuale, libero da condizionamenti economici che possono determinare solamente un simulacro di potere e di sopraffazione di genere.
[continua…]
Cosa mi gira in testa?
C’è un film in sala in questi giorni che racconta molto bene (tra le altre cose) la condizione del corpo femminile e il concetto della bellezza standard costruita per il male gaze come unica moneta di scambio nella società dello spettacolo. Ed è un film che ti arriva in faccia come un treno in corsa, la cui locomotiva è una potentissima Demi Moore. Il film è The Substance: ne ho parlato qua e te lo consiglio vivamente (nel caso, prima il film e poi la cena, non viceversa).
Demi fucking Moore, baby © Working Title Films
A inizio mese sono usciti due album bellissimi, molto diversi tra loro e da me molto amati per motivi diversi. Il primo che ti segnalo è l’attesissimo (tipo da sei anni) Songs Of A Lost World dei Cure. Voglio dire, un nuovo album dei Cure dopo 16 anni dall’ultimo album; 16 anni in cui loro comunque hanno continuato a fare tour con esibizioni di tre ore in media e in questi tour hanno ideato e costruito l’ossatura di queste otto nuove tracce che prendono la tua anima e la portano indietro nel tempo a Disintegration. Intendiamoci, non è così un capolavoro, ma ricorda un po’ un capolavoro: è un’operazione a metà tra il nuovo e la nostalgia, ma poi cazzo, sono i Cure, non si discutono: si amano. Comunque solo loro hanno il coraggio di mettere su Spotify pezzi con una intro di tre minuti e mezzo dopo di che Robert Smith inizia a cantare. Adoro.
L’altro album sorprendente del momento per me è Chromakopia di Tyler, the Creator che - da quando Kanye si è bruciato il cervello andando dietro a Trump - è diventato per me l’unico vero genio dell’hip hop contemporaneo. E non solo hip hop ma in generale urban, r’n’b, black music. Anche Chromakopia non è un capolavoro (semmai quello poteva essere Igor) ed è un ripercorrere le stesse idee di qualche anno fa ma con un gusto per il beat e le orchestrazioni gospel (e i featuring appiccicosi come Doechii, GloRillla e Lil Wayne) che fa veramente godere. Poi è anche un concept album sui generis con questo personaggio mascherato anni ‘30 che devo ancora un po’ capire. Affascinante.
Daje. Ti saluto finché sei ancora sveglio. Ringrazio te che mi scrivi e te che mi commenti, te che mi metti i cuoricini e te che mi riposti e mi diffondi. Oggi faccio anche un ringraziamento particolare a Lorenzo che per farmi una sorpresa ha dato in pasto il database di Patrilineare a NotebookLM di Google e ha fatto uscire una bestia strana con 12 minuti di “Podcast di Patrilineare” in cui due bot parlanti con accento a metà tra il rumeno e lo svedese disquisiscono di patriarcato e decostruzione maschile facendo anche notevoli battute di spirito!
E non per essere venale, ma il ringraziamento finale va a te che mi lasci la paghetta su Ko-fi. Sai che se tutti gli abbonati mi lasciassero due euro al mese potrei lasciare il lavoro e diventare attivista di professione? LOL! Sogna, Pietro, sogna…
Grazie Pietro per aver citato il mio commento nella chat di Polpette 😊
Spesso in passato quando pensavo alla mia situazione di maschio eterno cis (praticamente quasi al centro della ruota) provavo uno strano senso di disagio. Ora ho capito che questo disagio era una legato al privilegio di cui solo adesso riesco ad avere un'idea.
Sull'intersezionalità e sulla marginalizzazione ci sarebbero fiumi di parole da scrivere sopratutto in relazione alla lotta di classe e alla lotta all'attuale sistema ultraliberistico
Grazie Pietro per aver sottolineato il concetto di intersezionalità all'indomani di queste elezioni, non solo perché la sconfitta di Kamala Harris è inseparabile dal suo essere una donna nera (anche se non è stato l'unico fattore né a mio avviso, al contrario del 2016, quello determinante, come ho cercato di articolare qui: https://ancheunadonnaqui.substack.com/p/per-capire-cosa-e-successo-bisogna), ma anche per quello che esprimi molto bene dicendo: "Chi riflette sull’intersezionalità in modo superficiale si ferma alla dicotomia potere/marginalizzazione, privilegio/oppressione ed è portato a fare semplicisticamente una somma o sottrazione di privilegi trasformando l’intersezionalità in una questione individuale". È proprio questo fraintendimento del concetto di intersezionalità che ha spostato così tante persone verso Donald Trump, motivate dall'individualismo del "sono stanco di sentirmi dare dell'oppressore, le mie tasche sono vuote" ecc. È da qui secondo me che è necessario ripartire. Come? A mio parere, raffinando la comunicazione su questi temi con certi segmenti della società (o comunque è quello che farò io).
Ps. ti lascio questo mio pezzo oggi su Rivista Studio che penso possa interessarti, perché parla dello spostamento a destra della Gen Z a causa di una crisi della mascolinità di cui qui negli Stati Uniti solo Trump sembra aver colto la componente politica: https://www.rivistastudio.com/giovani-maschi-voto-trump/