Non puoi essere quello che non vedi
Torniamo sul discorso della media representation: esigenza commerciale o strumento di identificazione per minoranze sotto-rappresentate? O entrambe le cose?
Barney e Logs in Dead End: Paranormal Park, © NBC Universal / Netflix
Ding! Sono tornato. La tua mail non fa “ding”? Dovrebbe. È un suono molto festoso che in questo caso annuncia una nuova infornata di notizie e flussi di coscienza vari orientati a presentarti in maniera molto confusa tanti modi alternativi di essere maschio. O di essere padre. Oggi pensavo di parlarti di un argomento familiare a molti padri e cioè i cartoni animati.
In particolare, il problema della rappresentazione nei cartoni animati delle minoranze (e per minoranze intendo sia protagoniste femminili di rilievo, tradizionalmente assenti nella narrazione animata occidentale, sia personaggi appartenenti a minoranze razziali o di genere).1 È fuor di dubbio che nell’ultimo decennio la produzione animata soprattutto di Cartoon Network ma a volte anche di Disney Channel, Nickelodeon e Dreamworks si sia spinta verso un riconoscimento “di fatto” di soggettività con un orientamento non eterosessuale o - più recentemente - con un’identità di genere non conforme (personaggi dichiaratamente transgender).
Quando guardi con tuə figliə una serie animata sulla TV generalista o sulle piattaforme, quindi, è più facile incontrare quella che chi lavora nei media chiama diversity e che può essere definita semplicemente come la volontà di mostrare diverse soggettività dando a tutte la stessa legittimità. Passa anche da qui la costruzione di una società migliore. Poi, ovviamente, c’è anche chi fa caso a queste cose proprio con il preciso scopo di evitarle (Giancoso, per esempio, fa così): non sia mai che in un “cartone per bambini” si nomini l’innominabile e si mostri una relazione omoromantica o un personaggio transgender.
Comunque sia, nel 2021 Business Insider (non l’ultimo arrivato nel mercato dei media di informazione economica e sociale) fa uno studio abbastanza approfondito programmaticamente intitolato “259 personaggi LGBT nei cartoni che smentiscono il mito che i bambini non possano gestire l’inclusività”. La ricerca si accompagna ad un vero e proprio database consultabile on line dove troviamo - serie per serie - tutti i personaggi queer catalogati accuratamente. Ci sono personaggi la cui identità di genere o il cui orientamento viene svelato attraverso il dialogo (dichiarazione esplicita, insomma), e personaggi di cui intuiamo qualcosa in più per via di come si pongono nei confronti di altri personaggi (ad esempio hanno un interesse omoromantico) o semplicemente la voce scelta per il doppiaggio appartiene a una persona gay, lesbica, transgender, non binaria.
I campioni della queerness nel campo dell’animazione seriale americana sono sicuramente Steven Universe (Cartoon Network), She-Ra and the Princesses of Power (Dreamworks Animation) e The Owl House (Disney Television). Non ci deve stupire che a creare questi mondi animati siano state tre autorə queer: Rebecca Sugar (non binaria), Noelle - oggi ND - Stevenson (transgender) e Dana Terrace (bisessuale). Tre serie molto articolate e affascinanti che - posso assicurarlo per esperienza personale - possono essere viste con i bambini senza paura che “diventino gay”, anzi con la consapevolezza che oltre alle avventure magiche e spaziali c’è una buona dose di esplorazione dell’emotività dei personaggi e delle relazioni molto sfumate tra loro. Steven Universe in particolare (in passato ne ho scritto qui e qui) condensa in puntate da 11 minuti un’educazione alle emozioni che i bambini della mia generazione potevano solo sognarsi, senza contare il largo spazio dedicato ai problemi di salute mentale o di neuroatipicità dei personaggi.
In generale possiamo dire che Disney ha un approccio più cauto (molto spesso sono comparse o personaggi molto secondari ad essere LGBTQI+) mentre Netflix ad esempio ha un approccio decisamente più pazzo: si veda Dead End: Paranormal Park in cui i due protagonisti sono un ragazzo trans e una ragazza pakistana, lesbica e neurodivergente. Sulla carta un abbinamento folle (ma in realtà già sulla carta i graphic novel della serie Deadendia di Hamish Steele spaccano), eppure la serie a tema dark fantasy è godibilissima, e il fatto che Barney sia transgender è spiegato con grandissima semplicità e naturalezza, come dovrebbe essere sempre2.
