Dal mansplaining alle molestie, dieci perle dal mondo del lavoro
Dice che fare i pezzi ad elenchi numerati è più comprensibile: il patriarcato in ufficio si presta bene all'opera.
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Ciao! Spero che questa email ti trovi ben Come specificato nella mail preced Ti metto in copia di quest… Ci siamo capiti.
Volevo iniziare con le classiche formule “da ufficio” ma lo faccio già centocinquanta volte al giorno, non mi sembra il caso di farlo anche qua. Spero comunque tu stia bene, ovviamente. Io come tutti gli inverni veleggio tra influenze e bronchiti, ma per fortuna esistono i farmaci, altrimenti febbraio sarebbe insostenibile.
Il tema di questa uscita, lo avrai capito, sono le dieci cose più frequenti (ovviamente tutte negative) che possono capitare in un ufficio: queste cose sono ben note alla metà femminile della platea. Ma se sei un maschio etero cis, conviene che tu impari a riconoscerle tutte (anche nei tuoi stessi comportamenti) per provare a sradicarle almeno un po’. La cultura aziendale italiana, infatti, è impregnata di privilegio maschile, di paternalismo, di patriarcato “dal volto umano”. A volte può sembrare impossibile contrastarlo, ma vale sempre la pena provarci.
Cominciamo con il mansplaining. Confido che tu sappia cos’è il mansplaining. Se non lo sai dovrei spiegartelo, ma, come dire… sarebbe un mansplaining. Nove milioni e mezzo di donne che lavorano1 in ufficio, in negozio, in fabbrica, sanno cos’è il mansplaining perché lo subiscono probabilmente più di una volta al giorno. A noi maschi piace troppo insegnare a queste curiose creature che si ostinano a lavorare con noi come vanno fatte le cose, come va il mondo o perché una cosa si fa così e non cosà. Tante volte lo facciamo anche quando il divario di competenze rende il mansplaining assurdo. Quando stai per spiegare qualcosa a una donna (ma in generale, a chiunque), morditi prima la lingua e pensa “Sto per dire una cosa utile?” e poi “Sto per farmi una figura di merda parlando di qualcosa che non conosco solo per fare il figo?”. Se le risposte sono “Sì” e “No” (rispettivamente), allora parla.
Un’altra cosa che succede alle donne che lavorano (anche non sul lavoro, ma diciamo che sul lavoro è peggio) sono gli apprezzamenti non richiesti. Tempo fa avevo un collega che nei corridoi dell’azienda urlava “Principessaaaaa! Vie’ qqua” a tutte le colleghe giovani e carine che entravano nel suo campo visivo. Inutile dire che lo odiavano tutte. Ecco, anche senza arrivare al catcalling, quelle cose tipo “Quanto sei in forma oggi, mi sfidi la legge di gravità” o “Ma tua madre è una ladra? Ha rubato due stelle e te le ha messe al posto degli occhi” sarebbero da evitare.2 Scherzi a parte, non è che non si possano fare complimenti a una donna che lavora con te: basta non farli per forza sul suo aspetto fisico.
Una delle esperienze chiave della donna che lavora è il colloquio di assunzione. Dal colloquio si capiscono molte cose della cultura aziendale. La domanda-spia alla quale nove milioni e mezzo di donne (ma anche qualche migliaio di uomini) hanno dovuto rispondere è “Hai intenzione di avere figli?”. Il sottinteso è chiaro. Se fai figli non puoi più dedicare tutto il tuo tempo all’azienda. Magari - dio non voglia - chiedi il part-time. Magari pretendi di conciliare i tuoi tempi di vita con quelli di lavoro, lasciando i merdoni da risolvere aə colleghə che non hanno figli. A certe aziende piace molto propugnare questa cultura del lavoro a tutti i costi, dello straordinario perenne, del burnout garantito. Le cose un po’ si stanno muovendo su questo fronte, ma non è ancora abbastanza.3
Un’altra croce è quella del capo terribile.
su questo ci ha scritto un intero libro (“Il pessimo capo”, appunto) che andrebbe studiato da tutti i lavoratori dipendenti del Paese. Il capo terribile a volte può essere anche una donna che ha introiettato le regole del patriarcato nella speranza di essere definita “una con le palle” e di poter avere un posto al tavolo dei manager. Ma più spesso è un MBEC sopra i cinquant’anni con un’indole da narcisista psicopatico. Il capo terribile solitamente le ha tutte, fa mansplaining, fa apprezzamenti, fa domande inopportune ai colloqui di assunzione, è il capobranco di una serie di wannabe maschi alfa, guadagna cifre insensate a fronte di una competenza assolutamente non adeguata al ruolo.4“You guys are clearly not doing patriarchy very well” - Photo © Mattel Films
Poi, chettelodicoaffà, il mobbing. Questo lo conoscono tutti, maschi, femmine e identità non conformi. Il mobbing non è un fenomeno tipicamente legato al genere, ma quando capita si manifesta ad esempio con demansionamenti post-maternità o resistenza a concedere giorni di congedo parentale.
