Senza filtro. Verso una fratellanza maschile autentica
Qualcosa che la lettura di "Parlare tra maschi" di Alessandro Giammei mi ha lasciato (soprattutto, la voglia di guardarci negli occhi).
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Bentrovatə, soprattutto se sei una persona appena iscritta (ne sono arrivate tante negli ultimi 10 giorni). Io sono Pietro e questa è Patrilineare, la newsletter che ti smonta il patriarcato dall’interno… o almeno, ci prova. Così iniziano tutte le newsletter e i podcast che si rispettino, con una bella presentazione e una tagline che ormai mi porto dietro da due anni suonati. La maggior parte delle volte questa intro non la faccio, perché do per scontato che tu già sai chi sono o che già sai di cosa parliamo (in fondo hai ricevuto una mail di benvenuto, giusto?). Di solito preferisco lamentarmi del caldo o dei miei acciacchi da ultracinquantenne, ma stavolta penso che mi piacerebbe anche capire meglio chi sei, quindi a distanza di un anno dall’ultima volta penso che rilancerò il sondaggione di Patrilineare, i cui risultati mi vanterò di usare per sofisticatissimi scopi di marketing quando invece li guarderò e dirò tra me e me “ma pensa!”, guardando lo schermo con l’espressione di una mucca che guarda un treno. Ma passiamo direttamente al cuore della newsletter, che poi Substack dice che mi dilungo e non sono efficace.
Il filtro come norma sociale
L’altra sera mi sono ritrovato con un amico, di quelli che non vedo da tanto… comunque ti dico, un carissimo amico. Non ci vedevamo da mesi, forse da anni. Ci siamo visti la partita, con due birre aperte e un paio di canne. Abbiamo commentato tra noi le azioni del gioco, anche se non è che siamo proprio esperti allenatori. Alla fine ci siamo salutati con una pacca sulla spalla. Nessuno dei due ha detto "mi sei mancato". Eppure era quello il senso della serata.
Questa scena ovviamente me la sono inventata. Però immagino che sia, come dicono gli anglofili, relatable. La potresti riempire con mille variazioni: in effetti è emblematica di un modello relazionale molto comune tra uomini. Il contatto avviene attraverso un filtro: un'attività da fare, qualcosa da guardare, qualcosa da condividere. Qualcosa di “esterno” che ci possa far puntare lo sguardo sullo stesso obiettivo. Mai però faccia a faccia. Mai occhi negli occhi. L’intimità è sempre condizionata, mai diretta. E il più delle volte, non ci accorgiamo neppure che è così.
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Nel suo ultimo libro Parlare tra maschi (Einaudi, 2024), Alessandro Giammei definisce questi filtri come dispositivi sociali che regolano le modalità accettabili della vicinanza tra uomini. La birra, la canna, la partita, la band, il progetto comune: sono tutti modi per costruire una relazione senza dichiararla. Ci si incontra non per il piacere dell’incontro, ma per fare qualcosa. E in quel fare, si spera che emerga, in controluce, anche un sentimento. Ma perché c’è questo bisogno di mediazione? La risposta è dentro di te, magari già la sai: il contatto diretto, affettivo, viene associato a debolezza, sospetto, ambiguità. La cultura patriarcale insegna che l'uomo vero è autonomo, razionale, autosufficiente. Non ha bisogno di conforto, né tanto meno di confessare il proprio bisogno di amore o di tenerezza. L’unica vulnerabilità ammessa è quella funzionale a un miglioramento: parlarne per diventare più forti, non per stare insieme nel dolore.