Se poi andiamo a pescare nell’oceano degli anime, troviamo anche qui decine di personaggi amatissimi che sono queer o queer coded3: posso citare al volo alcune serie vecchie e nuove dove la cosa è abbastanza evidente, come Kill la Kill, Card Captor Sakura, Sailor Moon, Revolutionary Girl Utena, Lady Oscar, Bleach, Puella Magi Madoka Magica, Hunter x Hunter, e via dicendo. Se sei unə di quellə che bazzicano Crunchyroll, la serie anime dell’anno per me è Wonder Egg Priority: Momo Sakae è un personaggio dichiaratamente transgender4 e non solo lo dice, ma passa un intero episodio ad interrogarsi sulla sua identità di genere.
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Non esistono solo le serie queer, comunque: prima ancora, il “soffitto di cristallo” dell’animazione come prodotto quasi totalmente riservato a piccoli maschi bianchi etero e cisgender è stato frantumato da protagoniste/eroine femminili forti e non necessariamente interessate a una relazione romantica: dalle Powerpuff Girls a Kim Possible fino a Hilda, passando per le DC Super Hero Girls, Legend of Korra, Miraculous5 e Amphibia. Poi finalmente sono arrivati anche i primi protagonisti neri, o per usare un acronimo anglosassone BIPOC6: dalle prime serie all-black come The Proud Family fino a Craig of the Creek che - creato a sua volta da showrunner che si sono fatti le ossa con Steven Universe - è un concentrato di diversity attualmente senza rivali.
Ora: come forse potete immaginare c’è chi ha reazioni scomposte a questo panorama mediatico (vedi sotto). Sclerano perché i gay e le persone transgender sono ovunque e si sentono accerchiati. Sospettano che sia un complotto della lobby LGBTQI+ per fare il lavaggio del cervello ai bambini. In realtà, a voler essere proprio in malafede, possiamo pensare che sia una mera strategia commerciale - peraltro valida - per allargare la base di spettatori: la teoria del “lock” illustrata nella quarta stagione di Boris ha certamente qualcosa di vero. La legittima aspirazione alla diversity a volte diventa un casellario automatico da spuntare per assicurarsi di aver incluso tutte le minoranze sottorappresentate. Qui il problema è distinguere un’opera sincera e ben scritta da una “basata sull’algoritmo”… e alla fine i gusti sono gusti.
In ogni caso, una cosa va tenuta a mente: realizzare un prodotto di intrattenimento come una serie animata che punta sulla diversità dei personaggi ha tutto di positivo. Non puoi essere quello che non vedi, e se sei un adolescente che si interroga sulla propria identità e non vedi mai una persona gay, transgender o non binaria, non potrai mai capire che non hai nulla di sbagliato e che esistono storie anche per te. Se una cosa è vista e nominata, allora diventa reale.
Linkando qua e là
Articoli, post, notizie che mi hanno fatto pensare “aspetta che me lo segno per Patrilineare”…
Chip Chilla rimette a posto il gender: mamma ai fornelli, papà legge il giornale - © Bentkey
L’hip hop è rappresentazione, storytelling, al meglio delle sue possibilità si basa su storie di vita. Ma è anche un genere intrinsecamente sessista. Wissal Houbabi (curatrice del festival BoloBeat e autrice di un interessante testo su femminismo e rap) propone dalle pagine di Rumore una playlist di “rap femminista” tutta da ascoltare. Ne riparleremo.
Su MS. Magazine è uscito un pezzo molto interessante sul cosiddetto “revenge porn” e sul perché non dovremmo chiamarlo “revenge porn”. In sintesi, “The term “revenge porn” gives the mistaken impression that the crime should be defined based on whether the perpetrator intended harm“.7 Il caso specifico riguarda la campagna elettorale di una candidata alla Virginia House of Delegates.
