Tempo per scrivere, carico mentale e mostruosità
Riflessioni sulla paternità, il caos e il lavoro di scrittura dopo aver letto "Mostri" di Claire Dederer.
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Ciao! Ci ritroviamo dopo qualche giorno ed è già successo di tutto (scherzo… in Italia prevalentemente “è successo Sanremo”). Io intanto ho finito “Mostri” di Claire Dederer che ho divorato anche perché la prima metà del libro è dedicata a un tema che mi sta molto a cuore (da fan, come ci possiamo porre di fronte ad artisti che hanno fatto cose esecrabili).1 Ma quella che mi ha colpito maggiormente è stata una parte verso la fine in cui mi sono specchiato ancora di più.
Sintetizzando al massimo e concentrandosi solo su uno dei molti aspetti del libro (che è molto più complesso di così, perdonami se lo hai già letto), Dederer quando parla di registi, pittori o scrittori contrappone una mostruosità maschile, che consiste nella violenza sessuale e nell’aspetto predatorio nei confronti delle soggettività più deboli, a una mostruosità femminile, che consiste nel rifiuto del ruolo materno, nell’allontanamento dei figli e in ultima analisi nella rivendicazione del ruolo di artista a scapito del ruolo familiare. Una rivendicazione che è sempre stata “normale” per i maschi ma che è considerata anormale e quindi mostruosa, prodigiosa, per le femmine.
Quindi: l’artista maschio può togliere tempo alla famiglia per lavorare alla sua arte, l’artista femmina non lo può fare, o se lo fa è malvista dalla società. Questa affermazione è facilmente verificabile anche nella vita quotidiana di ognuno di noi, anche senza parlare di arte. Il carico mentale domestico è da sempre prerogativa femminile, mentre il rifiutarlo o - nei casi più soft ma ugualmente deleteri - concedersi il lusso di non tenerlo in considerazione è tipico del maschio. Io però, nella mia quotidianità, tengo ad essere un tipo di maschio differente. Ovviamente ho i miei difetti, che mia moglie saprebbe elencarvi senza esitazioni, però sulla questione del carico mentale mi sforzo di condividere (basta parlarsi, in effetti, non è così difficile).
Sono anche un padre da più di dieci anni, e da subito ho condiviso quello che Claire Dederer chiama il disagio della “carrozzina nella sala d’ingresso”.2 Il problema è considerare (nel mio caso, diciamo) la scrittura come ortogonale alla genitorialità. Questo è uno stereotipo che nel libro viene analizzato e Dederer dice in sostanza “il mio lavoro di scrittrice è importante tanto quanto i miei figli”: solo che dirlo ad alta voce appare mostruoso, soprattutto se sei una madre. O se sei un padre che ci tiene al lavoro di cura. Ovviamente io non posso considerarmi uno “scrittore”, però con la scrittura ci lavoro, da sempre.3 E allora come la mettiamo con la genitorialità? Semplicemente - almeno nella mia esperienza - lavoro e famiglia non sono due estremi opposti, l’uno non può escludere l’altro.
Il problema è che io non riesco ancora a farmi aiutare - Photo by Freepik - Freepik.com
Se a casa scrivo, sono costretto a farlo sempre con una parte del cervello volta alle lavatrici, alle commissioni, alle bollette da pagare, al cucinare qualcosa o allo star dietro alla Creatura che a 11 anni pare che si ammali più spesso di quando andava al nido. Adesso, per esempio, sto scrivendo in una giornata di congedo parentale (indovina perché tra me e mia moglie io sono quello che ha ancora un tot di giorni di congedo) causa gastroenterite del piccolo, con in più il pensiero di cucinare qualcosa DI SANO, di mettere l’ossigeno attivo sui suoi pigiami macchiati prima di passarli in lavatrice, di controllare se i fermenti lattici che abbiamo in casa sono scaduti o no e di fargli entrare in testa il Concordato di Worms e le bisettrici degli angoli in tempo per il suo ritorno a scuola domani.4
Senza contare che ovviamente - e per mia fortuna - ho anche un lavoro a monte che mi permette di avere questa giornata di congedo parentale e che tuttavia ha la tendenza a voler riempire di sé quante più ore possibile di una giornata tipo, attuando il comune “inganno del pronto soccorso”.5 Ne consegue che quando scrivo la newsletter (ma estendiamo pure: quando scrivo qualsiasi cosa) io sono abituato a farlo nel caos. A meno che io non scriva a tarda notte, cosa che in effetti solitamente faccio. Scrivere nel caos è una cosa che mi capita anche in ufficio: lavoro in un open space e faccio le mie cose in mezzo alle telefonate o alle riunioni estemporanee dellə altrə. Potrei dire che scrivo nonostante il caos, ma mi rendo conto che il caos entra nella scrittura e probabilmente le dà un’impronta particolare. In un certo senso la scrittura e il caos sono strettamente connessi, e scrivere mi serve come esercizio per mettere ordine nel caos. Per dire: come faccio le mie lunghe camminate per contrastare la pinguedine, allo stesso modo esercito i muscoli della scrittura per fare da contrappeso al caos.
Il caos non mi distrae. O meglio: mi distrae, ma sono bravo a riprendere il filo. Mi lascio dietro tante briciole di contenuto che poi posso seguire fino al concetto principale e alla fine sfrutto sempre le competenze del mio primo lavoro post-laurea (il correttore di bozze) per cui sono abituato a rileggere, correggere, nel migliore dei casi accorciare.
