Porno (quando non sei intorno)
O meglio P0rn0, perché possibilmente del porno non si deve parlare, anche se è la principale fonte di "educazione sessuale" per qualunque maschio del mondo.
Photo by Arvida Byström, “A Doll’s House” (2022)
Rieccoci qua con Patrilineare: oggi proviamo ad analizzare uno degli argomenti più fraintesi e difficili da trattare con il consueto punto di vista - spero - equidistante e non giudicante (poi si sa che i giudizi a volte scappano, un po’ come la pipì). Come spesso mi succede, il titolo della newsletter di oggi è preso dal canzoniere di una delle band più amate della generazione X, quindi un grazie preventivo a Manuel Agnelli.1
L’educazione sessuale che ci meritiamo?
Intanto cominciamo con un po’ di greco antico, che mette subito in chiaro le cose. Pornografia deriva da “pòrne” (prostituta) e “gràfo” (io scrivo). Indica quindi la scrittura o il disegno di scene di prostituzione e - per traslato - qualunque scena erotica od oscena possa stimolare una risposta di eccitazione nel lettore.
La scoperta del porno in genere arriva molto presto nella vita del giovane maschio. Spesso già in età prepuberale. E per un lungo periodo - diciamo almeno per tutta l’adolescenza, concetto che negli ultimi due decenni si è allungato e stiracchiato fino ad arrivare anche ai 25 anni di età - costituisce l’unica educazione sessuale a disposizione, se escludiamo il triste e asettico capitolo sull’apparato riproduttore dei libri di scienze per la scuola secondaria inferiore e superiore.
Quando ero adolescente io, in effetti, era proprio così. Di solito il giornaletto porno (un fumetto o una rivista, ma ai miei tempi andavano un casino anche i fotoromanzi) veniva sottratto ad un fratello maggiore, a un padre o a uno zio e conservato con cura religiosa in fondo a qualche cassetto o sotto il letto, coperto con altra roba.
Sfogliando le pagine dei giornaletti porno noi giovani maschi imparavamo le tecniche migliori per rimorchiare le ragazze e farci sesso, le battute più splendide (tutte con pesantissimi doppi sensi) e ovviamente tutte le posizioni adottabili e i loro pittoreschi nomi (come la pecorina o lo smorzacandela).
Quando negli anni ‘80 hanno iniziato a diffondersi i videoregistratori, immediatamente è cominciato lo smercio e la duplicazione delle videocassette porno, in modo che potessimo imparare “quasi dal vero” i movimenti, le performance, i gemiti e i gesti da fare per essere dei veri campioni del sesso.
Inutile dire che ci ho messo praticamente 40 anni a disimparare tutto questo. Le esperienze che fai a 12 anni ti segnano per tutta la vita, ed è molto difficile capire che il sesso non è quello che viene mostrato nel porno. Ma proprio per niente.
Photo by riccardoromano - ebay.it
Oggi che mi gira in casa un bambino di dieci anni, sono ovviamente attento ad evitare che incappi non dico in siti del calibro di Pornhub o simili, ma anche solo in contenuti potenzialmente ambigui su YouTube. La mia perizia nell’inserire controlli parentali sui device casalinghi è pari solo alla sua velocità nell’apprendere il funzionamento delle app (e di conseguenza il modo di aggirare i blocchi).
Inevitabilmente, l’incontro con il porno arriverà, magari con un’immagine condivisa da un compagno di classe, un video visto di straforo durante una ricerca Google o qualcosa del genere. Difficilmente, immagino, gli capiterà di mettere le mani su uno di quei fumetti tipo “Il Tromba” o “Corna vissute”, ma non si sa mai. Per esempio, tanto per gradire, nella nostra edicola di fiducia i DVD porno sono subito sopra i collectibles per bambini: basta crescere un po’ in altezza e te li trovi davanti, con la proverbiale fascetta “Vietato ai minori di 18 anni”.2
Porno e strumenti critici
E il punto è proprio questo: se una cosa è “vietata ai minori” è perché i minori non hanno gli strumenti adeguati per capirla. Il porno è una di queste cose. Quando guardi un porno senza strumenti critici per decodificarlo correttamente, vedi una serie di situazioni che ovviamente sono molto eccitanti (si dice che la sessualità maschile è particolarmente “visiva”, quindi un rapporto sessuale visto su schermo mette in moto una serie di risposte ormonali quasi immediate) ma che corrispondono solo in minima parte al sesso “reale”.
Il sesso del porno non è scambio paritario, non è comunicazione, è solo prestazione meccanica. Nella sua versione digitale sui portali del genere di Pornhub, poi, è diventato pura catalogazione. Esistono numerosissime categorie di porno che fanno impallidire i fumetti e i fotoromanzi anni ‘70 e ‘80. Ce n’è per tutti i gusti e per tutti i fetish.