Quando il mobbing insiste sul genere, di norma è perché si basa su stereotipi professionali che negli uffici italiani sono estremamente diffusi. Tipo che le donne “in quei giorni” sono meno produttive, che se possono fanno “cadere la penna” alle 16:00 perché devono andare a prendere ə bambinə a scuola, che non sono adatte ai lavori “hardcore” (quelli tradizionalmente maschili come il poliziotto, il pompiere, il capocantiere, cose così). Grazie alla madonna dall’Europa ci vengono in aiuto così.
Brodo di coltura di tutti i fenomeni descritti è ovviamente la chat di gruppo dei colleghi di ufficio, dove per l’1% si parla di deadline o commesse di lavoro e per il 99% del culo della stagista o di che voto dare in scopabilità alla nuova assunta. Non sto dicendo che tutte le chat di gruppo siano così, ovviamente (la mia non lo è, ma perché lavoro in un ambiente tradizionalmente a maggioranza femminile, la Pubblica Amministrazione). Ma chat così esistono, e lo sapete bene.
Dalla chat alle molestie vere e proprie il passo è breve. Una sextortion di qua, una mano morta di là, quando non arriviamo direttamente allo stupro che - ricordiamocelo - avviene la maggior parte delle volte ad opera non di “sconosciuti che ti abbordano per strada”,5 ma di amici, fidanzati, mariti e qualche volta anche colleghi. Ad opera nostra, in una parola. Qui vorrei ribadire l’ovvio: è inutile e ti fa sembrare anche stupido dire “non tutti gli uomini sono così”. Grazie al cazzo, non sto dicendo che io o te nello specifico siamo stupratori. Sto dicendo che viviamo in un brodo culturale che nel caso ci permetterebbe di diventarlo, e probabilmente di cavarcela con un buffetto. Ed è con questo brodo culturale che dobbiamo prendercela, non con Fabrizio, con Edoardo o con Giancarlo.
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Gli ultimi due fenomeni di cui vorrei parlarti sono l’accesso alle posizioni manageriali e il divario di genere percepibile in busta paga. Anche su questo si sta lavorando molto, ma a quanto pare mai abbastanza. Una donna che percepisce uno stipendio più basso del suo pari grado maschio, o che si vede superata nella carriera da un maschio per questioni puramente di genere, non sarà molto motivata a continuare. E infatti, sorpresa! Una donna su cinque abbandona il lavoro dopo il primo figlio.
Aziende come TIM, che è uscita da qualche tempo con uno spot a tema (secondo me imbarazzante, poi se volete ne parliamo) parlano di parità di genere mostrando una donna sola costretta a spaccare un muro con le sue scarpette rosse, mentre la voce off recita il rosario di quanti anni ci vorranno ancora perché le cose cambino. Perché le cose cambino, forse è il caso di ricordarlo, non è la persona in condizione di subalternità che può ribaltare il sistema, ma chi detiene il potere che deve accettare di cambiare le cose.
Poi è chiaro che questo è uno degli obiettivi dell’Agenda 2030, quindi tutti si stanno affrettando a pubblicare relazioni su diversity & inclusion, politiche di remunerazione e quant’altro. Sacrosanto. Ma questo è un gradino da cui partire, non un punto d’arrivo. Se a livello economico non siamo noi ad avere il coltello dalla parte del manico, a livello culturale sì. Se nella tua azienda noti questi comportamenti, è importante denunciarli subito, portarli allo scoperto. Se ti è capitato di comportarti tu stesso così, vale la pena riflettere e chiedersi in che tipo di mondo vuoi vivere.
Incrostarsi nel patriarcato non farà mai aumentare il PIL, ascolta un cretino.
Linkando qua e là
Articoli, post, notizie che mi hanno fatto pensare “aspetta che me lo segno per Patrilineare”…
Un coglione pericoloso - Elaborazione da Wikimedia Commons
Per la serie: buone notizie sul fronte della scuola (o comunque belle cose da vedere), vi segnalo due webinar curati da Barbara Mapelli e Irene Blemmi per Mondadori Educational. Il primo è sugli stereotipi femminili e maschili e la pedagogia di genere - che con un gioco di parole molto azzeccato le autrici definiscono “un sapere fluido”). Il secondo è sulle nuove parole da usare per affrontare i soliti vecchi problemi. Le relatrici sono anche autrici del libro “Pedagogia di genere. Educare ed educarsi a vivere in un mondo sessuato”. Consigliatissimo, ovviamente.
