Sfruttare il privilegio maschile: qualche modesta proposta
"Gli uomini che vogliono essere femministi non hanno bisogno di ricevere spazio nel femminismo. Devono prendere lo spazio che hanno nella società e renderlo femminista"
Auguste Rodin, “Le penseur”, Musée Rodin Paris - Wikimedia Commons
Ciao e benvenuto a un nuovo spazio di riflessione (ma anche di svago, dai, io spero sempre di fare un po’ infotainment) su Patrilineare. Come puoi notare dall’immagine di apertura, in questi giorni sono parecchio pensoso. E quello a cui stavo pensando è una domanda esistenziale che molti maschi femministi o sedicenti tali si pongono almeno una volta nella vita, e cioè: data la presa di coscienza del mio privilegio maschile, che ruolo posso avere io - maschio etero e cisgender - nel femminismo?1
Questa cosa qua, del ruolo del maschio, io vedo che è molto dibattuta all’interno dei circoli femministi. Molte femministe che io stimo, molte autrici sui cui testi ho studiato, a volte insistono sul fatto che un uomo c’entra poco con il femminismo. Perché - giustamente - alle donne è servita e serve una pratica separatista per prendere coscienza della propria condizione e organizzare la propria resistenza (una pratica separatista che detto tra noi servirebbe anche agli uomini). Ma anche perché - diciamolo senza vergogna - l’uomo femminista fa strano.
Ecco quindi quello che voglio dirti oggi. Partiamo dal concetto che abbiamo un privilegio da sfruttare:2 le altre persone, soprattutto gli uomini, ci ascoltano perché siamo uomini. E dunque, il ruolo principale del maschio nel femminismo è quello di indicare il privilegio, metterlo sotto gli occhi di tutti e lavorare per smantellarlo. Lavorare come? Parlando con altri maschi, dato che in linea generale le femmine questo lavoro l’hanno già fatto e non hanno bisogno che noi andiamo a spiegar loro alcunché (tipo “scusa ma ti spiego in che modo devi essere femminista” - e poi ti mandano via a calci in culo). Ti svelo un segreto: non basta “non essere uno stupratore” o fare le faccende in casa e prendersi cura dei bambini per definirsi femminista. Ci va un passo in più, che sarebbe poi quello di promuovere la distruzione del patriarcato e convincere altri uomini a farlo con te.3 Sulla carta è tutto molto chiaro: come uomini, possiamo sostenere campagne contro la violenza di genere, educare giovani maschi nelle società sportive, nei luoghi di aggregazione o a scuola, e in particolare possiamo impegnarci a contrastare sessismo, misoginia o atteggiamenti violenti negli altri uomini, richiamandoli o testimoniando per le vittime.
Egon Schiele, “Autoritratto con lanterna cinese”, 1912, Leopold Museum Wien - Wikimedia Commons
C’è da sottolineare una cosa: non tutti gli uomini approdano al femminismo così di botto. La maggior parte ci arriva dopo un lungo processo e dopo studi e riflessioni (che ovviamente bisogna aver voglia di fare). Chi ci arriva di botto è perché ha subìto un trauma o è stato coinvolto in un episodio di violenza di genere, vedi ad esempio Gino Cecchettin. Il problema è che di norma un maschio medio non ha intorno a sé altri uomini che possano essere per lui un punto di riferimento su questi temi: è più facile trovare maschi disimpegnati perché - ovviamente - le questioni di genere non gli interessano, dato che il loro genere non viene mai messo in discussione. Impegnarsi nel femminismo per un maschio è complicato non solo perché ci sono evidenti ostacoli “intimi” (cioè: non è facile prendere coscienza del privilegio) ma anche perché è molto probabile che trovi resistenza e ostilità da parte di quasi tutti gli uomini che ha intorno.
Il femminismo è nato dalle donne e per le donne. La frase che ho messo in apertura, sotto il titolo della mail, è dell’attivista inglese Kelly Temple e vuol dire sostanzialmente questo: non è che per essere femminista devi andare a fare le manifestazioni con le femministe e andare a parlare nei luoghi del femminismo, non sei credibile. Per essere femminista devi stare nello spazio maschile, nella “società degli uomini”, e renderlo femminista. Cioè devi diffondere il verbo sfruttando il tuo privilegio, come ho detto prima, ma senza sovradeterminare:4 solo una donna può sapere cosa vuol dire abortire, cosa vuol dire sentirsi violata, molestata, diminuita, oggettificata. Noi possiamo solo ascoltare, prendere atto, imparare.5 Avere questa umiltà è una cosa fondamentale per potersi dire maschio femminista. Anche perché cercare protagonismo nel movimento è un pesantissimo indizio di “femminismo di facciata”, ovvero: “lo faccio perché così sono figo, mi faccio bello con le donne”. Che poi è la classica obiezione che un maschio qualsiasi può fare - e fa invariabilmente - a un maschio femminista; anche a me è capitato di sentirmi dire che scrivo Patrilineare solo per beccare.
