Photo by Freepik - Freepik.com
Ciao e grazie di non aver cestinato questo numero di Patrilineare: io sono Pietro e come sempre ho una grandissima fiducia nelle mie potenzialità comunicative. Però dai, stavolta affrontiamo un argomento veramente semplice, lo capirebbe anche un cercopiteco (con tutto il rispetto per). La verità però è che una bella fetta della popolazione maschile di homo sapiens sembra che ancora non l’abbia capito proprio bene, e quindi…
Sentire insieme
Lo abbiamo nominato già un po’ di volte, questo misterioso consenso. Ma non abbiamo ancora spiegato bene che cos’è: apparentemente è una cosa semplicissima, ma le ripetute notizie che leggiamo sui giornali mi fanno pensare che non venga percepito come un argomento così semplice.
Consentimi (il gioco di parole è voluto) di addentrarmi ancora una volta nel campo dell’etimologia. Consentire vuol dire “sentire insieme”, cioè avere una conformità di voleri. In pratica: vogliamo tutti e due la stessa cosa. Siamo d’accordo, non ci sono ostacoli: se ti dò il mio consenso a fare qualcosa vuol dire che voglio farla anche io, che mi fa piacere che tu la faccia con me.
Ma, c’è un ma: il consenso non è una cosa scritta nella pietra. Non è un contratto firmato col sangue per cui una volta dato il consenso non si può più ritrattare. E se molti maschi faticano a comprendere il concetto di consenso come permesso o approvazione, temo che la maggior parte di noi fatichi ancora di più a comprendere quest’ultima sfumatura (sempre per la nostra atavica refrattarietà alla parolina “no”).
Da diversi anni in rete gira un video molto bello1, che è stato anche doppiato (male) in italiano, che cerca di spiegare il consenso con un esempio bizzarro ma calzante: quello della tazza di tè. Lo puoi trovare un po’ ovunque su YouTube in varie versioni, ma te lo voglio raccontare qui per esteso, perché fa emergere degli aspetti interessanti. Ovviamente il paragone è tra una tazza di tè e un rapporto sessuale. Se non ti piace l’idea della tazza di tè la puoi sostituire con una pizza, con un boccale di birra, con quello che vuoi: la sostanza non cambia.
Vuoi una tazza di tè?
Quindi: se non capisci bene il concetto del consenso applicato al sesso, prova a immaginarlo applicato a una tazza di tè. Sei con un amico o un’amica e gli dici “Ehi, ti va se ti faccio una tazza di tè?". E magari la risposta è “Oddio, sì, ma sai che mi va proprio di bermi una tazza di tè? Grazie!”. Ora sai per certo che lui/lei vuole una tazza di tè. Ma se tu chiedi “Vuoi una tazza di tè" e la risposta è “Mmmm… non saprei, mi sa di no, magari non adesso”, tu puoi anche fare un tè, se vuoi, ma devi essere preparato al fatto che non lo bevano.
E se non lo bevono (attenzione che questa è la parte fondamentale) non è che glielo devi far bere per forza. Hai fatto un tè, va bene, ma non glielo devi rovesciare in gola se non lo vogliono. Se poi ti hanno risposto “No grazie”, la cosa è ancora più semplice. Non mettere nemmeno su l’acqua per il tè. Per niente. Non fare il tè, non gli far bere nemmeno il tè freddo, non ti incazzare se non vogliono il tè. Magari ti dicono “Sì, grazie, sei molto gentile”, poi tu fai il tè e quando arrivi con la tazza loro non lo vogliono più. Certo, è molto fastidioso: ti sei preso la briga di scaldare l’acqua, mettere il tè in infusione e tutto, ma comunque non sono obbligati a bere il tuo tè. Prima lo volevano, poi hanno cambiato idea. Succede. Le persone cambiano idea continuamente, e in ogni caso non puoi forzarle a bere.
