Il mondo al contrario: menzogne maschili e doppi standard
Atletismo, ricchezza, conquiste sessuali: sono le basi dell'identità maschile patriarcale. Ma se queste "basi" le ha qualcun altrə?
Maître à penser - X.com
Buongiornissimo! Paura, eh? Tra il titolo e la foto del generale più amato dagli italiani ti ho tratto un po’ in inganno. Non ho alcuna intenzione di parlare dell’autore del libro che ha venduto 23 copie al Salone di Torino (ma quello è un luogo di cultura, fuori di lì purtroppo ne ha vendute 230.000). Lui e le sue opinioni, puro distillato di patriarcato DOC, sono solo lo spunto iniziale di un ragionamento che volevo fare oggi con te: per il resto non vorrei proprio dare spazio a un personaggio così viscido.1
La figura del comandante militare è un po’ l’apoteosi di tutto quanto urla “patriarcato!” nel mondo. È l’incarnazione dei tre precetti menzogneri che la società inculca nei maschi a partire dal momento della nascita: il primo è quello che vuole il maschio atletico - o comunque bravo negli sport e preferibilmente nel calcio (almeno in Europa). Il secondo è quello che prescrive al maschio un cospicuo guadagno di denaro in modo da poter provvedere alla famiglia di cui è (o dovrebbe essere) il lìder maximo. Il terzo è quello che richiede al maschio di fare sfoggio di un buon numero di conquiste sessuali, perché più hai scopato più dimostri che “ce l’hai duro” e soprattutto che non sei un fr*cio. Ho dedicato molte uscite a smontare queste bugie: vengono vendute come “norme sociali naturali” ma sono distorsioni della realtà. A un maschio può anche non piacere lo sport, può anche impelagarsi in lavori precari o poco soddisfacenti2 (non è che possiamo essere tutti top manager) e in definitiva può anche uscire da uno stereotipo in cui l’unica cosa che lo definisce in quanto uomo è il suo cazzo.
Eppure, come ben sai se l’hai provato sulla tua pelle, è molto difficile uscire da questa gabbia patriarcale: se non hai queste tre caratteristiche non sei considerato un vero maschio. Se ne hai almeno una o due, puoi ancora sperare di essere un gregario, di essere accettato “con riserva” nel gruppo dei tuoi co-genere, ma in questo caso la cosa migliore è fingere. Fingere di avere queste caratteristiche per restare nel perimetro della mascolinità.
Ma proviamo a ribaltare la situazione e a vedere “il mondo al contrario”, come diceva il tale. Quelle tre caratteristiche, siamo d’accordo, contribuiscono a creare uno stereotipo. Se non vogliamo basarci su stereotipi, è ragionevole pensare che anche altri soggetti possano essere atletici, ricchi, sessualmente iperattivi. Per esempio… le donne! Allarme rosso! Ecco che scatta il doppio standard sessista, anche negli uomini che si considerano più illuminati.
Un fatto: le giocatrici di serie A hanno uno stipendio mensile medio di 1.250 euro. Un calciatore di serie C maschile guadagna in media 2.500 euro al mese.3 Ma al di là dell’evidentissimo gender pay gap, che viene spesso riportato al fatto che il campionato femminile non è interessante e non smuove i soldi degli sponsor come quello maschile, pensa a come consideriamo in genere le sportive. Di un uomo lodiamo i risultati, di una donna la forma fisica, o l’audacia dell’outfit sportivo (pantaloncini cortissimi e via dicendo). La donna sportiva spesso viene etichettata come omosessuale, o comunque come una donna che “vuole fare il maschio” quando invece dovrebbe stare al suo posto. In questo fanno eccezione, fortunatamente, i padri di figlie femmine che sempre più spesso sono all’avanguardia nella lotta agli stereotipi di genere.