In tutto ciò, mi rendo conto che probabilmente ho fatto un’equivalenza tra la vita familiare e il caos. È un’equivalenza vera e sensata, almeno nel mio caso; ma non vuole essere una annotazione negativa. È una vita che mi sono scelto e nella quale tuttora scelgo quotidianamente di stare. È certamente caotica ma, come diceva qualcuno, è “il miglior disordine possibile”.6
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Grazie a Giovanni, che al termine di una bella conversazione in call sui temi di questa newsletter, mi ha suggerito di cercare “vedova” sul sito Una parola al giorno: quanto patriarcato in una sola parola!
La storia di Maria Teresa Horta, una delle tre autrici delle “Nuove lettere portoghesi”, il libro che divenne un classico del femminismo di seconda ondata e contribuì a far cadere il regime di Salazar: sul Post.
Vuoi sapere come si fa a radicalizzarsi on line? Leggi la storia del quindicenne di Bolzano sul Post.
Rinunciare alle politiche DE&I è una gran cazzata, quando i dati ti dimostrano che la DE&I porta sviluppo. Il Guardian ci dice cosa ne pensano le aziende inglesi. D’altronde, qui da noi, lo dice anche uno studio dell’Università Cattolica che lega linguaggio inclusivo e produttività.
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Verso l’8 marzo con le donne del Partito Comunista Rivoluzionario: se leggi gli obiettivi della loro lotta, è praticamente impossibile non condividerli uno per uno.
Il finto “Museo del patriarcato” è oggetto di una campagna di affissioni provocatoria e molto azzeccata in Francia (questa piacerà a )!
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Giulia Casula su Fanpage racconta la proposta di legge di Noi Moderati contro il body shaming: speriamo si vada oltre la solita, trita “giornata nazionale”.
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“Ecco la frase con cui i genitori Millennials sono stati cresciuti, ma che non diranno mai ai loro figli“ è il titolo fortemente clickbait di un pezzo su Fanpage a proposito di stili genitoriali. Io, per me, mi accontento di dire la frase “mettiti il giubbotto”, come fa lui.
L’ultimo episodio di Comodino, il podcast libresco del Post, è dedicato a fantasie erotiche e racconti porno. C’entra parecchio Gillian Anderson.
“Jaw is law”: un approfondimento sull’ossessione dei looksmaxxers per le mascelle maschili sul Post.
“Oltre la punta dell’iceberg” è un opuscolo di SCOSSE e Fotografi senza Frontiere per raccontare ai giovani (e far raccontare dai giovani) la violenza di genere. Io l’ho trovato una cosa molto figa.
Per concludere, ringrazio che ha pensato di segnalarmi questo post della newsletter di che ha molto a che fare sia con il tema di oggi, sia con quello che scrivo subito qui sotto.
Cosa mi gira in testa?
Cosa vuoi che ti dica… la settimana scorsa è stata la “settimana santa” sanremese, e io sono uno di quegli italiani totalmente ipnotizzati dalla kermesse7 canora. In particolare, sono stato un felice testimone dell’epifania generale nei riguardi di Lucio Corsi, che io seguo da parecchi anni (“before it was cool”, come si suol dire). Mai come in questo caso, nei confronti di Corsi, è impossibile fare gatekeeping e anzi, è una sensazione bellissima vedere che molti italiani che l’hanno scoperto solo la settimana scorsa (o magari qualche mese fa con la sua partecipazione alla terza stagione di “Vita da Carlo”) si stupiscono e si entusiasmano per un songwriting che è al tempo stesso antico (e dai riferimenti musicali molto chiari e circoscritti) e contemporaneo, per i vestiti e il trucco bianco da maschera del teatro Nô (derivati dal suo amato glam), per la sua personalità disarmante.
“Volevo essere un duro” - Lucio Corsi / Tommaso Ottomano
Lucio ha portato a Sanremo un pezzo che è profondamente corsiano ma anche profondamente sanremese, e il suo percorso è stato illuminante per tutti, portandolo a un meritatissimo secondo posto. Lucio Corsi, tra i personaggi della musica italiana, è quello che più di ogni altro rappresenta per me un’ideale di mascolinità positiva, spensierata, incurante degli stereotipi, resiliente (odio questa parola ma mi è venuto spontaneo associarla a lui), capace di una vera fratellanza creativa e affettuosa (vedi la collaborazione proficua e bellissima con Tommaso Ottomano, peraltro regista di tutti i suoi video come quello qui sopra di “Volevo essere un duro”) e di stare in contatto con quello che il suo conterraneo Pascoli chiamava il “fanciullino”. Lucio Corsi affronta veramente la produzione musicale come un lavoro artigianale, e più lo segui più te ne rendi conto. Ti lascio qui sotto un link a una playlist più o meno onnicomprensiva8 all’episodio del podcast Tintoria con Lucio Corsi e ti suggerisco di andarlo a vedere dal vivo il prima possibile.
Ti ricordo che è sempre attiva la “Raccolta punti di Patrilineare”. Funziona così: quando vedi il pulsante “Invita un amico” (questo qui sotto) devi cliccarlo e mandare il link a una persona che potrebbe iscriversi.
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Che aspetti? Clicca il bottone e comincia subito! Io mi assicurerò che le pubblicazioni siano aggiornate costantemente. Grazie in anticipo!
Detto questo, come sempre, non mi resta che ringraziarti e salutarti. Ti ringrazio vieppiù se mi lasci un’offerta cliccando sulla tazzona di Ko-fi qui sotto (puoi anche fare come quegli eroi che impostano una piccola donazione mensile).
A risentirci il 1° marzo, prenditi cura di te!
Ricordo che è stato proprio scoprire il concetto di carico mentale* ad aprirmi gli occhi e a portarmi verso il femminismo intersezionale ❤️
* a proposito dell’importanza di dare un nome alle cose
Ma quanto bene mi conosci? Il Museo del Patriarcato finisce dritto in newsletter (grazie!).