Il filtro, allora, diventa una forma di pudore relazionale, un modo per restare connessi senza mai mostrarsi davvero. Un compromesso tra il desiderio di vicinanza e la paura di esporsi. Ma a lungo andare, questo compromesso diventa una gabbia: le relazioni si impoveriscono, la solitudine cresce anche dentro i legami più duraturi, e la possibilità di confronto reale si smorza. Le relazioni maschili strutturate attorno a un obiettivo – vincere, produrre, resistere – sono spesso lette in chiave positiva se si incarnano in una squadra: un gruppo cooperativo, solidale, che condivide valori e vittorie. Ma la stessa dinamica può degenerare nel branco, dove la coesione si costruisce contro qualcun altro: il nemico, il debole, il diverso. La squadra, quando è “sana”, educa alla cura reciproca: si vince insieme, si perde insieme, si impara insieme. Il branco, invece, ha bisogno di un sacrificio esterno per rafforzare il suo legame interno. La cultura dello stupro, l’omofobia goliardica, il bullismo sistemico sono espressioni tossiche di questo modello. Ted Lasso (sempre sia lodato),1 con la sua dolcezza e leadership empatica, è l’archetipo positivo di una squadra che sa essere fratellanza. Altrove – in tanti film e purtroppo anche nella realtà – vediamo come la squadra possa diventare gabbia, e il gruppo un’arma.
Giammei arriva a ipotizzare che perfino il sesso a tre eterosessuale (due uomini con una donna) possa contenere un desiderio inespresso di contatto maschile. Un modo per avvicinarsi all'altro senza ammetterlo, tenendo al centro una figura femminile che "giustifica" il gesto. È una provocazione, certo, ma che rivela qualcosa di reale: la sete di vicinanza fisica tra uomini, normalmente repressa o circoscritta. Nell'infanzia ci si tiene per mano, si dorme insieme, si piange insieme. Poi, con la pubertà, tutto questo diventa pericoloso. Il contatto maschile viene ridotto alla goliardia, alla lotta, allo scontro, o al sesso (ma solo se eterosessuale, virile, attivo).
Eppure, la storia racconta altro. Nell'antica Grecia l’affetto e l’erotismo tra uomini erano codificati e socialmente accettati, anche se all’interno di rigide strutture di potere e ruoli. Nel Medioevo, molte lettere tra cavalieri o monaci esprimono un’intensità affettiva che oggi definiremmo romantica. Durante le guerre mondiali, i soldati al fronte dormivano abbracciati per scaldarsi e scrivevano ai compagni lettere piene di tenerezza, con frasi come "mi manchi più di quanto possa dire" o "non vedo l'ora di stringerti di nuovo". Non necessariamente in chiave sessuale, ma con un'urgenza affettiva profonda. Abbracciarsi non era una debolezza, ma una forma di sopravvivenza emotiva e fisica. Ci sono libri molto interessanti2 che mostrano quanto l’esperienza estrema della guerra aprisse spazi inaspettati per la tenerezza maschile. Perché oggi tutto questo ci è negato?
Ne abbiamo già parlato su Patrilineare più volte,3 ma voglio riprendere qui una contrapposizione cui tengo molto. Esiste il cameratismo, che è il legame che nasce dal fare fronte comune contro un esterno. È utile in guerra, nello sport competitivo, nella politica di potere. Ma ha poco spazio per la cura. La fratellanza invece è un legame interno: si basa sulla fiducia, sulla possibilità di mostrarsi vulnerabili, sul desiderio di crescita condivisa. Ti faccio due esempi - uno letterario e uno cinematografico - che possono aiutare a capire meglio perché la fratellanza è diversa e più profonda del cameratismo. In Stoner di John Williams (uno dei romanzi più belli del ‘900, scoperto in Italia solo nel 2012), il protagonista sviluppa nel tempo un legame profondo con il collega Gordon Finch. È un'amicizia fatta di silenzi, gesti minimi, presenza discreta ma costante, che diventa uno dei pochi rifugi emotivi autentici nella vita del protagonista. In Stand by Me di Rob Reiner, tratto da un racconto di Stephen King, i ragazzini vivono un’avventura insieme, ma ciò che conta davvero è il loro rapporto emotivo: si parlano, si confidano paure e dolori, si toccano, piangono. Non è solo cameratismo infantile: è un modello raro di intimità maschile non filtrata. Per citare anche un altro film oggi quasi dimenticato ma “ai miei tempi” famosissimo se non altro perché c’erano tutti gli attori più fighi del momento, anche I ragazzi della 56ma strada (The Outsiders) di Francis Ford Coppola rappresenta la fratellanza in modo limpido e bellissimo con l’amicizia tra Ponyboy Curtis e Johnny Cade.
