Famiglie disfunzionali, fotografie e tanti guai
Uno sguardo dall'alto sugli ultimi dieci anni e un po' di pensieri ed emozioni contrastanti, prima del rientro ufficiale.
Photo by Awkward Family Photos1
Fa caldo. Molto caldo. Sono tornato da poco da un viaggio in un posto dove c’erano 18 gradi in meno. Comprensibilmente, sono un filino nervoso. Ma questo è l’unico momento dell’anno in cui posso dedicarmi a quei lavori che noi nerd ossessivo compulsivi amiamo, tipo mettere in ordine gli ultimi dieci anni di archivio fotografico familiare sparsi su un tot di servizi cloud o direttamente dentro qualche hard disk esterno.
Quello che il 99% delle persone sane di mente considera una solenne rottura di coglioni, io lo trovo un lavoro finanche rilassante, quasi zen. Ma è un lavoro che rischia di portare con sé alcuni effetti collaterali, tipo ripensare a come eri dieci anni prima e a come si è evoluta - o come è regredita - la tua vita nel corso del tempo.
Ma… che maleducato, non ti ho nemmeno detto un “ciao”! Sono contento che ci ritroviamo nella tua casella email. Prima di rituffarci (a settembre) in argomenti più seri, ti voglio raccontare qualcosa di me. Spesso chi legge o commenta qui su Patrilineare ha un’idea di me come di un campione dell’antisessismo, un padre attento e amorevole, un uomo che supporta la sua compagna in tutto e per tutto, un attivista alleato delle cause transfemministe e LGBTQIA+, e via dicendo. Ecco, anche meno.
Cioè, intendiamoci, quella è la descrizione della versione migliore di me, quello che io provo ad essere. Nella realtà dei fatti, come tutti gli esseri umani (e in particolare quelli di sesso maschile) sono ancora nel processo di liberazione da 50 anni di cultura patriarcale. Come giustamente dice mia moglie quando è particolarmente incazzata e vuole colpire dove fa più male, “scrivi Patrilineare tre volte al mese ma poi nella realtà quotidiana ancora ti comporti di merda”.2
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Come in ogni famiglia, si litiga a volte per i soldi (la coperta è invariabilmente sempre troppo corta), a volte perché ci si sente trascurati dall’altra persona, a volte semplicemente perché fa caldo e la pazienza è esaurita. In alcuni di questi casi, riconosco a posteriori un’impronta patriarcale alla radice della lite (tipo quando io mi incazzo e dico “ma io devo lavorare”, un grande classico intramontabile). Ma cosa c’entra questo con le foto di famiglia? Beh, rivedendo le foto, soprattutto quelle di mio figlio, archiviate per data, dalle prime ecografie all’ultimo selfie in vacanza, ho un po’ rivissuto tutti i momenti migliori e i peggiori di questi ultimi anni.
La trepidazione nel creare una stanza tutta per lui mista all’amarezza del non avere (più) una stanza tutta per sé, l’aggiustamento di spazi e di vita che una nuova persona in casa si porta dietro. Il lavoro di cura che abbiamo provato a dividerci nei primi anni di vita, vorrei dire con successo, ma a volte ci sono stati dei sonori scivoloni. Tutti i problemi connessi agli anni del nido e della scuola materna, che hanno fatto sì che nella nostra vita familiare entrassero a volte senza bussare psicologi, terapeuti, logopedisti, psicomotricisti, neuropsicomotricisti, neuropsichiatri infantili, e chi più ne ha più ne metta.
Photo by Awkward Family Photos
Tant’è vero che dopo la fine della scuola materna le foto del bambino, ma anche le foto di famiglia, semplicemente non c’erano più. Scattavamo di meno, archiviavamo di meno. Era subentrata una stanchezza, che dura ancora adesso e che forse è arrivata al picco massimo di “esaurimento batterie”. Ho quindi ripercorso questi cinque anni di scuola primaria: cinque anni in cui mio figlio è diventato tutto sommato più chiuso, meno comunicativo, ha sviluppato lati del carattere di difficile gestione e ha cominciato a spingere a tavoletta sul pedale del fastidio. Ma nello stesso tempo ha conservato stupore e meraviglia, che lascia trasparire solo quando si sente veramente al sicuro, e sa manifestare amore incondizionato per chi gli sta intorno. Un meraviglioso istrice, difficile da maneggiare.
