Maschi, non maschi e persone
In cui parliamo del "genere inesistente", della definizione per negazione, di stereotipi di genere, di maschi, maschere e mascara.
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Ciao, questo è Patrilineare e io sono Pietro Izzo, il vostro amichevole Virgilio nell’inferno del patriarcato. Se siete disposti ad abbuonarmi questa abusatissima metafora, lasciate che per questa volta io vi tenga qui, raggruppati nell’antinferno, a parlare un po’ di cosa significa “essere maschi”.
Come prima cosa, però, devo ringraziarvi: mi sono distratto un paio di giorni ed eccovi in più di 100 iscritti. Non sento per niente la pressione, no…!
Qualcuno pensi ai bambini!
Quando parlo di “educazione del maschio” dal punto di vista genitoriale, penso sempre per prima cosa alla mia esperienza che ovviamente non ha alcun valore universale (ogni bambino è una storia a sé) ma che per me è stata, ed è tuttora, molto significativa, per lo meno in termini di presa di coscienza diretta.
Dai tre ai sette anni, mio figlio ha giocato spesso con la cucina e i fornelli, con il kit da “impresa di pulizie”, con le bambole, con i trucchi e soprattutto con il glitter (il glitter è rimasto, anche a dieci anni, ma quella è una passione che ci accomuna). È sempre stato un bambino sensibile, empatico, con le antenne pronte a captare ogni variazione di umore nell’aria.
Al secondo anno di scuola primaria, qualcosa ha cominciato a cambiare: ha iniziato a non cercare come prima la compagnia femminile, a voler fare gruppo con bambini del suo stesso sesso, a rifuggire dall’espressione delle emozioni, a usare frasi come “non sono mica una femmina”. Tutto normale, per carità: sono fasi che ogni bambino passa.
Ma in quel momento ho capito che la “contrapposizione di genere” che la nostra cultura patriarcale tiene in piedi da secoli stava facendo breccia nella sua testolina: una contrapposizione culturale, cioè non legata al corpo o al carattere innato della persona. La famiglia, gli amici, gli educatori, i media, la pubblicità, i prodotti di intrattenimento come film, serie tv, fumetti e videogame molto spesso contribuiscono a questa separazione - il maschio da una parte, la femmina dall’altra, portatori di caratteristiche apparentemente incompatibili tra loro.
Il genere fantasma
Esperienza personale a parte, questo mi ha spinto a farmi delle domande sul nostro genere. Il maschio deve per forza giocare con macchinine e armi giocattolo? Il maschio non può fare giochi di cura? Cosa identifica realmente il genere maschile?
La risposta che mi sono dato è… niente.
Nella nostra cultura il maschio si definisce essenzialmente come l’anti-femmina. A pensarci bene, è una cosa triste. Vuol dire che il maschio non ha una sua identità derivata da una serie di caratteristiche, “io sono così, ma sono anche così e così”. Il maschio si definisce per negazione: “io non sono così, e non sono nemmeno così e così”.
Quello che vediamo ovunque è che fino all’adolescenza il maschio cerca - giustamente - di entrare in intimità con gli amici, di avere una relazione profonda e una vicinanza spirituale e anche fisica con i compagni. Poi le cose cambiano, e questa intimità, questa vicinanza, si interrompe. La cacciamo giù, in fondo al cuore, e cerchiamo di non farla vedere a nessuno. Perché non siamo mica femmine.1
L’empatia, la relazione con l’altro, il linguaggio delle emozioni, l’utilizzo stesso della parola come mezzo per il dialogo e il confronto, tendono ad essere rifiutate in quanto caratteristiche associate alla femminilità.
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Tutto intorno a noi ci dice che ci sono le cose da maschi e le cose assolutamente non da maschi. Se immaginiamo di scrivere su una lavagna le cose da maschi e le cose non da maschi - come si faceva a scuola quando si scriveva la lista dei “buoni” e dei “cattivi” - e di dividere i due elenchi con una riga, una barriera evidente, potremmo ottenere qualcosa di questo tipo.