C. Thomas Howell e Ralph Macchio nei ruoli di Ponyboy e Johnny © Zoetrope Studios
Giammei nel suo libro usa ironicamente il termine “sorelli” per invitare noi uomini a imparare dalle sorelle femministe. La sorellanza è una forma di alleanza che non ha bisogno di filtri: si sostiene, si chiama, si cura, si celebra. È un legame politico e emotivo insieme. Perché non possiamo farlo anche noi? La risposta ovvia – perché ci è stato impedito – è vera, ma non è una condanna. Possiamo disimparare i codici vecchi e costruirne di nuovi. Possiamo scrivere, parlare, mostrarci. Possiamo creare uno spazio maschile che non sia una trincea ma un cerchio.
Allora facciamo così (però promettimi che lo facciamo insieme): proviamo a pensare a un amico che conta molto per noi. Scriviamogli senza un pretesto. Abbracciamolo senza una scusa. Riveliamogli qualcosa che ci tormenta dentro. Anche, semplicemente, diciamogli che lo stimiamo, che gli vogliamo bene e che la sua vicinanza per noi è importante. E poi proviamo a stare lì, senza bisogno di far nulla, solo per esserci. Ma guardandoci negli occhi.
Linkando qua e là
Articoli, post, notizie che mi hanno fatto pensare “aspetta che me lo segno per Patrilineare”… E se le notizie non sono qui, non disperare: a volte ce le scambiamo sulla chat di Patrilineare!
Pavel Durov, inseminatore seriale - Photo by Albert Gea / Reuters
È arrivato il Global Gender Gap 2025, la pubblicazione del WEF che traccia la lunga e faticosa strada per il raggiungimento della parità di genere nel mondo rispetto ai quattro macro indicatori partecipazione economica, istruzione, salute e rappresentanza politica. La notizia è che al ritmo attuale serviranno ancora 123 anni per colmare il divario di genere (beh, l’anno scorso erano 134, dai, siamo migliorati)4. L’Italia, come sempre, si distingue per non essere un paese per donne. La posizione globale: 85ª su 148 Paesi, con un indice globale di parità del 70,4%, più o meno invariato rispetto al 2024 - stavolta siamo subito dopo Bulgaria e Montenegro e subito prima di Timor Est e Ghana. Per quanto riguarda l’istruzione, la parità è sostanzialmente raggiunta (indice: 99,5%). Su salute e sopravvivenza siamo al 96,6%, sopra la media mondiale. Per la partecipazione economica siamo sopra il dato globale con un indice del 59,9%, ma siamo ancora distanti dalla parità. La rappresentanza politica è salita al 25,5%, rispetto al 24,3% del 2024 (sempre molto bassa però).
Questo articolo di Anna Toniolo su Facta l’ho intercettato su Polpette, la newsletter di . Il perfetto incrocio tra negazionismo climatico e transfobia. La tesi è che l’industria del fossile alimenti l’odio anti‑trans per nascondere i danni ambientali. Non bastasse, c’è anche il pezzo (in inglese) su Atmos che parla della stessa cosa.
Su Ti spiego il dato, la newsletter di , invece ho trovato questo pezzo di Nightingale, Querying the quantification of the queer che presenta due modelli interessanti per strutturare lo spettro del gender.
Dagli USA, la consueta pessima notizia per le persone trans*: la Corte Suprema conferma il divieto di terapie di transizione di genere per i minori, originariamente introdotto in Tennessee.