Ovviamente il discorso sulla media representation che ho fatto più sopra non va assolutamente giù all’ultradestra americana, che sta già mettendo in atto una controffensiva mediatica. Esiste una piattaforma di streaming “conservatrice”, Bentkey, che programma la serie animata per bambini in età prescolare che vedete in foto, Chip Chilla, che a molti è sembrata una scopiazzatura indegna di Bluey.8
In un pezzo su Internazionale, Francesca Coin racconta la sua esperienza personale nell’ambito di un’iniziativa per tenere alta l’attenzione sulla violenza di genere. Si riflette su un episodio di stupro ma anche su come questo possa essere “riconosciuto” anche anni dopo, grazie ad una maggiore consapevolezza sul consenso.
Dialoghi con Giancoso
Giancoso l’hai incontrato qui prima di Natale, e direi che non ha bisogno di troppe presentazioni: sicuramente lo conosci anche tu. Giancoso lo trovi al supermercato, fuori da scuola, più spesso anche on line, che ti fa le domande con un sorrisetto che sottintende “ma dai, mica la pensi così veramente” e “io e te sì che lo sappiamo che i maschi sono le vere vittime di questa cazzo di società al contrario”.9
Portrait of Giancoso - Photo by stockking on Freepik
Giancoso - Senti: io capisco e accetto l’omosessualità, ma questa cosa del gender non ti sembra inaccettabile?
Patrilineare - Ciao Giancoso, e grazie come sempre delle tue preziose domande. Per cominciare voglio dirti una cosa: non esiste “IL GENDER”. Quando io dico “il gender” solitamente lo dico in senso ironico. “Il gender” detto così è un’abbreviazione per la cosiddetta “teoria del gender”, che è un termine ombrello quasi sempre usato in tono denigratorio nei confronti della tradizione dei gender studies nei paesi anglosassoni. Secondo chi parla di teoria - o “ideologia”, nientemeno - del gender, c’è un complotto internazionale per far sì che diventiamo tutti fr*ci (e quindi ci estinguiamo non procreando più figli per la patria) o tutti transgender (e quindi “non si capisce più nulla”). Quindi: il gender non esiste; esiste però l’identità di genere come una delle componenti dell’identità personale. Mi fa piacere che tu abbia tanti amici omosessuali e che tu ti senta a tuo agio con loro. Adesso forse potresti fare un piccolo passo in più e scoprire che magari hai degli amici che non si riconoscono nel genere maschile (o amiche che non si riconoscono nel genere femminile) pur non essendo omosessuali, pensa. Sono due cose diverse. Ci sono molte componenti che determinano l’identità di un soggetto… il mondo è un po’ più complesso di come lo immaginiamo noi. Anzi, lasciami dire: “Ci sono più cose in cielo e in terra, Giancoso, di quante tu ne possa sognare nella tua filosofia”.
Giancoso - Però, insomma… in natura ci sono solo due generi: allora perché adesso sono tutti fluidi?
Patrilineare - Scusami, Giancoso: al massimo volevi dirmi che in natura esistono solo due “sessi”, intesi come sesso biologico. E comunque esistono le persone intersessuali, per dire. Se invece volevi proprio dirmi che in natura esistono solo due generi, devo bacchettarti subito. il “genere” inteso come identità di genere è un costrutto sociale, è un’idea che abbiamo di noi stessi, è una performance ripetuta, è un auto-suggestione. Insomma, ne ho parlato più volte, ma allora non mi ascolti proprio! E poi: cosa vuol dire “siamo tutti fluidi”? Dove l’hai sentita questa? Se ti identifichi come etero e cisgender, a posto così, nessuno ti costringe ad essere fluido. Puoi anche continuare a identificarti come cisgender tutta la vita. Oppure no. Magari a un certo punto della tua vita capirai che continuano a piacerti le donne ma forse anche un po’ gli uomini e le persone transgender (e quella comunque è una questione di orientamento sessuale). Oppure capirai che ti senti “più o meno maschio” a seconda delle circostanze pur rimanendo strenuamente eterosessuale, e magari sceglierai di definirti “fluido” (che perdonami, è di nuovo un termine che ormai è usato in senso lievemente denigratorio) o semplicemente queer.