Per la serie pessime notizie, invece, il problema del crescente sentimento misogino nella Gen Z sottolineato dal Guardian in questo articolo. Ovviamente si tratta di sondaggi e quindi di dati da prendere cum grano salis, come diceva il mio professore di latino, ma è indubbio che il web sia ormai pieno di soggetti come il coglione che ho messo nella foto qui sopra6, al quale è dedicato un approfondimento sempre del Guardian che evidenzia come questo tipo di influencer sia un sintomo più che una causa del problema.7
Una cosa da firmare: l’associazione Genderlens, già da fine gennaio, ha redatto questa lettera aperta contro l’ispezione al Careggi, l’ospedale fiorentino il cui dipartimento che si occupa di “Incongruenza di genere” è sotto il Grande Occhio di Gasparri, convinto che “nessuno pensi ai bambini”. Difendiamo l’infanzia e l’adolescenza trans: io ho firmato, tu puoi ancora farlo.
Sempre dal Guardian, che in questi giorni offre molti spunti, un approfondimento su come il porno modella il desiderio maschile. Lo modella male, ovviamente, soprattutto se pensiamo che quasi il 40% dei bambini sotto i 13 anni vede regolarmente porno on line e che questo implica una dipendenza da stimoli forti che fanno perdere completamente interesse nel sesso “reale” (oltre ad essere praticamente la bibbia della mascolinità tossica).8
L’ho citata la volta scorsa e ti ho promesso qualcosa in più su Shere Hite, la ricercatrice femminista che nel 1976 sconvolse il mondo con il suo Hite Report. Qui c’è un suo inedito ritratto scritto dall’autrice Joanna Briscoe che ha vissuto con lei per diversi anni. Oggi Shere Hite (scomparsa nel 2020) è oggetto di un documentario che sembra molto interessante: “The Disappearance of Shere Hite”.
La sex/ed che vorrei
Siamo di nuovo qua a parlare del pisello (aka “il pene”) in questa serie a episodi sull’educazione sessuale familiare che come padre tento di passare alla generazione successiva, che ovviamente non mi ascolta e “si dissocia”, ma prima o poi - io spero - gli tornerà utile.
Ep. 2 - Il migliore amico dell’uomo
Scusami se continuo a usare questa parola buffa che ci riporta ad una dimensione un po’ infantile. Però è innegabile: fa sempre sorridere usare la parola “pisello”, con quell’immagine di baccello che racchiude i suoi frutti. Il fatto è che non sono qui a scrivere un testo di educazione sessuale in cui è obbligatorio chiamare il pene con il suo nome corretto e nemmeno voglio fare il provocatore a tutti i costi e usare “cazzo”, “fava”, “nerchia”, “verga”, “bigolo”, “belino”, “minchia” o qualunque altra declinazione regionale. Si tratta piuttosto di avere consapevolezza di tutto quanto “fa” il maschio e tradizionalmente noi maschi diamo una grandissima importanza ai nostri genitali: forse perché stanno lì, in evidenza, e in un certo senso si impongono all’attenzione.
Con la pubertà, dicevo, il pisello cresce. I testicoli cominciano a produrre spermatozoi. Le erezioni non arrivano più soltanto per sfregamento meccanico o per un afflusso improvviso di sangue, ma arrivano pensando a qualcosa o qualcuno, magari vedendo un’immagine oggettivamente neutra che a te sembra incredibilmente erotica o anche sognando. Ed è proprio sognando che spesso, durante la pubertà, avviene la prima eiaculazione - l'emissione di seme durante un orgasmo.
Al maschio quindi cominciano ad aprirsi le porte dei misteri del sesso. Il primo mistero di solito è “sarò normale?”, che a sua volta si ramifica in numerosi altri dubbi che comprendono:
sarà normale essere sempre eccitato?
sarà normale la dimensione del mio pisello?
sarà normale masturbarsi con la frequenza con cui lo faccio?
sarà normale la quantità di sperma che esce quando vengo?
sarà normale… [inserisci qui il dubbio che ti attanaglia]
La risposta generale è sì: è tutto normale. Poi ovviamente ci sono alcune cose da vedere nel dettaglio. Negli anni ti abbiamo sempre fornito (almeno spero) un’educazione alla sessualità onesta, equilibrata e tarata sulla tua età.9 Magari facciamo comunque un ripasso sulla parte più importante del corpo di un adolescente maschio. Conoscersi è il primo passo per apprezzarsi e sapersi comportare.