Per contro, in Italia c’è una rete di medici di varia specialità che hanno creato Onco-Gender, un progetto multidisciplinare per la tutela della salute delle persone transgender. Ne parla Alice Politi su Vanity Fair. E di medicina di genere parla anche l’ultimo Ojalà di , che ti appoggio qui.
Sempre per dare qualche bella notizia, Greta Ubbiali su Alley Oop del Sole 24 Ore ci spiega che sono già 450 gli istituti scolastici italiani che prevedono la carriera alias per le persone trans*.
non è solo l’autrice della newsletter Maschi del Futuro (che qui sponsorizziamo sempre tantissimo) ma anche un’abilissima public speaker, come si evince da questo TedX How Fairytales Teach Boys to Hide Their Emotions registrato live a Padova.
Adolescenti e social network in Europa è un servizio di ARTE Europa Settegiorni riportato da Internazionale.
Dal Politecnico di Torino arriva Inclusively, un tool di intelligenza artificiale progettato per l’inclusione linguistica!
Anna Paola Lacatena su Gli Stati Generali riflette sulle origini dell’odio on line da un punto di vista psicologico e antropologico.
Barbara Piccininni su Scienza in Rete riflette sulle strategie perdenti per affrontare il problema sistemico dei femminicidi.
La maternità può essere femminista (senza punto interrogativo) è il bel pezzo di Veronica Frigeni su inGenere che ripercorre la storia del pensiero femminista relativamente alla riproduzione.
A che serve il Pride? Purtroppo questa è una domanda che ancora oggi si fanno in molti. Risponde Jacopo Bedussi su Rivista Studio.
Sempre in quota “mese del Pride”, c’è anche un bell’articolo di Federica Bianchi su L’Espresso che racconta la difficile conquista di spazio per la comunità transgender in Europa.
Su Alfemminile, Eugenia Nicolosi racconta il coming out online come un fatto tipico della Gen-Z, addentrandosi nel mondo delle app queer che consentono di immergere la punta del piede nelle acque della consapevolezza di genere.
Al Post non basta dare le pessime notizie dal mondo, quando anche in Italia ci difendiamo benissimo: questa è una panoramica su come il governo vorrebbe cambiare il diritto di famiglia.
Come mai questo miliardario ha 100 figli in 12 paesi? È la domanda che si pone Arwa Mahdawi sul Guardian, parlando di Pavel Durov, il proprietario di Telegram, che non è poi così diverso dagli altri tech bro che abbiamo imparato a conoscere.
Pornhub sempre nell’occhio del ciclone, adesso anche la Corte Suprema degli Stati Uniti ci ha fatto caso.
Un tema che mi sta molto a cuore: il linguaggio amministrativo della PA e l’attenzione alla parità di genere, una storia lunga dieci anni che però è ben lontana dalla sua conclusione. Come spiega Daniela Carlà su Lentepubblica.it, il linguaggio ampio deve diventare un obbligo istituzionale per poter costituire una vera leva per la trasformazione.
Sempre sul Guardian, Sam Leith scrive un bel pezzo su come i libri per bambini che trattano le amicizie maschili possono diventare uno strumento potente per combattere (e prevenire) la diffusione della mascolinità tossica.
Su Hollywood Reporter, un interessante pezzo sul mito di James Dean: il memoir/biografia di William Bast del 2006 Surviving James Dean sta per diventare un film in cui verrà esplorata la sfortunata storia di James con lo stesso William Bast, che ai tempi poteva solo definirsi… il suo “amico speciale”.
Ultima, ma non meno importante, una piccola autopromozione: la substackiana mi ha intervistato per un articolo che ha pubblicato su Domani, programmaticamente intitolato “Parola d’ordine: decostruire”. Si parla di molte cose e alla fine c’è il vostro affezionatissimo transfemminista di quartiere che dice cose.