Con lui, e con sua madre, molte volte non riesco ad essere la versione migliore di me stesso, quella che traspare quando mi prendo il tempo di scrivere questa newsletter. Ci provo, ma la stanchezza e il caldo a volte hanno la meglio e finisce che ci mandiamo affanculo vicendevolmente come in un mexican standoff familiare. Quando succede così, dopo la crisi, cerchiamo sempre di ricordarci uno dei nostri film preferiti di sempre, da cui proviene questa semplice battuta, che in noi risuona fortissima. E le cose vanno meglio.
Questa è la mia famiglia. L'ho trovata per conto mio. È piccola e disastrata, ma bella. Sì, molto bella.
Esperimento 626 - Stitch
Linkando qua e là
Articoli, post, notizie che mi hanno fatto pensare “aspetta che me lo segno per Patrilineare”…
Imane Khelif raggiante per la sua medaglia d’oro - © Anadolu / Getty Images
A causa della pausa estiva di Patrilineare, ho saltato a piè pari ogni notizia sulle Olimpiadi, per quanto queste sarebbero state una potenziale fonte di almeno tre numeri interi della newsletter. Vabbé, ma non è detto che non ritorneremo in futuro su questi temi. In ogni caso, se mi leggi da un po’, credo che tu possa immaginare quello che penso sulla strumentalizzazione politica della vicenda di Imane Khelif e di Angela Carini, sui titoli dei quotidiani nazionali a proposito delle squadre femminili italiane, sul body shaming nei confronti delle atlete, sulla cultura della performance e della vittoria a tutti i costi, sull’indignazione pavloviana per la cerimonia di apertura “troppo queer”. Queste Olimpiadi, più di molte altre, sono state una cartina di tornasole per scoprire un sacco di incrostazioni di patriarcato in tutti noi, incrostazioni che vanno sciolte leggendo (le fonti giuste) e documentandosi, sforzandosi anche di mettere da parte i propri bias cognitivi. Ma comunque, andiamo con un po’ di news interessanti.
La “Sex Roulette” challenge è stata un po’ lo spauracchio dell’estate. Lungi da me liquidare le “challenge” come mere leggende metropolitane (un fondo di verità c’è sempre), però qui siamo di fronte al solito allarmismo. In ogni caso, questo sta a dimostrare la necessità sempre più impellente di una educazione sessuale e affettiva nelle scuole a partire dalle elementari (vedi più sotto).
su Kamala Harris, e su cosa rappresenta la sua candidatura per le donne americane. Le vicende relative alle elezioni USA e al “ribaltone” che adesso vede il ticket Harris/Walz sfidare Trump/Vance con relativa esaltazione tra le file dei Dem è l’altro pilastro delle news estive, ma ne riparleremo diffusamente. Per adesso c’è anche questa uscita di che sintetizza tutto al meglio.Il Post ha raccontato questa sentenza della Corte Costituzionale che possiamo considerare storica per le persone trans e non binarie. È importante conoscere questi aspetti per capire quanto può essere difficile e quante “trappole” può presentare un percorso di transizione. Ne riparleremo.3
Federico Sardo su Rivista Studio va direttamente a (una delle) fonti di Lilli Gruber nel suo libro sul porno con una intervista a Jessica Stoya, ex attrice hard ora regista e studiosa del fenomeno. Molto interessante. La frase chiave, che puoi giocarti anche in una conversazione arguta a una tavolata estiva, è “Il porno, per sua natura, non può fungere da educazione sessuale più di quanto i film d’azione non possano fungere da lezioni di autodifesa o di guida“.
Dal Guardian: se anche nel Regno Unito c’è un’emergenza femminicidi, la colpa è soprattutto di un sistema legislativo che non sanziona abbastanza la violenza di genere. In questo senso, persone come Andrew Tate non sono tanto la causa di una misoginia diffusa, quanto un sintomo.
Una cosa di cui io e te possiamo essere orgogliosi: i maschi bianchi etero non sono per forza sempre dei buzzurri di estrema destra. Ecco i “White Dudes for Kamala": la loro storia è una grande ispirazione (e ovviamente Tim Walz è in prima linea).
Eppure, da più parti si evidenzia come i maschi più giovani stiano “migrando” a destra, evidenziando una spaccatura di genere nelle ultime generazioni (femmine sempre più progressiste, maschi sempre più conservatori). Ne parla il Guardian in questo approfondimento; il tema è stato ripreso poi, dati alla mano, qualche giorno dopo anche da questo pezzo del Post. La buona notizia è che questo fenomeno sembra dipendere da interpretazioni di sondaggi… e ai numeri, si sa, si può far dire quello che si vuole. Peraltro, come risulta evidente da questo altro articolo del New Yorker di pochi giorni dopo, la candidatura di Kamala Harris sta riportando tutti i giovani (anche maschi) a sinistra.