MASCHIO
Non piangere
Fare i duri
Essere fighi
Camminare a testa alta
Fare casino
Impulsività
Lealtà al gruppo (dei maschi)
Conquista
Omertà
Silenzio
Distacco dalle emozioni (tranne la rabbia)
Forza fisica / violenza
Indipendenza
Lavoro duro / fisico
Sopportazione
Attenzione alla ricchezza materiale
...
NON MASCHIO
Piangere
Debolezza
Chiedere aiuto
Timidezza
Tranquillità
Attesa
Compassione
Empatia
Mostrare emozioni
Essere paurosi
Impegnarsi nello studio
Essere affettuosi
Lamentarsi
Soglia del dolore bassa
...
Il patriarcato prevede questa divisione netta e la rappresenta con ogni mezzo possibile, facendola passare come la “normalità”. Tanto che anche un bambino potrebbe dirti che il vero maschio - il maschio alfa - può essere ridotto a tre caratteristiche principali: un fisico pompato, un lavoro di successo che porta molti soldi, un numero considerevole di conquiste femminili.
È ovvio, quindi, che questa rappresentazione “o con noi o contro di noi” presenta parecchi problemi, e ne causa altrettanti. Primo tra tutti, l’implicita svalutazione del femminile. Ma anche la diffusione capillare di uno stereotipo di genere maschile che - come tutti gli stereotipi di genere - causa senso di inadeguatezza, depressione, ansia e pensieri suicidi.
Da maschi a persone
Proviamo allora a mettere in atto un piccolo trucco: sulla lavagna ideale dove abbiamo scritto i due elenchi di caratteristiche, cancelliamo la riga che le separa, cancelliamo “MASCHIO” e “NON MASCHIO” e scriviamo “PERSONA”.
PERSONA
Non piangere
Piangere
Fare i duri
Essere affettuosi
Debolezza
Chiedere aiuto
Timidezza
Tranquillità
Fare casino
Essere fighi
Camminare a testa alta
Attesa
Impulsività
Compassione
Empatia
Lealtà al gruppo
Conquista
Omertà
Silenzio
Distacco dalle emozioni
Mostrare emozioni
Essere paurosi
Forza fisica / violenza
Indipendenza
Impegnarsi nello studio
Lavoro duro / fisico
Sopportazione
Lamentarsi
Soglia del dolore bassa
Attenzione alla ricchezza materiale
...
Le caratteristiche di una persona saranno un misto di entrambi gli elenchi. Una persona a volte piange, a volte si trattiene. Una persona a volte esprime le emozioni che prova, altre volte è silenziosa e distaccata. Una persona a volte dimostra di essere empatica mentre altre volte cede alla rabbia o magari alla violenza. Una persona può essere molto cool e autosufficiente, ma verrà il momento in cui dovrà - e saprà - chiedere aiuto a qualcuno.
Una persona, in una parola, è complessa. Non è così definibile o incasellabile come vorrebbe la cultura dominante. E avrete capito dove voglio andare a parare… noi siamo tutte persone: maschi, femmine e transgender, gay ed etero, neri, bianchi e asiatici, giovani e vecchi, abili e disabili, ricchi e poveri (se ho dimenticato qualcuno ditemelo). La follia del pensiero binario “o bianco o nero”, che porta tra le altre cose al binarismo di genere, è tutta qua. Nella realtà che possiamo osservare non esistono due poli contrapposti, ma - diciamo così - una scala di grigi. Su questo ci torneremo.
Come persone siamo tutti uguali, unici nella nostra diversità, e soprattutto come persone non possiamo definirci in contrapposizione a qualcun’altro. Cioè, a meno che ovviamente ci si voglia definire in contrapposizione a un sasso, un palo della luce o un varano di Komodo2. Se restiamo nella colonna “MASCHIO” della tabella e non cancelliamo quella linea di separazione, saremo sempre limitati come persone. Anzi: non saremo proprio persone, ma solo stereotipi. Lo stereotipo porta al pregiudizio, un’opinione generalizzata, premasticata e solitamente abbastanza rigida.
I più diffusi stereotipi sul maschio (e parliamo di quelli più innocui) sono quelli che dicono che il maschio va pazzo per lo sport e per le automobili, si cura poco (a.k.a. “non si lava” o “puzza”), non fa le faccende domestiche. Ma questo maschio è per l’appunto una finzione, una costruzione sociale che dobbiamo impegnarci a smontare. Per diventare persone.