Il grande problema maschile è che siamo socializzati in un immaginario patriarcale che tutti contribuiamo da sempre ad alimentare e siamo terrorizzati dall’ipotesi che questo immaginario non sia l’unico possibile. Quando diciamo che dobbiamo “decostruirci”, o “decostruire il maschile”, parliamo certamente di un lavoro su noi stessi, ma anche di un lavoro sull’immaginario, sugli stereotipi del nostro genere. Gli stereotipi sono legati a doppio filo al privilegio. Cambiando gli stereotipi si può intervenire come in una sorta di circolo virtuoso anche sul privilegio, avviando un cambiamento. Un cambiamento che - attenzione - richiederà tempi biblici e probabilmente non sarà mai finito. Nessuno mi garantisce che quello che scrivo su questa newsletter oggi non sarà visto come problematico fra dieci o quindici anni!
Gustave Courbet, “Le désespéré”, 1843-45, Collezione privata - Wikimedia Commons
Essere un alleato (ally, in inglese, una figura ben definita nei movimenti di opposizione allo status quo) è sempre problematico. Anche in Black Lives Matter, per dire, il compagno di lotta bianco e borghese è ovviamente guardato con sospetto. L’alleato, per definizione, “non può capire” la discriminazione sofferta da altri soggetti per via del genere, della razza, della classe sociale, dell’età, della prestanza fisica e via dicendo. Ma… gli alleati servono comunque, per un motivo se vogliamo anche banale: non essere alleati significa essere parte del problema, volontariamente o involontariamente. Quindi, rimbocchiamoci le maniche e prendiamo posizione tenendo presente poche semplici “regole”.
La prima regola: la lotta femminista è delle donne e per le donne; in questa lotta noi siamo gli “ausiliari” e in nessun caso i protagonisti. La seconda: per acquisire consapevolezza è cosa buona e giusta affidarci a esperienze separatiste maschili, ma… attenzione alle derive incel stile MRA.6 La terza: non aspettiamoci che le nostre compagne ci spieghino le cose, esistono centinaia di libri per documentarsi da soli (e anche qualche newsletter). Però, una volta “studiati”, non andiamo a fare mansplaining in giro. La quarta: pratichiamo sempre l’ascolto attivo e abbandoniamo la sordità selettiva (e difensiva) che siamo abituati da sempre ad attivare in certi contesti; nel dubbio, impariamo a tacere. La quinta: accettiamo di buon grado il fatto che siamo stati, siamo e saremo sempre parte del problema perché nessuno di noi è immune da comportamenti maschilisti; la decostruzione è un work in progress che non finisce mai. La sesta, la più importante, la più difficile: rompere il cameratismo maschile anche a costo di far incazzare le persone, evitando però di sembrare quello “superiore” che ti guarda dall’alto in basso.7
Dalla uno alla cinque io, per esempio, ci sto dentro abbastanza bene.
La sei… è complicata, ma ci sto lavorando.
Linkando qua e là
Articoli, post, notizie che mi hanno fatto pensare “aspetta che me lo segno per Patrilineare”…
Sean Combs e Justin Bieber a un concerto di beneficienza nel 2010 (Getty Images)
Uno dei “casi” dell’autunno è quello di Sean Combs aka Puff Daddy / P Diddy che viene definito da più parti (qui da Giovanni Ansaldo su Internazionale) come il processo che darà inizio a un #metoo nel mondo della musica. Senza entrare nel merito, a indagini ancora aperte, è interessante notare il coinvolgimento di due persone come Justin Bieber (molti indicano nel rapporto con Combs le origini dei problemi di salute mentale del cantante canadese) e Ashton Kuchner (campione della mascolinità “gentile” secondo The Wom). Ne riparleremo.