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La donna che si compiace delle sue conquiste sessuali e/o le esibisce è una z*ccola. Su questo secoli di letteratura concordano. Talmente forte è questo stereotipo che nella nostra società è francamente difficile trovare una donna che rivendichi lo status di zoccola e ne faccia un badge di orgoglio. Difficile, ma non impossibile. Sebbene a mio avviso sia poco elegante per maschi, femmine e persone transgender vantarsi delle proprie conquiste, è pur vero che chiunque dovrebbe poter essere in grado di farlo senza per questo sentirsi insultare. La donna che anche in questo ambito “si comporta come un uomo” è ovviamente una minaccia all’ordine costituito e alla sacralità della famiglia patriarcale.
Infine, la donna ricca e di successo - la donna manager - è sicuramente in quella posizione perché “l’ha data a qualcuno”. Non è previsto che una donna abbia studiato e abbia ottenuto buoni risultati magari in un campo che prepara alle tipologie di lavoro meglio retribuite (penso ad esempio alle discipline STEM). Non è previsto che abbia fatto la sua carriera per meriti (oddio, qua ci scontriamo anche con il concetto di “soffitto di cristallo”, per cui se si deve scegliere tra promuovere un uomo meno competente o una donna più competente a una posizione di rilievo, di solito viene scelto l’uomo). La donna manager suscita un misto di timore, invidia e incredulità nell’uomo poco abituato a vedere il “sesso debole” fuori dalle mura casalinghe. Di lei si dice che “ha le palle” (paragonandola ovviamente a un maschio per farle un complimento) nel migliore dei casi o che è un’arpia e che dovrebbe scopare di più nel peggiore.
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Qual è l’elemento comune? Facile: in questo mondo al contrario, se la donna vuole “fare l’uomo” verrà sanzionata con uno stigma di tipo sessuale. Sei lesbica, sei una p*ttana, hai fatto carriera scopando le persone giuste. Non siamo capaci di andare al di là di questo, un richiamo all’ordine trito e scollegato dalla realtà. Perché esattamente come non ha nessun senso valutare un uomo in base a quanto scopa e chi si scopa, la stessa cosa vale per una donna. Gli insulti di tipo sessuale invece, se ci fai caso, sono rivolti solo alle donne.
In sostanza, entrambe queste visioni speculari riguardo la prestanza fisica, l’esperienza sessuale e la scalata sociale di maschi e femmine vanno sradicate. Purtroppo moltissimi uomini (e ti assicuro, anche molte donne) vivono ancora nel 2024 con queste convinzioni. Si può essere atleti o pantofolai, ricchi o meno ricchi4 avere una vita sessuale intensa o meno: siamo comunque persone, ognuno con le proprie caratteristiche e la propria individualità.
Magari siamo stronzə, ma di sicuro non siamo uno stereotipo.
Linkando qua e là
Articoli, post, notizie che mi hanno fatto pensare “aspetta che me lo segno per Patrilineare”…
Due pagine da “Quando muori resta a me” di Zerocalcare - © Bao Publishing
Daria Bignardi su Vanity Fair dice che Zerocalcare è uno dei pochi uomini che riflette sul patriarcato. Dissento sul “pochi” perché basta guardare in quanti vi iscrivete a Patrilineare, ma vi posso confermare che Quando muori resta a me è uno dei migliori romanzi a fumetti di Zero e che tratta tematiche a me molto care: c’è ovviamente il rapporto tra padri e figli e c’è anche un punto di vista femminista che l’autore non aveva mai toccato così esplicitamente in altre opere.
Su Jacobin c’è un interessantissimo approfondimento sull'arte del patriarcato: si parte dall’analisi di un quadro di Rubens che rappresenta uno stupro mascherato da atto di seduzione per riflettere sulla connessione tra sesso e violenza nei secoli.
Una bella intervista a Stefano Ciccone di Maschile plurale, la rete nazionale di uomini che mettono in discussione maschilismo, sessismo e patriarcato. Ciccone è ovviamente uno dei numi tutelari di questa newsletter5 e ha delle intuizioni molto interessanti come quella sulla negazione maschile della corporeità che genera il sessismo.
