Di cosa parliamo quando parliamo tra uomini
Di calcio e di f*ga? No, dai. Non siamo così stereotipati (vero?). Però dobbiamo fare un salto di qualità nel nostro discorso sul patriarcato.
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Ciao e benritrovatə! Eccoci di nuovo qui insieme, tu a leggere e io a scrivere... L’estate è ufficialmente finita e possiamo tornare ai consueti Patrilineare dal tempo di lettura superiore ai 15 minuti! Ma non lo faccio apposta, sai? È che a volte c’è veramente molto da dire.
Prima delle vacanze, ad esempio, stavo riflettendo molto sul discorso della comunicazione tra maschi, e più nello specifico sulla comunicazione tra me e i maschi che leggono questa newsletter. Non me ne vogliano le altre persone, stavolta il pezzo introduttivo è dedicato a loro (poi tanto dopo abbiamo una valanga di temi afferenti al mondo LGBTQIA+, drag, transgender e via dicendo). Come parliamo quando parliamo tra di noi, insomma? Io mi rendo perfettamente conto che in questa newsletter ho “carta bianca” per esporre i miei pensieri e le mie riflessioni in modo calibrato. Ma nel mondo reale?
Parto da me: ho pochi amici maschi “nel mondo reale”, come si suol dire, e con alcuni di quei pochi riesco a parlare anche degli argomenti di cui parlo qua. Non è semplice perché - lo ribadiamo spesso - tra maschi non è che in genere siamo abituati a parlare molto, in particolare di qualcosa che ci tocca nella sfera intima, delle emozioni. Ma soprattutto non è semplice perché so bene che si tratta di argomenti che mettono sulla difensiva la maggior parte dei miei co-genere; che per quanto frequenti persone che si dichiarano antisessiste salta sempre fuori quella cosa che io trovo cringe mentre agli altri sembra normale; che a volte persone come parenti o amici di lungo corso hanno opinioni diametralmente opposte alle mie e non posso fare a meno di voler loro bene lo stesso anche se mi ritengo anni luce lontano da loro.
In questi mesi ho ascoltato molto il podcast di
“Tutti gli uomini”1 e nell’ultimo episodio ho trovato proprio un sacco di opinioni su questo “parlare tra noi”. Allo stesso tempo, quando ho chiesto nel sondaggio cosa vi piace di più o cosa manca nella newsletter, qualcunə mi ha scritto che occorre forse trovare un linguaggio più semplice, più “terra-terra” per farsi capire meglio dai maschi etero cis. Subito questa cosa mi è parsa vagamente offensiva: mi spiego, non è che perché siamo maschi etero cisgender siamo per forza incapaci di elaborare un pensiero critico sulle tematiche di genere o di comprendere concetti che non ci sono familiari. D’altra parte questo è esattamente il motivo per cui dalla seconda uscita di Patrilineare in poi ho inserito un glossario che va avanti ancora oggi e che in effetti è particolarmente apprezzato.Photo by Freepik - Freepik.com
Qui si aprono secondo me due tipi di riflessioni: la prima è quella sul linguaggio percepito da alcuni maschi come “iniziatico”. Certo, questo è un mio interesse specifico e da anni studio e leggo libri sui femminismi, sul patriarcato, sulle questioni di genere, sulla teoria queer e quant’altro. Non posso pretendere che tutti quelli che incontro siano sulla mia stessa lunghezza d’onda. Non è che se non sai esplicitare l’acronimo LGBTQIA+ sei un minus habens, semplicemente non è il tuo campo di interesse. Nel mio piccolo cerco di creare interesse e spiegare le cose, ritornando sempre allo stesso punto fondamentale, che per attuare una vera convivenza delle differenze occorre conoscere il diverso da noi, perché se non lo conosciamo automaticamente ne abbiamo paura, e se ne abbiamo paura lo odiamo e lo osteggiamo con tutte le nostre forze. Se però ti dà fastidio la parola “patriarcato” o la parola “privilegio” e ti metti sulla difensiva perché pensi che sto facendoti una colpa dei mali del mondo, caro mio, una volta che ti ho spiegato la mia posizione non è più un mio problema.
Il secondo tipo di riflessione è più nel merito che nel metodo: non è che tra maschi non si parli mai di violenza di genere, per esempio. Se ne parla eccome, ma - purtroppo - se ne parla come di qualcosa che non ci tocca, o meglio “non può” toccarci. Perché se parliamo ad esempio di femminicidi, è sempre per scuotere la testa sconsolati e dirci “in che mondo viviamo signora mia”, o se parliamo di diritto all’aborto stiamo comunque discutendo di qualcosa che non riguarda direttamente il nostro corpo. Quando dico che noi - io e te, i padri e i figli, gli amici e i colleghi - dovremmo parlare urgentemente di questioni di genere, intendo questioni che riguardano il nostro genere. Il genere maschile, il grande assente, il non-genere, di cui non si parla perché non c’è nulla da dire. E invece diciamoci almeno tra noi quanta merda dobbiamo ingoiare a causa del sistema patriarcale, a partire dallo spegnimento di ogni tipo di emozione che non sia la rabbia fino ad arrivare alla retorica del guerriero che deve vincere a tutti i costi. Quanto “costa” questo privilegio maschile? Il gioco vale la candela? Parliamone.