In Georgia (quella negli Stati Uniti) è stata dichiarata incostituzionale la legge che vietava l’aborto dopo la sesta settimana.
In Georgia (quella tra la Russia e la Turchia) la Presidente Zourabichvili si è rifiutata di firmare la famigerata legge anti-LGBTQIA+, purtroppo però pare che passerà ugualmente.
In quota “piccole gioie dalla mia città”: assorbenti gratis al Politecnico di Torino!
I bonobo e il patriarcato: dall’antropologia, uno studio sulle radici della violenza di genere.
Interessante campagna anti hate speech di ACE (sì, quelli della candeggina). Obiettivo: cancellare i graffiti razzisti, omofobi e grassofobi.
Pasquale Quaranta, il diversity editor di La Stampa, intervista Giuseppina La Delfa, che nel 2005 ha creato l’associazione Famiglie Arcobaleno (e a seguire ha scritto tre libri importanti).
Fino al 15 dicembre a Ravenna c’è questa bella mostra su fotografia e femminismo!
A partire dai dati INPS, sulla rivista Il Mulino si tirano un po’ le somme su violenza di genere e indipendenza economica.
La campagna Man Down per la salute mentale degli uomini cornovagliesi cornovaglini della Cornovaglia è qualcosa. Te la metto qui sotto. L’ho intercettata sicuramente da qualcuno su Substack ma non riesco a ritrovare la fonte, quindi grazie per la segnalazione chiunque tu sia.
La volta scorsa vi avevo segnalato la proposta di legge a iniziativa popolare, adesso c’è la campagna / petizione Italy Needs Sex Education lanciata da Flavia Restivo, c’è tutto un sito e un manifesto, non ho ben capito che fine fa la firma, comunque è condivisibile e si firma, dai.
Diversity Lab ha lanciato in questi giorni le linee guida aggiornate sul linguaggio inclusivo ampio. Le puoi scaricare a questo link lasciando i tuoi dati, intanto qui sotto c’è il reel caruccio.
La sex/ed che vorrei
Abbiamo parlato spesso di identità di genere nella newsletter,8 ma non avevamo ancora affrontato di petto il concetto di orientamento sessuale e romantico o quello di espressione di genere. Niente di meglio che parlarne in questa corposa puntata di educazione sessuale ad uso adolescenziale.
Ep. 9 - Perdere la bussola: sesso e orientamento
“Omosessualità: che cosa ci vuoi fare”, era il ritornello di una canzone di Elio e le Storie Tese di ormai 20 anni fa. E in effetti, che cosa ci vuoi fare? Niente, perché non è una scelta. Si tratta semplicemente di uno dei tanti orientamenti sessuali che una persona può avere. L’orientamento sessuale è una cosa diversa sia dall’identità di genere, che dal sesso biologico. L’orientamento sessuale definisce semplicemente da chi siamo attratti. Da persone dell’altro sesso? Da persone del nostro stesso sesso? Da entrambe? O magari proprio non ci interessa l’identità di genere dell’altra persona, cioè non è quello che determina la nostra attrazione sessuale?
Busto di Antinoo, 135 AD, Antikensammlung Berlin - Wikimedia Commons
Quello su cui convengono un po’ tutti, fin dalla notte dei tempi, è che ci sono persone eterosessuali e persone omosessuali. Gli eterosessuali sono quelli che sono sessualmente attratti da persone dell’altro sesso. Gli omosessuali sono sessualmente attratti da persone dello stesso sesso. Detto questo, il corollario tradizionalista ci insegna che le persone eterosessuali sono la norma alla quale tutte le persone con un minimo di decenza si dovrebbero adeguare, mentre l’omosessualità è il male, specialmente se praticata tra due uomini almeno uno dei quali “fa la donna” e quindi devia dalla norma universalmente accettata e mette in pericolo con la sua stessa esistenza il mondo dei maschi veri™. Ma le cose - come sempre - sono molto più complesse di così.
Generalmente si tende a tracciare una linea e a dire “o sei eterosessuale o sei omosessuale”. La differenza, però, non è così netta. A parte che anche in questo caso parliamo sempre di uno spettro sul quale possiamo posizionarci, e chiunque - pur essendo fondamentalmente eterosessuale - può trovarsi nella situazione di essere attratto da una persona del proprio sesso. Poi ci sono persone ugualmente attratte da uomini e donne: in questo caso si parla di bisessualità. Per amor di completezza, esiste anche il caso di chi è attratto nello specifico da persone con identità di genere non binaria: in questo caso si parla di skoliosessualità - una parola che non amo particolarmente, dato che skolios, in greco, vuol dire “strano”, “tortuoso”, “deviante” ed essendo io convinto che ognuno ha la sua propria normalità, mi sembra sempre vagamente offensivo riferirmi a una persona che ha un’identità di genere diversa dalla mia come “deviante”.