Mattia Madonia su The Vision ci fa riflettere con un interessante articolo sulla importazione dagli USA della cosiddetta “cultura woke” e sul cortocircuito che crea nella sinistra antiamericana.
Da Informare un H, uno sguardo attento sulla recente direttiva europea sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica dal punto di vista delle persone con disabilità.
Se questo mese vuoi leggere un solo libro sul femminismo, quel libro dovrà essere per forza Fare femminismo di Giulia Siviero. Peraltro, copertina migliore dell’anno.
Grazie a Maria Elena che mi ha segnalato questa intervista a Zaira Schauwecker (aka zairacconta), una mamma svizzera che cerca di educare i figli superando gli stereotipi di genere (ma nel suo blog c’è molto più di questo).
Il libro di Lilli Gruber non l’ho ancora letto, ma diciamo che c’è chi lo ha fatto per me e ne parla su Rolling Stone Italia (via Diritti Sessuali di
)Alla faccia di Roberto Vannacci (che a quanto pare ha avuto da dire anche su questo)6 Nemo ha portato l’attenzione dell’Europa sulle persone non binary e ora - oltre all’Eurovision - spera di vincere anche un’altra battaglia.
La sex/ed che vorrei
Quando parlo di educazione sessuale e affettiva, spesso la gente tende a dimenticarsi quell’altro aggettivo: “affettiva”. Questa volta invece cerchiamo di parlare un po’ di più di emozioni.
Ep. 5 - Cosa sai delle emozioni?
Questo è un capitolo molto importante, solo che non sapevo dove metterlo. Però fidati, che è cruciale. Quindi tanto vale parlarne adesso, prima di passare ad altro. Ormai hai capito che secondo l’opinione comune il maschio non solo non si cura del proprio corpo, ma non è in contatto con le proprie emozioni: non sa riconoscerle, non sa gestirle, non sa viverle, non riesce a parlarne. Questo ovviamente può essere un problema indipendente dal genere, ma comunque molto dipendente dall’educazione ricevuta durante l’infanzia.
Il puzzle delle emozioni - Illustrazione generata con Pikaso
Gli stereotipi di genere ci dicono che la femmina osserva e il maschio agisce. Ma è ridicolo. Sappiamo bene che la femmina osserva e agisce, e il maschio… beh, agisce. Ma se agisce senza osservare sarà sempre monco come persona. Quando dico osservare voglio dire “saper leggere il mondo intorno a sé”. Se non sai leggere il mondo, quello che fai nel mondo sarà sempre fuori luogo, senza senso, inutile o addirittura controproducente.
Per le emozioni è uguale. Nessuno nasce “imparato”, tutti sappiamo riconoscere la rabbia, la paura, la tristezza da un lato, la gioia e la serenità dall’altro. Ed è già una gran cosa. Ma ci sono mille sfumature di emozioni che dobbiamo essere in grado di leggere, dentro di noi e negli altri, per capire e per capirci, per condividere ed elaborare. Anche le emozioni cosiddette negative vanno vissute, capite, tenute per mano e salutate quando se ne vanno. Perché alla fine se ne vanno sempre. Tu sai riconoscere tutte le tue emozioni? Guarda che non è difficile, basta sedersi e ascoltarle.
Per esempio: tutti sanno distinguere quando provano gioia o allegria, ma cosa mi dici delle altre emozioni positive? La tenerezza, che provi verso qualcosa o qualcuno che ti sembra di dover proteggere. Il sollievo, che provi quando ti liberi da una sensazione sgradevole. La serenità, che magari non sarà una gran cosa alla tua età ma che è la porta della vera felicità. Il desiderio, che in fondo è il motore delle nostre azioni. La soddisfazione di un lavoro ben fatto, o di un desiderio esaudito. Il piacere di fare o sperimentare le cose che ti fanno stare bene. L’accettazione degli altri e delle loro diversità. La compassione e la gratitudine, forse le più sottovalutate delle emozioni positive, che ci aiutano a sentire quello che prova un’altra persona e a riconoscere tutte le cose o le esperienze piccole e grandi che ci vengono regalate ogni giorno e che ci danno piacere.
