Superbowl della moda: Met Gala, desiderio e seduzione
Prendiamo spunto dalla sfilata di VIP organizzata da Anna Wintour per riflettere sulla moda, il desiderio e l'erotizzazione del corpo maschile
Lil Nas X in Luar - Screenshot dalla diretta di Vogue del 6 maggio 2024
Ciao! Ti sei fatto venire le occhiaie da deprivazione del sonno per vedere il Met Gala in diretta? Scommetto di no. Nessun problema, l’ho fatto io per te - lo faccio tutti gli anni da un po’ di tempo a questa parte. Lo chiamano il Superbowl della moda ma ovviamente è un paragone sui generis, giusto per far capire al maschio medio la portata culturale dell’evento. Doverosa premessa: se non sai nulla di nulla del Met Gala comincia da qui, che io non ho voglia di spiegare la rava e la fava.1
Voglio invece riprendere, rielaborandolo un po’, un vecchio testo che avevo scritto prima del lancio di Patrilineare (in un periodo in cui però stavo già meditando di tirar fuori dal cilindro la newsletter). Il Met Gala - in generale il mondo della moda - è sempre un ottimo spunto di riflessione per parlare di espressione di genere, di sguardi desideranti, di patriarcato in azione.2
Maïa Mazaurette, una saggista e artista francese3, sostiene da tempo la necessità di ri-erotizzare il corpo maschile. Cosa intende esattamente? Beh, in un certo senso è ovvio. L’uomo è da sempre il soggetto del desiderio, e non ne è (quasi) mai l’oggetto: “Gli uomini non hanno corpo”, diceva Virginie Despentes in King Kong Theory.4 L’uomo etero e cisgender non si pone mai il problema della bellezza. La donna deve essere bella, l’uomo non ne ha bisogno. Stereotipo avallato anche da indagini statistiche che vedono il genere maschile molto “indietro” su pratiche come lavarsi i denti più volte al giorno, cambiarsi la biancheria intima, farsi una doccia in più, lavarsi banalmente le mani. L’uomo ha da puzza’, l’abbiamo detto più volte.
Per fare “esplodere” i ruoli di genere, ormai stretti nel vicolo cieco del desiderio eterosessuale, occorre essere disposti (noi maschi) a viverci come oggetti, come recettori di uno sguardo femminile che possa restituirci l’eros (un female gaze, volendo). Dobbiamo metterci in uno stato di passività, ribaltando il preconcetto secondo il quale la sessualità maschile è solo attiva e quella femminile solo passiva e ricettiva.5 Essere passivi, oggetti del desiderio, per molti maschi è vietato perché è femminilizzante. E d’altra parte non si dice quasi mai ai bambini maschi che sono belli, che sono desiderabili: alle bambine, sì.
Alcuni schizzi di Maïa Mazaurette
Torno allora al tema iniziale della moda: perché un maschio etero e cisgender di mezza età (come me) dovrebbe seguire qualcosa come il Met Gala? È una domanda retorica il cui sottotesto è che il maschio si dovrebbe interessare piuttosto allo sport (pratica agonistica in cui un singolo o una squadra prevalgono e danno dimostrazione di forza/abilità). Interessarsi alla moda (cioè ad una forma di espressione artistica che più di ogni altra è soprattutto espressione di genere) ha invece una forte connotazione “da femmine”.
Secondo l’interpretazione corrente (diciamola come sta: secondo il patriarcato) la moda vista come strumento di seduzione è appannaggio femminile perché… perché è la donna che deve sedurre. La donna esiste per lo sguardo maschile e deve impegnarsi in una continua corsa alla seduzione del maschio che non fa nulla se non attivare il suo desiderio e porsi come destinatario del rituale della seduzione.
Harris Reed e Demi Moore in Harris Reed - Screenshot dalla diretta di Vogue del 6 maggio 2024
Ma usciamo per un momento dalla gabbia mentale che il patriarcato impone al maschio. Perché spero siamo tutti d’accordo che il patriarcato impone “gabbie” tanto al genere femminile quanto a quello maschile, costretto a vivere in una parodia di sé stesso nella costante e insensata celebrazione del proprio privilegio. Perché il maschio non dovrebbe essere seduttivo? Il desiderio femminile esiste, possiamo autorappresentarci come un oggetto del desiderio passivo destinato allo sguardo femminile. Perché no? Non siamo “costretti” a interpretare il ruolo che la società vuole che interpretiamo.