Still from Tea Consent (©2015 Emmeline May and Blue Seat Studios)
E se per caso questa persona ha perso i sensi, è svenuta o dorme, non metterti a fare il tè! Chi non è cosciente non vuole certamente del tè e anche se glielo domandi non possono risponderti “No, grazie”. Va bene, magari erano svegli quando hai chiesto e ti hanno detto di sì, ma se mentre hai preparato il tè si sono addormentati, metti via quella tazza e piuttosto vedi se stanno bene. E soprattutto, non versargli il tè in gola, anche se prima magari avevano detto che lo volevano. E se hanno cominciato a bere il tè, hanno detto “Questo tè è delizioso” e poi hanno perso i sensi? Di nuovo, metti via la tazza, assicurati che stiano bene e non versargli quel cazzo di tè in gola. Fidati, che se qualcuno è svenuto l’ultima cosa che vuole è del tè.
E ancora, se hai bevuto un tè fantastico con una persona sabato scorso a casa tua, questo non vuol dire che questa persona voglia per forza una tazza di tè tutti i giorni della settimana in qualsiasi luogo. Cioè, non è che puoi presentarti a casa sua, fare una tazza di tè e costringerlo a berla perché “Ehi, ma sabato scorso lo volevi il tè, no? E allora beviti sta tazza”. O magari si svegliano con te che gli versi del tè in gola perché “Scusa eh, ma ieri sera hai detto che lo volevi, il tè”.
Capire il consenso
Allora, se hai capito l’assurdità di costringere una persona a bersi un tè anche se non gli va, e se hai la capacità di capire quando una persona il tè proprio non lo vuole, quanto può essere difficile capirlo quando si parla di sesso? Che si parli di tè o di rapporti sessuali, il consenso è tutto.
Capire il consenso vuol dire riconoscere l’altra persona come pari a te, una persona con i suoi desideri, i suoi tempi, il suo carattere - tutte cose che possono benissimo essere diverse rispetto alle tue. Capire il consenso vuol dire soprattutto essere preparati a gestire la frustrazione di un “no”. Il consenso non è automatico, nemmeno tra due persone che hanno una relazione, e come risulta chiaro dalla trascrizione più o meno fedele del video della tazza di tè non è nemmeno immutabile. Il consenso esplicito può essere improvvisamente ritrattato (se magari una persona comincia a sentirsi a disagio). La questione dell’essere coscienti o meno, poi, è legata a tutti quei casi in cui si ha la tentazione di fare sesso con una persona che ha perso i sensi, perché magari è ubriaca, è fatta o semplicemente troppo stanca. Non è un’opzione. Non essere in condizione di poter esprimere il consenso equivale a un “no”. È così semplice.
Magari può sembrare brutto dirlo così, ma in una relazione tra due persone, il sesso è anche legato ai concetti di negoziazione e compromesso. Nella relazione si possono esprimere i propri desideri ma occorre anche tener conto dei desideri e dei limiti dell’altra persona: in un certo senso si va alla ricerca di un consenso che può anche non arrivare. Su questo nodo si gioca l’equilibrio di una relazione che può essere sana e paritaria o può essere sbilanciata - e in tal caso diventano evidenti le dimensioni di potere nella sfera sessuale2.
In effetti, ci sono alcuni aspetti che nel video non vengono trattati: per esempio, c’è il fatto che anche un “sì” potrebbe essere detto per paura in una relazione abusiva… e non a caso in alcuni casi di stupro l’aggressore si difende dicendo “aveva detto di sì” (ma questo consenso, se poi c’è stato, è stato dato appunto per paura in una situazione di evidente sbilanciamento di potere). Il consenso deve essere dato liberamente, senza coercizione. Soprattutto, il consenso deve essere informato3, i termini dello scambio devono essere chiari e condivisi: ad esempio se dici che userai il preservativo e poi come l’ultimo degli stronzi non lo metti, il consenso può legittimamente considerarsi revocato.