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Abbiamo sempre l’impressione che il pisello sia una parte del corpo misteriosa e magica, data la sua attitudine a comportarsi in maniera indipendente dal resto del corpo o dalla volontà del portatore. Visto da vicino, quando è a riposo, è un organo cilindrico un po’ buffo che nasconde al suo interno delle strutture chiamate corpi cavernosi (e c’è anche un corpo spongioso). Durante l’eccitazione, il sangue affluisce maggiormente nella zona: i corpi cavernosi si riempiono, proprio come una spugna, e induriscono l’asta. In cima al pisello c’è il glande, solitamente coperto dal prepuzio (a meno che tu non sia circonciso). Il glande è collegato al prepuzio da un filetto di pelle chiamato frenulo.
Non dimentichiamo, ovviamente lo scroto e i suoi due abitanti, i testicoli, familiarmente chiamati “palle” o più volgarmente “coglioni”. I testicoli - insieme alla prostata, la ghiandola che sta alla radice del pene, e alle vicine vescicole seminali - producono lo sperma che fuoriesce dall’uretra, il canale che dalla vescica arriva fino all’apertura sul glande.
Ora, dopo questa brevissima e certamente incompleta descrizione anatomica (ma queste sono cose che probabilmente hai studiato a scuola) veniamo alle risposte importanti. È normale averlo sempre duro? Diciamo che da ragazzi succede spesso. Indubbiamente è causa di notevoli imbarazzi, ma è una cosa che capita a tutti. Non deve destare né preoccupazione né immotivato orgoglio, è fisiologia, sono gli ormoni, è che è tutto nuovo e misterioso.
La dimensione del pisello, poi. È una cosa che ci ossessiona per tutta l’adolescenza. Ma di brutto, eh. Non s’è mai visto un adolescente maschio senza un righello in mano. La preoccupazione sulle dimensioni del pisello è quella che ci spinge negli spogliatoi o nei bagni a confrontare, disquisire, vergognarsi o inorgoglirsi, farsi venire le paranoie nella maggior parte dei casi. Ma - esattamente come siamo tutti diversi gli uni dagli altri - guarda un po’: anche i cazzi esistono in miliardi di configurazioni diverse. Grandi, piccoli, medi, allungati, sottili, larghi, curvi, storti, circoncisi o meno, più o meno pelosi, a volte un po’ bitorzoluti, ma quasi sempre normalissimi.
La lunghezza media di un pisello in erezione è di 15 centimetri, e comunque in generale si va dai 12 ai 18 centimetri: ecco, diciamo che puoi metterti l’animo in pace, il tuo pisello va benissimo così com’è. Totalmente inutile confrontarlo con le vagheggiate dimensioni dei divi del porno. Conoscere bene quello che un vecchio libro di vignette definiva “il migliore amico dell’uomo”10 vuol dire anche sapersene prendere cura. E abbiamo due modi per farlo: uno dovrebbe esserti noto fin dalla più tenera età, l’altro potresti averlo imparato da poco.
[continua…]
Cosa mi gira in testa?
La volta scorsa non ho fatto in tempo a far uscire la newsletter che - la sera stessa - sono andato a vedere Poor Things di Yorgos Lanthimos. Il classico film che si ama o si odia (nella mia “cerchia sociale”, fatta di gente che frequento on line e gente che frequento nella vita reale, direi 50 e 50). Poor Things è ormai diventato un caso: è un film femminista? È una riproposizione disgustosa del male gaze? Non è così semplice. Poor Things è un film problematico, di cui ho parlato più diffusamente qui (ma avevo la febbre mentre scrivevo, quindi prendi la sintassi con le pinze).
Emma Stone è curiosa - Photo © SearchLight Pictures
Questa appena passata, invece, è stata la “settimana santa” di Sanremo, momento in cui anche io come tutti gli appassionati di cultura pop mi fermo ad osservare l’evoluzione del costume nel cosiddetto Paese reale. Di musica che posso definire nelle mie corde ne ho sentita poca, ma di cose che voi umani non potete immaginarvi ne ho viste parecchie. Quest’anno ho deciso che tutti i miei sproloqui sul tema li avrei registrati su Threads, e quindi lì li trovi (se vuoi seguirmi, sia su Threads che su Instagram cerca @pietroizzo).
Anche stavolta, come ogni volta, un grazie di cuore in particolare a tuttə quellə che continuano a iscriversi: siamo quasi a quota 500 e la cosa non mi sembra vera, perché questo non è un social ma uno strumento che arriva direttamente nell’intimità delle caselle email e per me la responsabilità è molto più forte. Prenditi cura di te, alla prossima.
Condivido subito il tuo progetto con qualche maschio della mia vita.
Ricordo il mio ultimo lavoro da dipendente (poi mi sono data alla libera professione): il titolare dell’azienda di comunicazione/traduzioni (uomo) capo di nove dipendenti donne che d’estate lavorava a torso nudo “perché aveva caldo”… ho resistito 7 mesi in quell’ufficio (dove l’assenza di T-short era ovviamente l’ultimo dei problemi)…