Questo vuol dire essere queer? Forse. Sicuramente non rientra nel canone eteronormativo e patriarcale che ci viene calato addosso dal momento in cui nasciamo. Taika Waititi, Andrew Scott, Barry Keoghan, Eddie Redmayne, sono “femminili” per il fatto di aver partecipato alla sfilata? Non credo, ma soprattutto credo che non sia questo il punto. Certamente, un personaggio come Lil Nas X - dichiaratamente gay e assiduamente impegnato in un costante e rivoluzionario atto di autorappresentazione erotica come uomo di colore e omosessuale - sfrutta la passerella del Met integrandola in un “pacchetto di comunicazione” che passa anche per i suoi videoclip, le sue interviste, i suoi concerti. Ma Donald Glover? Kieran Culkin? Jeff Goldblum?6
Taika Waititi e Rita Ora in Marni - Screenshot dalla diretta di Vogue del 6 maggio 2024
Il punto è che non è importante l’orientamento sessuale o l’identità di genere nel momento in cui voglio usare l’espressione di genere in modo fuori dagli schemi. Questo vuol dire non farsi inquadrare dal sistema patriarcale che detta la legge non scritta dell’uomo che deve vestirsi solo di nero, blu e marrone, vuol dire – anche se in minima parte e su un tema considerato frivolo – combattere il patriarcato dall’interno e ricercare una vera parità di genere. OK, magari non sarà il salario, ma è comunque una “parità di sguardi desideranti”.
Non importa che gli outfit maschili che vediamo al Met Gala siano considerati poi – anche da molte donne – inguardabili. Il punto è ribaltare la prospettiva e riappropriarsi del corpo (e dei vestiti) come mezzo di seduzione e di ri-erotizzazione del maschio. Questo per me è un gesto rivoluzionario. Questo è il motivo per cui guardo il Met Gala. Oltre che per pettegolare sulle celebrità che passano e fare le classifiche degli abiti più fighi.
Linkando qua e là
Articoli, post, notizie che mi hanno fatto pensare “aspetta che me lo segno per Patrilineare”…
Nimona, personaggio “autistic coded” - © Netflix
Su Ms. Magazine è uscito uno di quei pezzi che io trovo sempre molto interessanti, con una lista di personaggi animati autistici (o autistic coded, cioè non esplicitamente autistici ma con caratteristiche tipicamente associate allo spettro dell’autismo). Giustamente, anche ə bambinə neurodivergentə hanno bisogno di rappresentazione.
Qua non passa mese che in America non ci si avvicini di più a Gilead. Ora anche in Florida vietano l’aborto dopo la sesta settimana. Ormai per le interruzioni di gravidanza si possono misurare dei veri e propri flussi migratori.
Per ə lettorə millennial che si sono fatti rovinare la vita da quella simpatica TERF di JK Rowling: ci pensa Daniel Radcliffe a rispondere per le rime in quello che rischia di essere il dissing più assurdo della cultura pop. D’alta parte JKR ha dichiarato che lui ed Emma Watson sarebbero “celebrità che promuovono un movimento volto a erodere i diritti delle donne e a celebrare le transizioni di genere dei minorenni”.
Non bastava la loro indesiderata presenza negli ospedali e nei consultori: adesso i “pro-vita” stanno entrando anche nei centri antiviolenza. In questo reportage di Annalisa Camilli su Internazionale si fa il punto della situazione (che manco a dirlo è brutta assai).
La neuropsicologa Tiziana Metitieri su ValigiaBlu ci parla del panico morale intorno al binomio “smartphone/minori”. È sempre la solita storia: vietare non serve a nulla, piuttosto serve stare vicino ai ragazzi condividendo con loro per gradi le tecnologie digitali.
Date un premio a questa maestra, invece di licenziarla. Purtroppo certi gruppi di genitori sono il vero, indiscutibile cancro della scuola italiana.
In Belgio è uscita una nuova legge che regolamenta il sex work, stabilendo che ə sex worker possono avere contratti di lavoro dipendente. Il tema ovviamente è controverso (la prostituzione è depenalizzata in Belgio, ma c’è chi comunque fa l’equivalenza prostituzione/sfruttamento senza distinzioni). In Italia, l’ultimo dibattito significativo sul tema risale al giugno dello scorso anno, con il convegno “Sex Workers Speak Out” di Bologna.
Lilli Gruber ha scritto questo libro dal titolo molto cheeky “Non farti fottere”. Si parla di mercato del porno e di pornografia che in molti casi sostituisce la prima educazione sessuale dei minori “pilotando” il desiderio e portandolo su territori standardizzati e - ovviamente - patriarcali. Il libro non l’ho ancora letto, ma è indubbio che il tema è super interessante.