La grande truffa del maschio alfa
Le caratteristiche di iper-mascolinità rappresentate nei media, nelle serie tv, nei fumetti, nei videogame, sono una caricatura esasperata del maschio come lo dipinge la cultura dominante. I maschi alfa presentati come modello agli adolescenti sono personaggi a volte anche godibili e divertenti.3 Ma appunto, sono qualcosa su cui ridere e intrattenersi, certamente non un modello da imitare - esattamente come il porno non è il vero sesso, ma una rappresentazione estremizzata e quasi sempre irreale del sesso.
Non a caso li chiamiamo “contenuti per adulti”: sono contenuti che per essere capiti e goduti necessitano di un senso critico e di una consapevolezza che da giovane puoi avere o non avere (e di solito non ce l’hai).
Photo by Krista Sudmalis - GigaChad on Knowyourmeme
Questi contenuti vanno fruiti con consapevolezza, mettendoci un minimo di cervello, per distinguere il reale dalla caricatura esasperata del reale. Ci tornerò su più volte, anche perché è un tema che finalmente è salito alla ribalta dopo gli ultimi fatti di cronaca. È sotto gli occhi di tutti che in alcuni videogame ci si allena alla violenza. Che molti porno presentano situazioni di violenza e sopraffazione. Che sui social si innescano dinamiche di confronto improntate all’intolleranza e alla disumanizzazione dell’altro. Che molta musica hip-hop o trap presenta testi che celebrano violenza, sessismo, omofobia.
Fruire questi contenuti senza la consapevolezza che si tratta di finzione e di una rappresentazione della realtà che non ha corrispondenza nella vita di tutti i giorni è una delle cause maggiori del problema del maschio nella società occidentale. Il maschio sa di doversi collocare nella colonna “MASCHIO”. Sa di dover rifiutare ogni caratteristica della colonna “NON MASCHIO” (anche se segretamente le ha tutte). Crede fermamente di dover disprezzare le femmine, i gay (che - dio ci scampi - ci appaiono a loro volta come un’esasperazione in un corpo maschile di caratteristiche femminili) e tutti quanti non si conformano all’ideale del chad, quindi - per usare i termini denigratori cari alla cultura patriarcale - nerd, sfigati, ciccioni, handicappati, fr*ci e quant’altro.
Il maschio “quotidiano”, quello che incontri per strada, a scuola, al supermercato, indossa una maschera4. Anche tu. Anche io. È una maschera che copre la vulnerabilità, le emozioni, il desiderio di entrare in contatto profondo con gli altri. Una maschera che lascia passare soltanto la rabbia, unica emozione concessa (e - beninteso - “vietata” alle femmine).
La ferita originale che alimenta la rabbia del maschio è l’idea tutta patriarcale di aver diritto a una condizione di potere/soldi/successo che però nella vita non arriva mai (o meglio: può arrivare magari per l’1% della popolazione maschile, secondo i criteri di un turbocapitalismo che strutturalmente si nutre delle diseguaglianze che il patriarcato mette in atto) e quindi di essere stati in qualche modo fregati. La vita ci deve qualcosa, noi dobbiamo essere sempre vincenti e in controllo, ma è palese che questo non succede praticamente mai. Il maschio non sa gestire questa frustrazione, e la rabbia esplode, portando alla violenza.
Ecco perché da quando ancora mio figlio gattonava e per tutta la sua vita di bambino e preadolescente ci siamo presi la briga di dirgli “no” ogni volta che serviva.5
Riuscire ad accettare la frustrazione - in particolare per un maschio - è un’abilità fondamentale. L’importante è abituarlo a gestirla trasmettendo l’empatia e il supporto che arrivano dall’amore incondizionato. Non tutti i padri ci riescono sempre (io per primo). Però ci proviamo.
Concordo pienamente ma noto giovani indietro di cent’anni. Per natura ci vogliono un uomo e una donna per fare un bambino quindi non ci posso essere due padri o due madri senno crescono come loro. Cioè come ? Bene ? Io che sono rimasta vedova e l’ho cresciuto da sola quindi? Fine della discussione. Ps Grazie al cielo sono stata più brava di sua madre e suo padre