I filmati vengono catalogati in base al tipo di rapporto, in base alla posizione adottata (ma i termini usati adesso sono quelli inglesi, in nome anche qui di una globalizzazione che lascia basiti i boomer), in base al numero di persone coinvolte, al loro (vero o presunto) orientamento sessuale, in base alla distinzione tra pornostar e persone comuni (l’unica vera rivoluzione del porno digitale sono stati i filmati direttamente caricati dagli utenti).
Still from Good Boys3 - Universal Pictures
Ma il porno, come tutti i tipi di cinema, è pura finzione. Guardare un filmato porno con occhio critico deve prevedere necessariamente la consapevolezza che quelli sono attori, che si muovono su un set, che hanno banalmente delle pause (cioè: quello che sembra un rapporto di 12 minuti è in realtà frutto di una giornata di riprese interrotte e riprese più volte).
La pausa può essere richiesta da un qualsiasi attore per qualsiasi motivo di disagio: le erezioni non vengono mantenute costantemente. Le dimensioni dei pornodivi, poi, sono spesso “aiutate” da inquadrature che fanno sembrare il tutto più grosso e più performante. Gli orgasmi femminili, non dovrebbe esserci nemmeno bisogno di dirlo, sono finti al 99,9% e quelli maschili possono tranquillamente essere finti anche loro (basta tenere a portata di mano una pompetta con dentro gel lubrificante misto a latte condensato).
Quando l’eiaculazione è vera, è sempre girata come prima scena, per diminuire “l’ansia da prestazione”, così poi l’attore può procedere a girare le scene con le altre posizioni (che tipicamente sono sempre le stesse alternate con poca fantasia). In generale, sui set porno al 20% si scopa e all’80% ci si lava tra una scena e l’altra.
Porno, consenso, sex work
E per quanto riguarda i filmati “amatoriali”, che spesso sono mossi e sgranati o in altri casi fin troppo consapevoli del linguaggio cinepornografico? In un mondo perfetto dovrebbero essere caricati on line da qualcuno che si è assicurato il consenso di tutte le persone coinvolte, ma in molti casi possono essere semplicemente immagini rubate, che rientrano nella definizione di DNCII (Diffusione Non Consensuale di Immagini Intime)4 o nei casi peggiori di vero e proprio revenge porn.
Anche nel porno commerciale, comunque, ci sono le case di produzione più grandi con le loro star strapagate (più le donne degli uomini in genere), quelle indipendenti e quelle un po’ più losche che vanno a pescare in un “giro” legato alla prostituzione, al traffico di esseri umani e nei casi peggiori alla pedofilia. Quindi, insomma: non un mercato così limpido.
E a proposito della prostituzione - cioè lo scambio di prestazioni sessuali per soldi che può avere più o meno carattere di professionalità - due parole, per restituire complessità a un tema spesso appiattito su posizioni convenzionali.
Prostituzione vuol dire in moltissimi casi violenza, sopraffazione, costrizione. Non è un mistero che molte donne, magari molto giovani, magari migranti, vengano invischiate in un traffico di corpi che fa capo a organizzazioni criminali. La prostituzione in altri casi può essere una scelta di vita: in questo caso oggi si preferisce indicarlo come “sex work”, e i sex worker si sentono semplicemente degli imprenditori che lavorano con il proprio corpo e con i desideri dei propri clienti.
La prostituzione può essere marciapiede ma può essere anche stanza di hotel di lusso, può essere dal vivo o può essere on line. In ogni caso ci sono di mezzo i soldi. La prostituzione ha ancora oggi uno stigma molto forte, tant’è vero che anche se non è illegale (in Italia lo sono, dal 1958, lo sfruttamento e il favoreggiamento della prostituzione ma non la prostituzione in sé) è un’attività svolta in maniera per lo più clandestina e con regolamentazioni pari a zero.
La questione ha molti aspetti, alcuni contraddittori tra loro. Se in generale la prostituzione può essere intesa come l’apice dello sfruttamento e della sopraffazione che la società patriarcale impone sulla donna, oggettivandola al punto da farla diventare una semplice merce nel sistema capitalistico di domanda e offerta, in alcuni casi può diventare - proprio come il porno - una forma di attività indipendente che garantisce stabilità economica e consente alla persona che la pratica di riappropriarsi del proprio corpo e usarlo consapevolmente per un lavoro in campo sessuale, un lavoro che non ha nulla di diverso da qualsiasi altro lavoro (“sex work is work”, come dicono lə attivistə che si dedicano a questo tema).5
Ma tornando a noi, il porno nella sua forma digitale è ancora oggi l’unica porta di accesso per gli adolescenti alle cose del sesso. Non dovrebbe essere ancora così, e io spero sempre che l’educazione sessuale e affettiva entri nelle scuole di ogni ordine e grado con un programma che preveda anche il piacere e non solo la paura, le malattie, le gravidanze.