A me (e spero anche a te) sembra chiaro che quando non c’è il consenso non è normale continuare ad avanzare pretese sessuali. Magari ci si irrita, ma si passa a qualche altra attività. D’altra parte, prova ad immaginare quando sei tu a non dare il consenso a qualcosa: non vorresti mai che un’altra persona se ne fregasse di quello che è un tuo rifiuto e proseguisse a fare qualcosa che ti mette a disagio. Eppure il grandissimo problema della maggioranza dei maschi è quello di non riuscire a capire proprio questa cosa: che il “no” significa “no” (e che anche il silenzio significa “no”).
A noi maschi piace immaginare che esista veramente un immaginario “Libro dei segnali e delle regole”4, un manuale fittizio i cui concetti vengono tramandati oralmente da molti secoli tra generazioni di maschi. In questo ipotetico libro, sicuramente potremmo trovare la regola aurea che se una femmina dice “no” in realtà vuol dire “sì” ma ti dice di no solo per farti eccitare di più e perché vuole essere “conquistata” (sempre queste pesantissime metafore guerresche, nota bene).
Photo by TwilightCraftsLLC - Etsy.com
O anche - corollario molto diffuso alla regola - perché dire “sì” subito la qualificherebbe come una putt*na e quindi indegna di essere conquistata. Anche questa, come tutto quanto esce dal libro sacro che molti uomini sembrano avere scolpito in testa, è una grandissima stronzata.
Consenso e violenza di genere
Non capire o - peggio - non accettare la questione del consenso vuol dire non considerare gli altri come persone e quindi oggettivarli (è come trattare le persone alla stregua di oggetti che si possiedono e di cui si può disporre a piacimento, per essere chiari).
Se si comincia a credere di poter fare quello che si vuole al di là del consenso - e purtroppo è quello che succede da centinaia di anni ai danni di chiunque non sia maschio, etero e cisgender - ecco che arriviamo alla rape culture, la cultura dello stupro di cui abbiamo già parlato, in cui anche senza arrivare alla violenza sessuale vera e propria si autorizzano - o quantomeno vengono considerate normali - le molestie e gli abusi di ogni genere.
Proprio nell’estate 2023, ricca di casi di molestie e violenze di genere di vario tipo, si è riacceso il dibattito sulle (manchevoli) proposte di legge italiane. Se andate a rileggervi “Legiferare contro la violenza di genere”, un’uscita agostana della newsletter di Giulia Blasi, scoprirete che non soltanto nel diritto italiano non abbiamo una definizione chiara e condivisa di “consenso”, ma se è per questo nemmeno di “molestia sessuale”!
A questo punto penso sia necessario spiegarti cos’è una molestia. Una molestia è qualsiasi comportamento fastidioso o causa di disagio fisico o psicologico che una persona può assumere nei confronti di un’altra persona. Un comportamento che dà fastidio e crea turbamento, a volte impedendo all’altro di esercitare un proprio diritto.
Una molestia sessuale, va da sé, è una molestia che si riferisce al sesso, all’orientamento sessuale, all’identità di genere. La molestia è la versione adulta del bullismo.
Photo by ANSA - ANSA.it
La molestia sessuale, però, non è solo il palpeggiamento indebito, come sembra pensare la maggior parte dei maschi. La molestia sessuale è anche per esempio insistere per ottenere un appuntamento5, un bacio o un abbraccio (sempre per la famosa incapacità di accettare un “no”); qualsiasi contatto fisico indesiderato; l’uso di un linguaggio sessista per riferirsi a donne, persone omosessuali o transgender (e per linguaggio sessista intendo sia gli insulti del calibro di “putt*na”, “fr*cio”, eccetera, sia l’uso di stereotipi che dovrebbero essere morti e sepolti tipo “sei nervosa perché hai le tue cose” o “stai piangendo come una femminuccia” o “ma sei un maschio o una femmina” rivolto a una persona dall’aspetto androgino).
Molestia di natura sessuale è anche fare commenti non richiesti sull’aspetto fisico di una persona, il cosiddetto catcalling, diffondere voci o pettegolezzi di natura sessuale su qualcuno (anche on line), vantarsi di proprie presunte prestazioni sessuali in contesti non appropriati, raccontare barzellette a sfondo sessista, inviare o condividere materiale pornografico non richiesto (dai video porno ai dick pic).