E non abbiamo ancora parlato delle persone pansessuali e asessuali. Non è difficile: se le persone etero, omo, bi e skoliosessuali trovano il fondamento della loro attrazione sessuale per l’altro nell’identità di genere (cioè, voglio fare sesso con te perché sei uomo, o perché sei donna, o non binary) le persone pansessuali e asessuali non basano la loro attrazione - o mancanza di attrazione - sull’identità di genere. A loro questo non importa. Questo non vuol dire che, come si sente spesso dire dai male informati, i pansessuali “si farebbero qualunque essere vivente” o che gli asessuali siano persone frigide o impotenti.
Alla domanda “perché vuoi fare sesso con me”, il pansessuale potrebbe rispondere “perché sei tu”, indipendentemente dal genere. Alla domanda “perché non vuoi fare sesso con me”, la persona asessuale potrebbe rispondere “non sei tu, sono io”. A parte gli scherzi, l’asessualità è semplicemente la mancanza di attrazione sessuale per chiunque, indipendentemente dal genere. Esiste, non è una malattia o una condizione patologica, è una possibilità. Magari a te che sei nel momento di massima esplosione degli ormoni sembra una cosa impossibile o inconcepibile, ma è così.
Quindi: se combiniamo insieme sesso biologico, identità di genere e orientamento sessuale possiamo avere molteplici combinazioni. Posso avere Dario, che è maschio, uomo cisgender e eterosessuale. Posso avere Daniela, che è femmina, donna cisgender e omosessuale. Posso avere Andrea, che è maschio (alla nascita), donna transgender e skoliosessuale o Chiara, che è femmina, non binaria e pansessuale. O ancora Francesco, maschio cisgender e asessuale.
Caravaggio, “I musici”, ca. 1595, Metropolitan Museum of Art, New York- Wikimedia Commons
Ma come: in quanto maschi medi, immersi in una cultura di base omofoba e sessista, ci viene già richiesto il notevole sforzo di accettare che esistano persone omosessuali o bisessuali e adesso vengono fuori anche tutte queste altre strane etichette? Sì. E conviene impararle. Non perché l’umanità vada catalogata, ma perché bisogna saper riconoscere le varie sfumature dell’orientamento sessuale e capire ad esempio che una persona asessuale può benissimo stare in una relazione: sta al suo partner decidere se gli va bene così o se il fatto dell’asessualità è quello che in inglese si chiama un dealbreaker, un motivo di rottura, del tipo “il sesso per me è troppo importante, non posso permettermi di stare con una persona asessuale”.
Bisogna conoscere per capire e soprattutto per evitare il fraintendimento, la rabbia, la violenza, il rifiuto della relazione basata sul consenso. Il problema della nostra società è il terrore del “diverso”. L’omofobia serve semplicemente a ribadire che la condizione privilegiata e dominante è quella eterosessuale, mentre quella omosessuale è una condizione di oppressione. Si tratta in qualche modo sempre della stessa storia malata del dominio degli uomini sulle donne: per gli adolescenti maschi l’omosessualità sembra diventare una “perdita di status maschile”, quasi una equiparazione al temutissimo genere femminile. Quindi l’omofobia rafforza il sessismo, e viceversa, in un’altalena di distorsioni mentali dannosissime.
Quello che accade nella nostra personale sfera sessuale interessa soltanto noi… e il nostro potenziale partner sessuale. Nessun altro. E perché dovrebbe? Essere omosessuali, bisessuali o altro non è un merito né un demerito. È una cosa che capita, e può capitare a tutti e in tutte le famiglie. Quello che fa la differenza semmai è il "modo" in cui ciascuno esprime (o nasconde) il proprio orientamento sessuale. Le persone omosessuali, non binarie o transgender sanno benissimo di far parte di una minoranza oppressa. Vivono il sessismo sulla propria pelle ogni giorno, così come lo vivono per altri aspetti tutte le donne del pianeta e così come le persone non bianche vivono il razzismo, le persone al limite della soglia di povertà vivono il classismo, le persone con una disabilità vivono l’abilismo e via dicendo. Per questo motivo spesso non è facile per loro uscire allo scoperto.