Perché sei felice? Perché hai risolto un problema che ti assillava, perché sei in intimità con un’altra persona, perché hai sperimentato qualcosa di buffo, tenero, piacevole. Perché in questo momento non c’è niente che non va. È così semplice, veramente.
E poi, le emozioni negative. Fin da bambini sappiamo tutti cos’è la rabbia, un’emozione che può diventare anche distruttiva se non è ben vissuta. E sappiamo soprattutto che la rabbia è l’unica emozione che viene consentita al maschio nella nostra società. La rabbia può - e in certi casi sacrosantamente deve - sfociare in comportamenti aggressivi o poco simpatici. Ma anche la rabbia va letta, e va distinta dall’odio, che di solito è una motivazione alla rabbia. O dal disgusto, dall’ostilità, dall’irritazione, dalla tensione. Poi c’è la tristezza, la grande esclusa. Non sia mai che un maschio pianga, non sia mai che faccia scalfire la sua corazza da una cosa stupida come la tristezza. La tristezza è una perdita di tempo, di forza, di energia. Ed è un’emozione complicata. Spesso si porta dentro il rimorso, la colpa, la vergogna, l’insicurezza, la confusione, la paura. L’abbandono, l’incomprensione, la delusione, la frustrazione, l’invidia. La solitudine, la malinconia, la noia pure. Non sono tutte emozioni che sai distinguere fin troppo bene se ci pensi? 7
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Perché sei infelice? Perché hai fatto o detto qualcosa che ha avuto un effetto negativo su te o su un'altra persona. Perché sei finito in un casino e non sai decidere quale sia la soluzione migliore. Perché hai paura di restare solo, o di non essere accettato. Perché qualcuno ti ha deluso, si è comportato male con te, o semplicemente ha qualcosa che anche tu vuoi.
In ognuno di questi casi è importante riconoscere l’emozione che stai provando. Lo so, per il maschio tipico è già difficile ammettere di essere giù di morale. Ma ti dirò di più. Devi uscire da quella che chiamiamo la comfort zone, la zona in cui ti senti al sicuro e protetto, che per un adolescente maschio di solito è un divano sfondato dalle troppe sessioni di Playstation o di masturbazione. Devi uscire e parlare delle tue emozioni, con persone con cui ti senti al sicuro. Devi parlarne perché questo ti aiuterà a viverle meglio, e - nel caso di emozioni negative - ad accompagnarle serenamente verso l’uscita.
Sai cosa succede a chi non vive, ossia non accetta di provare emozioni negative come la paura, la tristezza, il rimorso o la vergogna? Metaforicamente parlando, le schiaccia giù, nel profondo della propria persona - diciamo nella pancia. Ma le emozioni non si fanno fregare tanto facilmente, e se c’è una cosa che non sanno fare è stare al loro posto. Garantito che ti ritornano in gola quando meno te lo aspetti o che ti fanno venire dei malanni inspiegabili (almeno, finché non capisci che sono legati alle emozioni).
Quindi: riconoscile, vivile, parlane. Una volta che hai imparato con le tue, sei a metà dell’opera. Perché il livello pro consiste nel saper leggere, “sentire” e comprendere le emozioni degli altri. Si chiama empatia, dal greco “en” (dentro) e “pathos” (sentimento). È la capacità di mettersi nei panni degli altri, per dirla in modo spiccio. Vuol dire saper capire cosa prova un’altra persona e sintonizzare le proprie emozioni in accordo con l’altro. Si tratta di un’abilità che - ti assicuro - è fondamentale per stare al mondo. Se sei empatico, capisci cosa sta succedendo intorno a te, riesci a “leggere” una stanza: nell’ipotesi in cui tu stia facendo ad esempio un gioco o un lavoro di squadra, ti aiuta a capire con chi puoi sintonizzarti meglio, quale persona potrà attivare quale abilità, con chi è meglio non interagire in un dato momento.