Cosa mi gira in testa?
Ho incautamente portato con me in vacanza la trilogia di Ghormengast nella bella edizione Adelphi che mi ha detto “comprami subito” un mesetto fa, ma il tomo è veramente pesantino da leggere tenendolo in mano e sono avanzato solo di poche pagine. Ho invece letto tutto Il fuoco che ti porti dentro di Antonio Franchini e Orbital di Samantha Harvey (questo in un’edizione inglese che mi ha detto “comprami, comprami” in una libreria londinese). Se il romanzo di Franchini (che avevo lì da un po’ ma esitavo a leggere) è effettivamente, come mi aspettavo, una cavalcata molto personale e in cui mi identifico parecchio riguardo al rapporto dell’autore con la madre,5 Orbital invece è un oggetto stranissimo e affascinante, che ti fa entrare nella testa di un gruppo di astronauti in orbita sulla Stazione Spaziale Internazionale. Un romanzo brevissimo che riesce a “mettere in prospettiva” l’umanità intera.
Elio e OOOOO in Elio © Disney / Pixar
Sul fronte video non c’è storia: appena tornato dal Regno Unito ho dovuto andare a vedere Elio, il film Pixar che sancisce con i suoi scarsi incassi la mia teoria che non è che i produttori non hanno inventiva e ti propongono solo sequel e prequel: è proprio che il pubblico vuole quelli, e non premia invece questi “piccoli” film che - pur avendo una struttura consolidata e prevedibile provano a discostarsi un po’ dai soliti franchise. Se vuoi sapere alla fine com’è questo Elio, ne parlo meglio qui.
In TV, invece, non ci sono cazzi: su MUBI è arrivato Twin Peaks nella sua completezza ed è partito il rewatch totale e globale a base di cherry pie, black coffee, douglas firs e owls that are not what they seem… ci sono le due stagioni originali del ‘90-’91 e la più recente stagione del 2017. L’anello mancante sarebbe Fire, Walk with Me (il film del 1992) che va guardato invece su Pluto TV tra la seconda e la terza stagione. La terza stagione, per chi non l’avesse mai vista, è ancora più delirante delle prime due e si svolge 25 anni dopo la fine della seconda stagione, con l’agente Cooper ancora intrappolato nella Loggia Nera…
Raccomandazioni
La “Raccolta punti di Patrilineare” è sempre lì, non so perché non la sfrutti: puoi vincere dei bei premi se clicchi sul pulsante “Invita un amico” e mandi il link a una - o più - persone che potrebbero iscriversi. Non è phishing, non è clickbaiting, non è uno scam, no cap.
Per ogni persona che si iscrive grazie al tuo link, la tua posizione salirà nella leaderboard: più sali in classifica più premi guadagni. Guarda qui sotto la classifica di tutti quelli che hanno invitato nuovi iscritti!
Come sempre mi raccomando anche una piccola forma di supporto, come un paio di euro che risuonano nella tazza (virtuale) di Ko-fi qui sotto. Se fai una donazione, dopo ti senti meglio. Se fai una donazione mensile, oltre a sentirti meglio tu, mi sento meglio anche io. Al tuo buon cuore, per ora Patrilineare resta gratuito, comunque.
Allora, siamo alla fine. Guardiamoci negli occhi e salutiamoci così. Spero che tu mi stimi e mi voglia bene anche solo la metà di quanto te ne voglio io. Alla prossima!
C'è proprio tanto bisogno di aprirsi e vivere più teneramente fra maschi. Devo recuperare anche questo libro di Giammei, oltre a "Ted Lasso". E grazie per gli altri spunti, Pietro.
"Orbital" è piaciuto tanto anche a me, proprio per quella capacità di evocare sensazioni e di parlare di corpi che gravitano attorno alla terra ma che non potrebbero esistere senza la terra.
Grazie mille Pietro!