Il cosiddetto coming out è un momento chiave nella vita di una persona che ha un orientamento sessuale o un’identità di genere diversa da quella che è considerata la norma. A volte può essere una decisione difficile da prendere perché si può essere spaventati o preoccupati dalle possibili reazioni della famiglia, degli amici, dei compagni o dei colleghi. Altre volte è un processo naturale e privo di ostacoli: in ogni caso è una decisione che sta al singolo, che sia una persona comune o uno famoso (molto spesso a personaggi dello spettacolo viene chiesto di “rivelare” il proprio orientamento sessuale o la propria identità di genere, ma è una pretesa che non ha alcun senso).
Uno dei modi peggiori di relazionarsi con unə amicə che è (giustamente) in dubbio se fare coming out o no è quello di… fare outing. A prima vista può sembrare la stessa cosa, ma in realtà è ben diverso. “Coming out” vuol dire letteralmente “uscire fuori” ed è una decisione della persona che decide di rivelare al mondo qualcosa sulla sua identità e/o sul suo orientamento sessuale. “Outing” vuol dire “far uscire” ed è qualcosa che qualcun altro fa generalmente ai danni di una persona che non ha (ancora) fatto coming out. In pratica si tratta di dichiarare al mondo l’omosessualità o la condizione di persona transgender di un altrə. Non una mossa da amico, di sicuro. Eppure è una delle forme di bullismo omofobico e transfobico più diffuse tra gli adolescenti (maschi e femmine). Fare outing riguardo a qualcuno è un po’ come chiamare a testimone la comunità e indicare il “diverso” per farlo linciare (metaforicamente e purtroppo in molti casi anche letteralmente).
Jean-Hippolyte Flandrin, Study, Young Male Nude Seated Beside the Sea, 1836, Musée du Louvre, Paris - Wikimedia Commons
E fino a qui abbiamo parlato di sesso biologico, di identità di genere e di orientamento sessuale. Mancano all’appello l’orientamento romantico e l’espressione di genere. L’orientamento romantico (in breve: di chi ti innamori) non sempre combacia con l’orientamento sessuale. Questa è una cosa che capiscono e sperimentano tutti nella vita, fin dall’adolescenza, anche se è un altro di quei concetti che non passano facilmente. Una persona può essere omosessuale ma eteroromantica. Oppure può essere eterosessuale e omoromantica o biromantica. Perciò a volte possiamo innamorarci “platonicamente” di una persona del nostro stesso genere pur desiderando di fare sesso solo con persone di un altro genere, o viceversa. Non a caso il genere di film che tratta storie di bromance (amicizie maschili sovrapponibili per durata e intensità a una relazione sentimentale platonica) è da sempre uno dei più prodotti e visti del cinema degli ultimi decenni. Anche in questo caso poi esistono i panromantici, che si innamorano di qualunque persona indipendentemente dal genere, e gli aromantici, che non provano alcun coinvolgimento sentimentale.
L’espressione di genere invece determina come preferisci mostrarti agli altri. Più una questione di stile, se vogliamo. E a sua volta è una cosa che non necessariamente dipende dalla tua identità di genere o dal tuo orientamento sessuale. Sei un maschio etero cisgender e ti piace metterti lo smalto sulle unghie? Perfetto, è una questione di espressione di genere. Già oggi peraltro questa è una pratica abbastanza comune, lo smalto lo metto persino io che ho cinquant’anni. Anche l’espressione di genere, come tutto quello di cui abbiamo parlato finora, è uno spettro di stili adottati che va dalla “mascolinità” alla “femminilità” (metto questi termini tra virgolette solo per farti capire che si tratta di stili espressivi e non dei ruoli sociali attribuiti a uomini e donne) passando per l’androginia, ossia un aspetto e uno stile che mescolano elementi maschili e femminili. Diciamo che si posiziona in punti diversi di questo spettro chiunque utilizzi abbigliamento, accessori o caratteristiche estetiche considerate come attribuibili al genere opposto.9
Tra l’altro rientrano in questo ambito anche le modalità espressive che generano etichette come drag queen o drag king. Una drag queen è un uomo che si traveste da donna (una versione iper-femminizzata della donna) generalmente per fare spettacolo. Un drag king è esattamente l’opposto (donna che si traveste da uomo). Riguardo a questi casi, l’importante è ricordare che si tratta di show business, che non è automatica la sovrapposizione tra espressione di genere e orientamento sessuale (cioè: una drag queen / un drag king non è necessariamente una persona omosessuale, anche se spesso è così), che è assolutamente da evitare la parola “travestito”, molto in voga quando io ero adolescente e le performance in drag erano una curiosità più o meno rara, ma che oggi ha una connotazione negativa e dispregiativa.
