La performance patriarcale. Quanto ci costa essere uomini?
Smettere di "recitare" la parte del maschio ha un costo spesso molto alto, ma occorre provare a farlo se vogliamo cambiare le cose.
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Come stai? Spero che il caldo non ti stia ammazzando e che i blackout dovuti all’accensione contemporanea di tutti i condizionatori del quartiere in cui risiedi non ti stiano complicando troppo la vita. Io in realtà in questo preciso momento sono a Londra, a cambiare un po’ aria e a vedere un panorama un po’ diverso dal solito. Ovviamente mi sono premurato di programmare questa email qualche giorno prima. Vediamo se riesco per qualche giorno a distrarmi da guerre, genocidi, crisi climatica, video di Greta Thunberg che parla (hai notato anche tu come è tornata alla ribalta dopo anni che non la si sentiva più?). Io stimo moltissimo Greta Thunberg e la seguo da anni, però è innegabile che il fatto che sia tornata a parlarmi da ogni device non può che significare “apocalisse”. A parte i miei timori da orologio della fine del mondo, torniamo ai temi a noi cari: il maschile e la sua performance, la polizia del genere, l’adesione cieca - anche di molte donne - al sistema patriarcale. Stavolta comincio proprio da una piccolissima notizia di cronaca locale che però mi ha colpito molto. Vai con il nuovo Patrilineare!
Recitare il maschile: rompiamo la quarta parete
Un paio di mesi fa, tra le notizie locali della cronaca piemontese, ne è passata una che sembrava piccola. Era il 10 aprile e La Stampa raccontava del processo a un capoturno di un caseificio di Pinerolo, condannato per stalking e violenze nei confronti di una dipendente, Angelina Castrignano. L’azienda non l’ha protetta. Le colleghe l’hanno isolata. Lei ha denunciato. Lui è stato condannato. E lei, nel frattempo, è stata licenziata. Ma il punto non è solo la colpevolezza dell’uomo o la correttezza del giudice. Il punto è il silenzio delle colleghe, che non l’hanno sostenuta. “Perché si è esposta?”, si chiedevano. “Perché non ha fatto come tutte noi, che stiamo zitte?” Una cultura, quella patriarcale, che ha stabilito regole così precise e profonde da farci sembrare giusto ciò che è solo utile: adeguarsi conviene, denunciare no. E quindi si sta zitte. Si sopporta. Si lascia che le cose restino come sono.
Ti racconto questa cosa per capire qual è il prezzo dell’adeguamento al sistema patriarcale per una donna. Ma a ruota ti chiedo: quanto costa anche a noi uomini questa obbedienza? Il patriarcato non è solo un sistema che opprime le donne. È anche un “copione” che assegna a noi maschi un ruolo preciso, da interpretare ogni giorno. Lo possiamo chiamare “performance patriarcale”: l’insieme dei comportamenti, atteggiamenti, posture e scelte che un uomo sente di dover mettere in atto per essere riconosciuto come “maschio legittimo” all’interno di un sistema patriarcale. Nella pratica quotidiana: il dover essere sempre forti, dominanti, invulnerabili, competitivi; il dover desiderare le donne ma senza mai rispettarle; il dover provare desiderio ma mai tenerezza; il dover vincere e mai chiedere aiuto.
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Ora, devi sapere che non è che questa sia una cosa che mi sono inventato io sul momento. Il genere come performance è un cardine del pensiero di Judith Butler.1 Semplificando al massimo, quello che dice Butler - e che io condivido in toto - è che le persone non hanno una identità di genere. Le persone la fanno. La costruiscono. La recitano e la performano ogni giorno finché prende vita e diventa una vera e propria identità. La performance patriarcale però non è una performance libera e soprattutto ha un prezzo: fisico, emotivo, relazionale. La sua funzione principale non è esprimere identità, ma garantire l’adesione al potere e la coesione di gruppo (non a caso è una performance richiestissima in tempi di totalitarismi più o meno mascherati come quelli di oggi).
È una performance che si impara presto. A scuola, quando il bambino che piange viene preso in giro. A casa, quando il padre non lo abbraccia. Tra amici, quando l’unico linguaggio concesso è quello della battuta, del sarcasmo. La riconosci quando in un gruppo WhatsApp di soli maschi gira la foto di una tipa a gambe aperte e chi non commenta è strano, è “diverso”; quando a un pranzo di famiglia un cugino fa una battuta omofoba e chi non ride è un pesantone che rompe la complicità; quando a lavoro ci si dà di gomito se passa una collega considerata figa e chi resta serio “non è dei nostri”. Chi non partecipa alla performance mette in crisi l’intero sistema. È come se, smettendo di recitare, rompesse la quarta parete. E allora il pubblico – cioè gli altri uomini – si ribella. Perché se uno smette, tutti gli altri si rendono conto di stare recitando.