Il difficile equilibrio tra contrasto al body shaming e lotta all'obesità, spiegato da Anna Rita Cosso (presidente di Cittadinanzattiva). L’obesità è evidentemente una patologia sempre più diffusa tra i giovani ma a questa patologia è anche legato uno stigma che va combattuto anche perché genera spesso circoli viziosi da cui è difficilissimo uscire.
Chiudiamo per una volta con una buona notizia: il Consiglio dell’Unione Europea ha da poco rilasciato la tanto attesa Direttiva sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica. Non sarà perfetta, ma è qualcosa. Ovviamente adesso ci sono tre (3) anni di tempo per adeguarsi. Indovinate quanto tempo ci metterà l’Italia.7
Tre domande a… Daniela Losini
Da un punto di vista personale, Daniela Losini è una storica “amica di Internet” che stimo e apprezzo da lontano ormai da più di 15 anni. Ma Daniela è soprattutto Head of Beauty per Grazia.it e si occupa da anni di campagne digitali per luxury brand come Gucci, Chanel, Dior, Cartier, Lancome, Jo Malone, Armani, Dolce & Gabbana, Guerlain, Kenzo. La persona ideale cui rivolgere tre domande sulla moda!
Foto di Daniela Losini
Questo è uno dei periodi dell'anno in cui più si discute di moda: ma perché secondo te la moda è così legata al mondo femminile e non è considerata come un’espressione creativa genderless, come può esserlo il fumetto, il cinema, la pittura - per citare tre arti figurative?
Bisogna contestualizzare, secondo me: è molto probabilmente più giusto dire che in alcuni periodi come ad esempio questo, la moda esca dal suo perimetro. Chi ci lavora ci sta dentro ininterrottamente. I grandi eventi come gli Oscar o il Met Gala hanno un impatto quasi prepotente e finiscono con l'invadere feed e conversazioni fuori dall'ambito. Prendi la polemica, secondo me non del tutto centrata, che mette a paragone l'attenzione ricevuta dal Met rispetto all'attenzione dedicata alla terribile situazione a Gaza: non serve alla causa, anzi disperde forze attentive, che oggi sono diventate un bene preziosissimo, quasi più del denaro. Bisognerebbe anche stabilire che cosa significa la parola moda. Per me significa espressione di sé. Le radici del legame col femminile sono semplicemente più immediate oggi, ma se pensiamo al 1700 uomini e donne condividevano ciprie e merletti senza pregiudizi. Ti faccio un altro esempio che vale come tentativo di comprendere l’ennesima evoluzione che stiamo vivendo: alcuni indumenti sono considerati maschili o femminili per puro costrutto sociale. Quando le donne cominciarono a indossare i pantaloni ci fu un rifiuto totale perché ritenuti puro appannaggio maschile. Non mi addentro in profondità, ci si potrebbe scrivere centinaia di pagine sulla storia degli abiti e dei generi, ma in sintesi pensa a cosa succede oggi quando un uomo decide di mettersi la gonna. Siamo immersi in una costante valutazione dell’altro come se dovessimo dimostrare sempre di adempiere al dovere delle tradizioni e del ruolo convenzionale cui si pensa di dover aderire. La moda è un'espressione culturale stratificata, complessa, e non si può ridurre né a una firma né a un giudizio superficiale né a un genere. Fa solo più fatica delle altre arti figurative perché stupidamente viene considerata superficiale, mancando quindi per chi la considera così la possibilità di rendersi parte di una ulteriore e naturale capacità espressiva del sé.
Secondo stereotipi di genere duri a morire la moda è per le femmine, al massimo per i gay. Non è sempre stato così, ovviamente. Secondo te può esistere un punto di vista diverso - ad esempio maschile etero e cisgender - sulla moda?
Capisco la necessità di dire le cose in modo nuovo perché bisogna allargare gli orizzonti, ma mi rifiuto di ripetere lo stesso errore di inscatolamento come unica soluzione per decostruire uno stereotipo. Come indicazione generale ci sto; come assoluto, no. Per me ha senso che esista un punto di vista che raccolga tutto lo spettro dei punti di vista, poi possiamo dargli il nome che vogliamo ma possibilmente senza ripetere le stesse dinamiche delle gabbie nelle quali ci siamo infilati fino a ora perché non mi pare che ce la siamo cavata benissimo, visto che ci stanno strette e ci impediscono di evolvere. Mi rendo conto anche che il cambiamento passi attraverso nuove definizioni ma facciamo in modo che non siano l'ennesima scusa per rimanere immobili. Io mi penso queer oggi perché nel 2024 ha un certo significato nel quale mi rispecchio: ma se tra cinque anni arriva una parola migliore per definirmi cosa faccio, non mi do la possibilità di sperimentare una strada? Detta questa premessa, la moda può essere vissuta in cento maniere diverse aprendo orizzonti, per cui sta al singolo -se è interessato - crearsi o auto validarsi la propria intersezione.