Le molestie sessuali non sono necessariamente collegate in modo diretto ad una qualche attività sessuale: a volte sono osservazioni, critiche o considerazioni che creano disagio perché esprimono in qualche modo un giudizio di valore (estetico, comportamentale o altro) su come una persona non si sforzi di rientrare in una sorta di regola sociale - la famosa “norma” a cui dovremmo tutti conformarci - che definisce come dovrebbe essere una femmina o un maschio a modo.
Una persona ottimista (e ingenua, come sono io a volte) potrebbe pensare che siamo nel 2023 e che questo tipo di comportamenti fanno parte di un passato di cui vergognarsi vagamente. Eppure mentre ti scrivo siamo tra i paesi europei con il più alto tasso di femminicidi6 (dal 1° gennaio al 21 settembre 2023, 84 vittime, quasi 10 femminicidi al mese).
Il femminicidio è la molestia definitiva, quella che annulla l’oggetto della discordia, la elimina fisicamente. Chiamiamo questo crimine “femminicidio” proprio per via del suo movente principale. La vittima viene uccisa in quanto donna, perché è una donna, perché è un oggetto di proprietà del maschio che piuttosto di lasciarla libera la distrugge (è un paragone azzardato, ma è un po’ come quando un bambino arrabbiato distrugge un giocattolo che pure amava pur di non farci giocare altri bambini, per puro dispetto). Ecco a cosa porta il non saper gestire un rifiuto.
Photo by Freepik - Freepik.com
Sempre mentre ti scrivo, abbiamo un problema enorme di omotransfobia (anche qui, dal 1° gennaio 2023 a oggi, 90 vittime di aggressioni di cui 1 mortale)7. Abbiamo avuto la possibilità di discutere un disegno di legge che potesse attenuare la pressione costante sul mondo LGBTQIA+, ma la questione è naufragata sugli scogli di una politica miope.
Il bullismo e le aggressioni nei confronti degli omosessuali o delle persone transgender continuano a passare come una cosa normale: d’altronde loro sono diversi, non si conformano alla regola per cui il maschio (o la femmina) devono presentarsi e comportarsi in un certo modo ben codificato e con regole millenarie, sta quindi ai “normali” (e in particolare al maschio alfa etero e cisgender) rimetterli al loro posto anche con la violenza, se serve. Ecco a cosa porta il non saper concepire le diversità.
La rabbia maschile
Quella che giustifica molestie, catcalling, femminicidi, stupri e violenza di genere è la logica del branco. La logica di chi non ragiona con la propria testa ma si fa comodamente indottrinare dagli altri “camerati”8. La logica di chi non ha una crescita personale vera, non ha veri amici, non è capace di instaurare una relazione, ma è fermo a uno stadio quasi infantile, in cui la rabbia è l’unica manifestazione emotiva e la violenza l’unico mezzo di comunicazione.
Ecco, sono partito dal consenso e sono arrivato a parlare di una spirale di violenza che sembra non fermarsi mai. Giuro che quando ho cominciato pensavo di scrivere una puntata/mail un po’ meno cupa. Eppure mai come oggi è importante riflettere sul tema della violenza familiare e degli abusi.
Si dice molto spesso che chi è un bullo da giovanissimo (e magari un molestatore e un violento da grande) è probabilmente stato vittima di abusi da piccolo. Gli abusi che i genitori o altri adulti possono attuare su un bambino sono moltissimi, non c’è bisogno di pensare solo a quelli più “evidenti”. Possono essere abusi mentali, fisici, purtroppo anche sessuali. Con questo non sto tentando di giustificare il bullo, il molestatore, il femminicida. Ma gli abusi portano direttamente alla colpa, alla rabbia, al non sentirsi degni. Se non dai valore alla tua vita, non dai valore nemmeno a quella degli altri. E questo non può portare a nulla di buono.
Questo, in sintesi, è il grande cerchio della violenza maschile che dobbiamo cercare di rompere. E questo è il motivo più importante per cui ho iniziato a scrivere questa newsletter.