Scatta un meccanismo che potremmo tradurre in una voce interiore che fa più o meno così: “Se io, maschio etero e cisgender, mi sto facendo il culo da anni per essere virile, dominante, sempre all’altezza, perché dovrei sopportare che tu arrivi e dica che tutto questo è inutile, tossico, sbagliato?”. È qui che la reazione si fa feroce. Perché chi devia viene visto come un sabotatore e la devianza genera invidia, rabbia, senso di tradimento. Il gay, la persona trans*, l’uomo androgino, ma anche semplicemente il padre tenero, l’adolescente introverso, l’uomo che va in terapia o che lascia un lavoro tossico per stare con i figli: tutti vengono puniti. A volte con l’ironia, altre volte con l’emarginazione. In certi casi, con la violenza. E sì, anche con la morte.
Questo sistema non ha bisogno di leggi scritte per difendersi. Ha una sua polizia interna: la gender police, la polizia del genere. Ne abbiamo parlato diffusamente in una vecchia uscita di Patrilineare che ti agevolo proprio qui sotto.
La gender police agisce ovunque, senza divisa e senza tribunali. Fa controlli in cortile, a scuola, in palestra, nelle chat. Agisce per battute, per silenzi, per sguardi, per esclusioni. Serve a mantenere la coerenza del sistema. Serve a far sì che tutti performino nello stesso modo, sempre. Perché il primo che smette fa crollare il castello. Il patriarcato, da questo punto di vista, funziona come un sistema immunitario impazzito: riconosce il diverso come minaccia, anche se quel diverso non fa male a nessuno. Anzi, spesso è proprio lui a mostrare che si può vivere meglio, fuori da quella gabbia di cui siamo tutti prigionieri da sempre. Insomma: il patriarcato - il cui più grande inganno è quello di far credere al mondo che lui non esiste2 - ha delegato il controllo sociale ai noi maschi, così da automantenersi. Non è una cosa che già da sola ti fa sclerare, essere manipolato in questo modo?
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Non è un caso se certe maschilità oggi si stanno radicalizzando. Dalle community incel alle derive misogine di alcuni influencer, si vede chiaramente: c’è una generazione di uomini che ha paura di perdere il suo ruolo. E allora si rifugia nella disciplina, nel controllo, nei “valori tradizionali”. Perché uscire dalla performance, anche quando intuiamo che questa è una costruzione arbitraria, fa paura. Ti espone, ti toglie il manuale di istruzioni. “Essere un uomo” significa spesso essere come tutti gli altri uomini si aspettano che tu sia. Aderire alla cosiddetta mascolinità egemonica3, il modello di mascolinità che è considerata la norma culturale e che detiene il potere nella struttura sociale. Invece, essere uomo senza recitare il maschio è un atto di rottura e di libertà: è lì che si gioca il futuro del maschile.
Il caso di Angelina Castrignano non riguarda solo le molestie. Riguarda l’intero sistema che costringe tuttə noi ad accettare il gioco per non rischiare l’isolamento. Lei ha scelto di rompere le regole e ha pagato un prezzo. Ma ha anche aperto una breccia. Ora tocca a noi, maschi, chiederci: quale prezzo stiamo pagando noi, ogni giorno, per aderire a un modello che ci disumanizza?
E se smettessimo di recitare?
Linkando qua e là
Articoli, post, notizie che mi hanno fatto pensare “aspetta che me lo segno per Patrilineare”… E se le notizie non sono qui, non disperare: a volte ce le scambiamo sulla chat di Patrilineare!
Goliarda Sapienza - Foto di… non lo so e sarebbe bello saperlo
Ma perché i gruppi pro-vita (o anti-scelta, come preferisco chiamarli) hanno così tanto peso nella discussione pubblica quando una larga maggioranza delle persone anche in USA è favorevole all’aborto? Se lo chiede Alessandra Vescio in questo approfondimento su ValigiaBlu (spoiler: c’entrano i soldi). Intanto, nel Regno Unito, un emendamento decriminalizza le IVG attuate al di fuori dell’attuale quadro normativo.
Dal Post, una buona notizia: per stabilire se ci sia stata violenza sessuale, la reazione della vittima è irrilevante (quindi, si spera, addio al “ci ha messo 20 secondi prima di dire no” o “si è pietrificata e non ha detto nulla”).
Da Terre Des Hommes Italia, la terza indagine sul maltrattamento dei bambini e degli adolescenti in Italia (via ).
Su Scarleteen (una delle fonti USA più interessanti quando si parla di adolescenti e educazione sessuale e affettiva), un pezzo su come uscire dalla rottura di un’amicizia, che a volte è più devastante della rottura di un amore.
Le molestie sessuali rivolte ai maschietti esistono, sappilo: nessuno è escluso.
In USA la festa del papà è la terza domenica di giugno: Ms. Magazine dedica questo bel pezzo di Rob Okun all’idea che i padri parlino con i figli dei pericoli della manosphere.
Il Post ripercorre la storia di tutti gli scioperi femministi in occasione del nuovo sciopero generale femminista del 14 giugno in Svizzera (dove evidentemente le cose non sono sempre tutte ottimali come appare).