Sono d’accordo che sia meglio pensare “fuori dalle scatole”… Faccio un altro ragionamento azzardato: secondo te la moda può contribuire ad erotizzare il corpo maschile, in un certo senso controbilanciando il male gaze e catalizzando il desiderio femminile?
Secondo me questa ipotesi può andare bene come entry level di ragionamento scardinatorio ma poi per forza di cose bisogna che si esca dalle estremizzazioni che inevitabilmente produrrebbero infelicità sul lungo termine. Il pensiero di equilibrare in modo algebrico le disparità non può produrre niente di fattivo e utile. Almeno fino a ora non mi pare che nelle questioni di genere sia stato particolarmente di aiuto. Il desiderio, poi, secondo me ha un suo percorso disgiunto, quindi prima sistemiamo l'asfalto bucato e poi pensiamo alle auto fighe con cui viaggiarci…!
Cosa mi gira in testa?
Tra il Met Gala da una parte e l’Eurovision Song Contest che va a concludersi stasera dall’altra, la queerness televisiva in questo scorcio di maggio è assicurata (io tengo per i finlandesi, as usual). C’è però anche un’altra cosa che va in rotazione costante in questi giorni. Ho vinto la mia resistenza a guardare serie spagnole, una regola interiore che ho maturato durante le interminabili stagioni di La casa de papel e che si è praticamente “scritta nella pietra” una volta visti pochi minuti di Elite o di Berlino. L’ho vinta grazie a
e che mi hanno convinto a iniziare la visione di Machos Alfa su Netflix.8 La pensavo una grandissima cagata e invece no. Ci sono tutti i temi che tratto su Patrilineare declinati in chiave comica ma mai banale o becera… insomma, una piacevole scoperta, grazie!I quattro machos alfa - © Netflix
Soprattutto è fondamentale sapere che “maschilista” in spagnolo si dice “machirulo” e la cosa mi fa sempre molto ridere! Dal punto di vista dei libri, magari ti dirò qualcosa di più nel prossimo Patrilineare, quando sarò al verde per le troppe spese pazze fatte al Salone del Libro di Torino. Per ora, come è prevedibile, sto leggendo Ricordatemi come vi pare, l’ormai secondo libro postumo di Michela Murgia, curato da
e Beppe Cottafavi. Essendo un testo ricavato dalle ultime chiacchierate con Michela dell’estate 2023, è facile ritrovarvi il suo stile oratorio lucido e caustico in una serie di frammenti che gettano anche nuova luce su tutti i suoi scritti precedenti.Questa volta ti saluto con una piccola richiesta diversa dalle solite: per adesso non intendo rendere a pagamento Patrilineare (tutta la newsletter o parti di essa), però non posso negare che è un notevole impegno di tempo continuare a postare regolarmente… e a volte anche di denaro, se per esempio voglio acquistare libri o abbonamenti per approfondire qualche tema particolare. Per questo motivo ho fatto un piccolo esperimento e ho attivato una pagina su Ko-fi: puoi donarmi 2€ al mese o farmi una donazione una tantum di 2€, vedi tu. Se ne hai voglia. Per me sarebbe comunque un aiuto grande. Un bacio e alla prossima.
Ma se noi guardiamo ai must maschili del patriarcato (lo sportivo) anche il maschile ha il suo codice sessuale di riferimento. Non è vero che non c'è un corpo o una livrea maschile fatto per la donna. Come lo chiamiamo il "fascino della divisa"? La moda maschile del 500 era coloratissima, anche quella del 100 e 200, a giudicare da quadri e affreschi. Che ne pensi?
"occorre essere disposti (noi maschi) a viverci come oggetti, come recettori di uno sguardo femminile che possa restituirci l’eros (un female gaze, volendo)."
Bello, anzi bellissimo, ma doloroso nella mia esperienza personale. Ricordo di aver sperato a lungo, in giovinezza, che mi accadesse di essere desiderato, non avendo però a disposizione alcuno strumento oppure alcun piano affinché potesse accadere. Un giorno smisi di sperare, forzai quella che ritenevo essere la mia naturale attitudine alla "passività", iniziai a comportarmi come si richiedeva al mio genere (attivamente) e le cose sul piano relazionale iniziarono ad accadere.
Magari fui sfortunato, magari impreparato, magari era inadatto il contesto: non ho la risposta ma la tristezza di quegli anni la ricordo bene.