Alla fine il porno per i ragazzi è come il gioco d’azzardo, i social media, le sostanze stupefacenti: può dare dipendenza. La sessualità del porno non è una sessualità “normale”.
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Se cominci a vedere porno in età puberale, è facile che tu non possa più fare a meno di quegli stimoli, che ti abitui ad avere un “supporto visivo” necessario ogni volta che vuoi masturbarti, che ti ritiri dal confronto con le altre persone e dalla possibilità di relazioni anche sessuali per un senso di inadeguatezza o per ansia da prestazione.
L’esposizione alla pornografia in età non appropriata può portare a veri e propri traumi, soprattutto se si tratta di pornografia infantile (purtroppo può capitare, non è così infrequente) o di contatti in chat con sconosciuti che potrebbero in seguito ricattarti sessualmente. Ora chiaramente l’ho messa giù un po’ drammatica, ma sono cose che possono capitare, e da genitore penso che vadano prese in considerazione e monitorate.
Per una pornografia equilibrata
Infine, c’è un altro discorso da fare sulla pornografia commerciale, che deriva dal fatto di essere un prodotto specificamente pensato per lo sguardo maschile. Il porno commerciale6 è davvero soltanto una celebrazione della performance atletica maschile e della mitologia del maschio alfa: la rappresentazione perfetta di un tipo di relazione sbilanciata, in cui la donna è un oggetto di cui il maschio può disporre a piacimento.
In questo senso, il porno purtroppo contribuisce a diffondere stereotipi, a modellare le menti degli spettatori su una codifica dei generi che è totalmente distaccata dalla realtà. Se impari il sesso attraverso il porno, impari la meccanica dei gesti e poco altro (e comunque anche in questo caso ne vedi una versione quasi “industriale” a base di pistoni e olio lubrificante).
Il cosiddetto porno commerciale è il racconto sempre uguale a sé stesso di un abuso di potere maschile sui corpi femminili a sua disposizione. Non si capisce effettivamente se la donna abbia un suo desiderio sessuale al di là della venerazione che deve mostrare per il totem fallico, vero protagonista dell’azione. Ma sappiamo bene che la donna è un soggetto desiderante, non un oggetto. Cosa desidera va chiesto a lei. Molte donne apprezzano il porno. Così come hanno una propria sessualità, i propri kink o fetish, le proprie esigenze.
Anche in questo caso, allora, si tratterebbe di scegliere “la pornografia giusta”. Un porno diverso è possibile? Se dobbiamo pensare a qualcosa che non sia concepito soltanto per lo “sguardo privilegiato” del maschio bianco etero, dobbiamo rivolgerci ai soggetti che stanno nella parte bassa della cosiddetta ruota della sopraffazione7. Registe e attrici donne o queer stanno prendendo in molti casi in mano le redini di un certo tipo di produzione porno, riportando al centro uno sguardo che non sia monodimensionale ma più sfaccettato.
Diventa anche in questo caso una questione di rappresentazione: la rappresentazione di uno sguardo, un punto di vista e di un certo tipo di corpi che nel porno commerciale semplicemente non vengono presi in considerazione. Si tratta di una pratica - direi quasi di uno studio di arte performativa - che ha le sue radici nei lontani anni ‘70 e che trova poi negli anni ‘80 una spaccatura tra due diversi modi di intendere la pornografia all’interno dei movimenti femministi (quelli abolizionisti e quelli “sex positive”). È in quegli anni infatti che si afferma una vera e propria corrente di “porno femminista”: non c’è da immaginarsi nulla di assurdo, è semplicemente un porno più attento a mettere al centro il desiderio e lo sguardo femminile, che nella rappresentazione di rapporti eterosessuali propone un modello diverso di mascolinità, che non trova per forza il suo culmine in trionfalistiche eiaculazioni e che mette in scena anche il post-orgasmo (coccole, cure reciproche, etc).
Un’ultima cosa - forse la più importante. L’immaginario sessuale maschile, per colpa del porno commerciale, è povero. Il porno può anestetizzare la fantasia, prevede poche posizioni, poche varianti, poco consenso. Quello che emerge in assoluto è soltanto la pulizia dei corpi (depilazioni, sbiancamenti, in alcuni casi chirurgia estetica) e l’atletismo dei gesti. Il porno fruito in modo acritico abitua all’indifferenza, ed equipara il sesso a una sofisticata masturbazione.
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Già soltanto questa cosa dovrebbe essere sufficiente a rifiutare l’idea del maschio (ma anche della femmina, o della persona transgender) che il porno promuove: alla fine è molto più eccitante allenare la fantasia, confrontare i rispettivi desideri, comunicare a livello fisico, essere magari goffi e poco performanti ma scoprire in due (o da soli, o in più di due) le migliaia di sfumature del desiderio sessuale.