Carlotta Sisti su Elle Magazine racconta una intervista video di Goliarda Sapienza contestualizzandola nell’influenza che la scrittrice morta nel 1994 sta avendo negli ultimi anni.
Su The Wom, un’intervista molto interessante alla sessuologa Valentina Cosmi su credenze sociali e sessualità. Cioè: esiste un “modo giusto” di fare sesso? (Spoiler: no).
In quota Pride Month, cinque profili di persone queer che dovresti veramente seguire per farti un’idea senza pregiudizi di un mondo che magari conosci poco. Il mio preferito in assoluto è il mitico Eric Shin, ma metto il mio sigillo di garanzia anche sugli altri quattro.
Un pezzo sorprendente di un prete (don Giacomo Cardinali) su Vanity Fair a proposito di un modello di maschilità che prenda esempio da Giuseppe di Nazareth.
Il consueto pezzo che ti fa il riepilogo di tutte le bandiere colorate del Pride, stavolta a cura di DonnaD. Da alleato, suggerisco di usare comunque la classica rainbow flag, evitando di usare quella “ally” che qualcuno (non so chi) si è inventato per “distinguere” gli alleati, ma il senso del Pride è più quello di dimostrare l’unità e la coesione di tutta la comunità.
Mentre i cortei del Pride sfilano in tutta Italia, Marianna Gatta su Terzo Giornale sottolinea come il nostro paese sia ancora fottutamente omotransfobico.
Il pezzo più politico che potete leggere in questi giorni è su Il Tascabile e lo scrive Silvia Gola: si parla di lavoro di cura, sfruttamento e intersezionalità. La citazione chiave è: “Una madre può lavorare solo se un’altra rinuncia, almeno per un po’, a fare la madre”.
Ne ha parlato anche Nicola Ghittoni in un recente episodio di Morning, la rassegna stampa del Post: è il momento di fare qualcosa per ridurre il gender gap nello studio della matematica. Qui l’articolo originale di Nature che ha dato il via al dibattito.
Da Giovani Genitori, un pezzo sulla depressione post-parto - un’ombra scura che moltissime famiglie hanno conosciuto - che si conclude con un ottimo suggerimento di lettura.
Quando ero piccolo, i miei mi portavano spesso nelle spiagge nudiste. Quando sono stato un po’ più grandicello, non più. A ripensarci ora, in effetti, che fosse l’ineffabile paura delle erezioni?
C’è un sottogenere di film coming of age che Gabriele Niola (ma non solo lui) definisce “kids on bikes”. Sul Post c’è la spiegazione del perché questi film non si fanno più (c’entra la censura, maledizione).
Cosa mi gira in testa?
Allora, io mi sto preparando a passare qualche giorno di vacanza a Londra, luogo del cuore in cui non torno da più di 10 anni (e quindi troverò tutto cambiatissimo e signora mia dove sono i drugstore pakistani di una volta) e noto con sottile inquietudine che più invecchio e più mi monta l’ansia della partenza - del resto è tutto un “prenota il Sea Life per il ragazzino”, “prenota il deposito bagagli che se no ti devi portare i trolley in giro” eccetera, eccetera. Una cosa che però non mi manca sono le musiche nuove da ascoltare. Con il Future of Music 2025 di Rolling Stone UK sono preparatissimo ad ascoltare gruppi di cui garantito che non so nulla (a parte Obongjayar che conoscevo già per aver collaborato anche con la mia adorata Little Simz).4
Frame dal video di “Point and Kill”, Little Simz feat. Obongjayar
Qui sotto ti piazzo la playlist, così anche tu puoi ascoltare le ultime tendenze dal Regno Unito... Per il resto, ne parleremo meglio nel prossimo Patrilineare, quando magari avrò anche visto Elio, il nuovo film Pixar che attendo con trepidazione. Ah: che libro mi porto a Londra? Ma ovviamente le 1.170 pagine del Gormenghast di Mervyn Peake! Così il rimbrotto sul peso del mio bagaglio a mano da parte di Ryanair sarà garantito.
Raccomandazioni
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Siamo arrivati alla fine. Guardati dentro e dimmi che tipo di performer sei. Io abbastanza scarsone, ma non per questo mi ritengo una persona da meno. Insieme, possiamo fare la differenza. Alla prossima e… stai bene!
Come sei riuscito a raccontarla in parole semplici la manipolazione patriarcale che agisce sui maschi!
E grazie per le vibes londinesi, posto in cui vorrei tornare il prima possibile, anche perché io è molto più di dieci anni che non ci ritorno.
Vabbe', poi la citazione da "L'avvocato del diavolo" tanta roba 👹.
Negli ultimi mesi ho fatto due corsi: uno di Naturopatia e uno di Scrittura Creativa. Unico uomo in mezzo a due gruppi di sole donne. Davanti alle facili battute di amici, colleghi e, rullo di tamburi, pure delle compagne di corso, me ne sono altamente fregato. Non so se la mia virilità sia diminuita agli occhi altrui, e non il motivo per cui non dormo la notte, ma sicuramente ne so molto di più su oli essenziali e su come dare una struttura ad un racconto 🙂.