L’empatia è l’unico vero superpotere che puoi avere nella vita reale ed è un'abilità che va coltivata. Bisogna allenarsi ad essere empatici: nessuno nasce così. Non ti nascondo che è una cosa stancante, ma dà grandi soddisfazioni. Il maschio standard, ovviamente, non è empatico. Non è una caratteristica ammessa nella lista delle qualità che fanno il “vero maschio”. Ma tu provaci, e poi vienimi a raccontare se non è un momento di insospettabile felicità abbracciare un amico che sta male.
È vero: vivere le emozioni negative proprie è già una gran fatica, vivere quelle degli altri può esserlo ancora di più e magari potresti chiederti “ma in fondo, chi me lo fa fare”. Eppure, se la felicità arriva quando se ne vanno i problemi, essere felici in due (o più) è qualcosa di molto più completo e in buona sostanza è il senso della vita. Stavolta l’ho detta grossa, lo so. Ma credimi, è così.
[continua…]
Cosa mi gira in testa?
Un giro di chitarra distorto, prima quasi inaudibile, poi più chiaro, ma come se arrivasse da una stazione radio mal sintonizzata nello spazio… e nel tempo. Diamond Jubilee di Cindy Lee è l’album del momento, due ore di esperienza sonora che puoi trovare solo su un sito che sembra uscito dai primi anni ‘90 o in un lungo video integrale su YouTube. Non su Spotify o su altre piattaforme (immagino per polemica). Cindy Lee è l’alter ego in drag di Patrick Flegel, già chitarrista dei Women, e Diamond Jubilee suona come se i Velvet Underground stessero facendo un party a base di LSD con le Ronettes. Ipnotico.
Cindy Lee at Bohemian National Cemetery - YouTube.com
Da un po’ non vedevo dei bei film horror (i musical, i film d’animazione e gli horror sono i miei tre generi preferiti). Immaculate e Late Night with the Devil hanno abbastanza soddisfatto la mia voglia di horror interessanti - non capolavori, ma storie a metà tra il trash, il curioso e il decisamente rivoltante. In entrambi i film ci sono risvolti demoniaci: si può dire che Immaculate ha le sue radici in un incrocio tra Rosemary’s Baby e Il presagio mentre Late Night with the Devil è un misto tra il found footage, la TV anni ‘70 e L’Esorcista. Se ti interessa, ne scrivo qua e qua.
Al Salone del Libro di Torino ho fatto un ricco bottino di graphic novel: a parte Zerocalcare, Sangue di Caruso/Schiatti, Heartbreak Hotel di Beltramini/Innocente, Sono una testa di panda di Bevilacqua… tutte letture che ti fanno venire il magone in un modo o nell’altro. D’altra parte il magone è un po’ il sentimento che contraddistingue la mia vita.8 Ti voglio segnalare anche un podcast fondamentale che seguo da un po’ ma di cui mi sono reso conto non ti ho mai parlato: si chiama Mai dire Maschi ed è prodotto dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, condotto da Federica Merenda e con ospiti del calibro di Lorenzo Gasparrini, Andrea Colamedici, Alessandro Giammei, Andrea Pracucci di Mica Macho e altri.
Non mi resta che salutarti e ringraziarti per il fatto che continui a leggermi con costanza. Hai una notevole resistenza, lasciatelo dire. E un grazie speciale anche a tuttə quellə che mi hanno lasciato i soldi per un caffè su Ko-Fi, voi sapete chi siete e mi avete fatto un immenso piacere. Se volete, il barattolo delle offerte sta sempre lì, sulla GIF qui sopra. Altrimenti vale sempre anche il cuoricino, ma più ancora il commento, la condivisione, il restack. Alla prossima!
Domanda: ma usare espressioni come "maschio tipico", dire che "agisce ma non osserva" e che l'adolescente maschio medio si sfonda di sessioni di PlayStation e masturbazione... non è a sua volta aderire agli stereotipi di genere?
ancora co sto vannacci