Giancoso - Ma se ognuno sceglie cosa vuole essere, alla fine non è un casino?
Patrilineare - Ma certo, Giancoso, che è un casino: è un bellissimo casino. Direi che è il riconoscimento della complessità del mondo. Siamo noi che incasellando tutto in dicotomie nette bianco/nero, maschio/femmina, etero/omo, eccetera tentiamo disperatamente di semplificare i fenomeni. Ma a forza di semplificare finiamo per vivere in un mondo povero di senso e di gioia. Ogni persona è differente da ogni altra, ogni persona è degna di essere vista, riconosciuta e amata per quello che è. Più semplice di così… Guarda, per continuare sullo shakespeariano, potresti dirmi “Ma questo è meravigliosamente strano” e io ti risponderei “Allora, come a uno straniero, dagli il benvenuto”!10
Cosa mi gira in testa?
Sarà capitato anche a te (a me capita spessissimo) di pensare “Bah, non sta uscendo niente di bello sulle piattaforme, fammi vedere se c’è qualcosa di vecchio da recuperare”. In realtà qualcosa di nuovo è uscito, ma mi ha fatto scattare la voglia di “qualcosa di vecchio”. I quattro speciali Doctor Who su Disney+ (nell’ultimo dei quali assistiamo alla bi-generazione del quindicesimo dottore) sono stati una bella sorpresa durante le feste appena passate. Il nuovo dottore è esplicitamente queer (meravigliosa la scena in cui balla in discoteca in kilt e canotta) e talmente simpatico che ho deciso di recuperare (su Prime Video) tutte le serie disponibili a partire da quella con Christopher Eccleston, dato che le ho sempre viste a spizzichi e bocconi.
Ncuti Gatwa, il quindicesimo Dottore - © BBC
Per restare in ambito animazione, invece, mi sono goduto moltissimo in sala (purtroppo non in versione originale giapponese perché ero con il pargolo che preferisce i film doppiati) Il ragazzo e l’airone di Miyazaki, di cui ho parlato diffusamente qui.
Sto leggendo - a tratti - un libro che in effetti non ha bisogno di costanza, anzi: è di quelli da aprire e leggere di tanto in tanto. The School of Life di Alain de Botton (magari lo conosci perché fa dei video molto interessanti che passano spesso sul sito di Internazionale) è il Penguin Paperback delle “lezioni di vita” che il filosofo svizzero porta avanti da circa dieci anni. Di norma detesto i libri di auto-aiuto, ma questo pone domande più che dare risposte e aiuta a riflettere sulle proprie emozioni più che fornire soluzioni vincenti. E poi, è scritto benissimo.
Se come me sei in parte figlio di quell’alt-rock che da Minutemen e Hüsker Dü passa per i Sonic Youth e va a inocularsi nel primo movimento grunge, non potrai che godere all’ascolto di This Stupid World, l’ultimo album dei Yo La Tengo, storica formazione di Hoboken sempre troppo sottovalutata. Hanno ancora molto da dire, secondo me.
Siamo arrivati alla fine anche stavolta, che non è scontato… ti ringrazio perché continui a leggermi: se vuoi farmi ancora più contento spargi la voce, fai iscrivere qualche maschio etero volenteroso (non temere, la newsletter è sempre aperta a tuttə, ma ci tengo ai miei amati eterocis) e apponimi un cuoricino se ti va. Spargi amore, rispetto e tolleranza, che poi col karma ti tornano indietro.
Personalmente do un valore altissimo a "La leggenda di Korra", sequel di un prodotto di altissimo successo (e quindi alte aspettative), in cui si vede la protagonista (non un comprimario, ma la protagonista) e una coprotagonista cambiare orientamento. Come? Nel modo più semplice che c'è, seguendo la comprensione della persona che si ama. Per me bellissimo.
Grazie, bellissima scoperta lo studio di Business Insider sui personaggi LGBTQ+ nei cartoni animati. E sempre molto interessanti i dialoghi con Giancoso.