Direi che già oggi l’espressione di genere è ampiamente rappresentata nei media (sono arrivati anche da noi i talent show sugli artisti che lavorano in drag, per esempio) e che anche da lì passa una rappresentazione del mondo più colorata, non solo in bianco e nero, in cui tutti, finalmente, possiamo esprimere lo stile che preferiamo, innamorarci delle persone che vogliamo, fare sesso con chi vogliamo, sentirci quello che sentiamo di essere, vivere la nostra vita, diversa da quella di chiunque altro al mondo. La sfera intima di un qualsiasi individuo, quindi, è veramente molto sfaccettata: abbiamo almeno cinque dimensioni all’interno delle quali possiamo posizionarci in diversi spettri di possibilità. Ed è questo il motivo per cui ribadisco sempre che, soprattutto dal punto di vista sessuale, ogni persona fa storia a sé.
[continua…]
Cosa mi gira in testa?
In questi giorni ho visto due film che mi hanno colpito al cuore, Monster di Hirokazu Kore’eda e Close di Lukas Dhont. Ti metto più sotto i trailer, intanto i titoli dei film linkano a una mia recensione più approfondita. Quello che un po’ accomuna questi due film pur così diversi è l’idea di un’intimità maschile, di una connessione profonda che tutti o quasi abbiamo provato e che solitamente si schianta in modo più o meno tragico contro il muro del patriarcato, dell’eteronormatività, dello stereotipo maschile e dei pregiudizi. In tutto questo io non mi azzarderei nemmeno a dire che Monster e Close sono due film queer: stiamo parlando di bambini (10 anni in un caso, 13 in un altro) e di amicizia profonda che ipoteticamente potrebbe trasformarsi in una relazione queer, ma questo resta sempre nel non detto.
L’immagine chiave di vicinanza in Close © A24
Se mi segui da un po’ sai che abbiamo parlato spesso di questo nodo che è al cuore della riflessione sul maschile all’interno della società patriarcale.10 Questi film mi agganciano (oggi dovrei dire mi triggerano) in un modo molto profondo perché ho ancora vivo il ricordo dell’intimità che si creava con i “migliori amici” tra i 10 e i 13 anni e del modo subdolo, insistente e brutale con cui questa intimità veniva di fatto cancellata (e se tu la volevi mantenere dovevi per forza essere gay). E perché questo ricordo rivive ai miei occhi nelle relazioni di mio figlio, nei suoi pigiama party, nei suoi abbracci e nella sua affettuosità che tempo un anno o due verranno inquinate dall’omofobia. Per cui sì, si piange molto vedendo questi film e direi che se sei un maschio adulto piangi ancora di più perché… capisci cose. O dovresti capirle, insomma. Ed è un prezzo un po’ alto da pagare per avere in cambio il privilegio di sputare su tutti gli altri.
Ti ringrazio di essere arrivato fin qua anche questa volta, e ti ringrazio anche perché grazie a questa newsletter mi sembra in qualche modo di recuperare un senso di intimità anche con te; anche se non ci conosciamo di persona. Mi farebbe piacere sapere se anche tu la pensi così.
Nel frattempo, cuorami, shareami, diffondi l’amore e se ti capita diffondi qualche monetina su Ko-fi (vedi GIF qui sopra) che quelle servono sempre, non lo nego ;-)
Alla prossima!
Grazie Pietro anche per questa puntata, il cui principio è lo stesso fondamentale pensiero che sta alla base del podcast "Tutti gli uomini" di Irene Facheris: parlarne con altri maschi, sempre (che poi è il punto 6, ed è sempre il più difficile).
Grazie anche per avermi ricordato di "Monster" e "Close", che mi ero segnato e guarderò a brevissimo.
La sei è veramente difficile, almeno per me, ma la più potente, almeno secondo me. Grazie per queste riflessioni, che ci spronano a fare ogni giorno un passo in più nella direzione giusta.