Ancora su educazione sessuale e affettiva a scuola: continuiamo tutti a convenire che sarebbe necessaria, ma a che punto siamo veramente? Francesca Polizzi su Domani ci spiega come l’applicazione sia ancora a macchia di leopardo e con notevoli divergenze tra Nord e Sud Italia. Manuela Cervi su Il Sussidiario invece riflette in modo molto puntuale sulla bozza di linee guida sull’educazione sessuale rilasciata dall’Ordine degli Psicologi del Lazio all’inizio di questa estate. Ci sono luci e ombre (ma è comunque un grande passo avanti).4
Intelligenza artificiale e cultura dello stupro: è il tema della riflessione di Daniele Erler su Domani che prende spunto da Candy.ai, il sito su cui crearsi “la fidanzata virtuale”.
Una app per adolescenti (ma anche per genitori e insegnanti) che istruisce attraverso il gioco sulla violenza di genere: Play Safe di Unicef è stata lanciata anche in Italia a fine luglio ed è una piccola grande risorsa per fare cultura antisessista.
Il servizio militare obbligatorio come soluzione universale ai problemi della società: una classica proposta di destra per la “crisi della maschilità”. Ne parla il Guardian in questo articolo, in cui vengono analizzati nazionalismo, militarismo e gerontocrazia.
Sono quasi mille le imprese piemontesi che hanno ottenuto la certificazione per la parità di genere: chiudo con questa notizia un po’ campanilistica (anche perché c’entra moltissimo l’Ente per cui lavoro) ma so che mi perdonerai. Ogni tanto devo pur tirare l’acqua al mio mulino.
Cosa mi gira in testa?
In testa mi gira prevalentemente l’Irlanda, dove sono stato per una dozzina di giorni subito dopo l’ultima uscita della newsletter. L’Irlanda è uno dei miei luoghi del cuore, pur non essendo un posto dove vado spesso (ci sono stato solo un’altra volta nel 2009).
Quello che ho notato, però, è che sempre di più l’esperienza del viaggio, della visita di posti diversi da quello in cui vivi tu, si è trasformata in una… “experience”. Ossia, laddove una volta - 15 anni fa - tutto o quasi era ad accesso libero o comunque poco regolamentato, oggi passa attraverso biglietti costosi e da prenotare on line qualche giorno prima, sterminati negozi di souvenir standardizzati, immancabili e sfiancanti contorni tipo filmati in 4D, musei interattivi annessi, ristoranti a tema che trasformano una visita di un paio d’ore in qualcosa che ti prende per forza di cose tutta una giornata e gran parte del tuo budget. Sarò vecchio io, ovviamente, ma preferivo i viaggi di prima. Prove me wrong.5
Jeremy Allen White (la cucina) e Ebon Moss-Bachrach (la sala) in The Bear - © FX
In questi giorni ho letto o sto leggendo Filosofia: maschile singolare di Lorenzo Gasparrini, che come dice il titolo esplora le questioni di genere nel campo della filosofia, dall’antica Grecia ad oggi; Babysitter di Joyce Carrol Oates (ottimo thriller per quanto abbia una scrittura vagamente ostica per i miei gusti) e Traffic di Ben Smith, il libro da leggere se si vuole capire l’Internet di oggi, nata da quei semini piantati nei 2000 da Huffington Post, Buzzfeed e Gawker. Ho visto una serie TV inglese caruccia, fresca e digeribile che purtroppo in Italia hanno intitolato Come uccidono le brave ragazze.6 Sta su Netflix, comunque. E poi ovviamente la terza stagione di una delle mie serie preferite, The Bear, su Disney+. Molti dicono che sia più statica e che manchi la concitazione delle prime stagioni, ma a me è piaciuta moltissimo lo stesso. Mi piace la concentrazione sui personaggi secondari, che fanno da spina dorsale alla narrazione. Mi piace, come in Ted Lasso, la scoperta lenta e dolorosa del disagio mentale di un uomo che è evidentemente passato attraverso dei traumi che deve ancora elaborare.
Bene: per ora ti saluto, ti ringrazio di avermi letto anche se ci sono 41 gradi e ti stra-ringrazio se mi hai lasciato due soldini su Ko-fi con il pulsantone qui sopra. Se ti sei iscrittə da poco, assicurati di andare a spulciare l’archivio di Patrilineare: ci ritroviamo il 1° settembre a pieno regime! Stai bene.