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Il terzo tipo di riflessione è più pratico, se vogliamo: posso io in una chat di Whatsapp commentare ogni battuta / vignetta / foto sessista, razzista, omofobica o abilista alzando il ditino ed ergendomi a moralizzatore? Credo di no, principalmente per il fatto che mi sembrerebbe di pormi in una posizione in cui guardo le persone dall’alto in basso, e non è quello l’effetto che vorrei ottenere. È una questione molto delicata: a volte ho l’impressione che anche quello che scrivo qua possa essere preso come un tentativo di virtue signaling. Ho fatto volutamente l’esempio di Whatsapp perché è lo strumento più comune per comunicare al volo (e per mandare cazzate) ma anche il più difficile per esprimersi al meglio. Dal vivo, faccia a faccia, a volte mi è capitato di dire a qualcuno “No, dai… hai detto una roba offensiva e intollerabile”. Poi magari mi guardano strano, ma intanto un semino è stato piantato.
E come dice Irene Facheris nel suo podcast, almeno la sera mi guardo allo specchio e non mi faccio schifo da solo.
Linkando qua e là
Articoli, post, notizie che mi hanno fatto pensare “aspetta che me lo segno per Patrilineare”…
Giglio Tigrato volere invitare Peter a ballare (ma “squaw deve non ballare”) - © Disney
Olimpiadi e hate speech: tiriamo le somme. Ah, e se non bastasse: una storia delle questioni di genere alle Olimpiadi. Chiudiamo la rassegna sportiva con un piccolo approfondimento sulle Paralimpiadi e sul linguaggio che bisognerebbe abituarsi ad usare per evitare scivolate abiliste (giornalisti per primi, ma anche tutti gli altri).
Il caso Elodie: oggettificazione o autodeterminazione? (Spoiler: se l’ha scelto lei è autodeterminazione).
Il caso Peter Pan: cancel culture o rappresentazione adeguata? (Spoiler: se cinquant’anni fa una rappresentazione razzista era normale, magari i tempi sono cambiati).2
Il Guardian parla spesso della situazione insostenibile dei femminicidi nel Regno Unito. La segretaria di stato per gli affari interni Yvette Cooper ha dichiarato guerra a tutti gli estremismi considerando la misoginia estrema alla stregua della radicalizzazione islamica o delle ideologie di estrema destra: brava!
L’OMS lancia un allarme globale sulla violenza di genere. Qui lo studio pubblicato da The Lancet Child and Adolescent Health. (A margine, non capisco il vezzo tutto italiano di non citare mai le fonti).
In quota “articoli un po’ difficili ma stimolanti”, Teresa Numerico sul Manifesto parla del rapporto ambivalente tra tecnologia e femminismo prendendo spunto dall’ultimo libro di Diletta Huyskes, Tecnologia della rivoluzione.
Antonio Buonocuore su GQ Italia riflette su videogame e gender equity: il bubbone nel mondo del gaming è scoppiato nel 20143, ma l’infezione evidentemente non è ancora guarita. Alla faccia di chi ancora pensa che i videogiochi non siano “cultura”.
Dal Guardian, un ritratto di Mineke Schipper, la studiosa olandese di letterature e mitologie comparate che è appena uscita con un libro sul corpo femminile nei secoli, e sulle origini della paura e del disprezzo nei confronti di tutto quanto rappresenta la donna (mito della “vagina dentata” compreso).
Andrew Tate agli arresti domiciliari: ogni tanto, una gioia.
Un’altra gioia casuale: il miglioramento delle condizioni della comunità LGBTQIA+ coreana… grazie a un errore di una compagnia assicurativa!
La figuraccia della Regione Piemonte e della circolare della Direzione Sanità su Mpox. Sembra di essere tornati di colpo al 1981.
Chiudo con una notizia (?) molto LOL che però fa anche ben sperare sulla sensibilità del nostro esercito.
La notizia da smontare
Il Giornale titola “Esplora il gender”. L’Europa finanzia un campus per drag queen dedicato ai minori. Ora: sai che non sono solito condividere articoli con questo tasso di spazzatura, ma è importante fare un esempio di debunking. Il titolone allarmistico stile "emergenza frociaggine" dovrebbe già far capire che stiamo parlando del nulla, ma tant'è. Nell'articolo si tuona contro l'UE che metterebbe (tanti) soldi per un progetto Erasmus+ che "insegna ai minorenni come diventare drag queen". L'unica fonte linkata è quella dell'associazione CitizenGo che ha messo on line una petizione per fermare la pericolosa lobby gay che ha infettato l'Europa e vuole mettere i suoi tentacoli sui nostri adolescenti. La petizione è del 25 luglio 2024, l'articolo che ha scatenato la petizione (della Magyar Nemzet, fonte ungherese, ovviamente) è del 1 febbraio 2024. Il Giornale riprende quindi una notizia vecchia ma sempre succosa per un pubblico di omotransfobici. Non vengono riportate notizie false, ma vengono presentate con un framing che è tipico dei quotidiani di destra, parlando di "insegnamento della professione di drag queen ai ragazzi". Ovviamente non è così. Il progetto DragTivism Jr. (esattamente come il progetto Drag it Up! concluso nel 2022) fa parte dei progetti finanziati da Erasmus+ nell'ambito delle linee di intervento "Gender Equality", "Inclusion and Equity" e "Creativity, Arts and Culture". L'obiettivo non è "insegnare la professione di drag queen" (o drag king, cerchiamo di essere precisi e di includere tutti i tipi di performance) ma combattere l'omotransfobia in Europa e promuovere la diversità e la non discriminazione anche attraverso gli strumenti di empowerment che la pratica del drag può garantire a chi voglia esprimere la sua esperienza di marginalizzazione o discriminazione basata sull'orientamento sessuale o l'identità di genere. Quindi evidentemente un progetto rivolto ai giovani queer e LGBTQIA+ (non un laboratorio segreto per trasformare tutti in omosessuali e bloccare il tasso di natalità del popolo italiano). Il fatto che l'Unione Europea finanzi progetti di questo tipo a me sembra solo positivo, poi evidentemente dipende dal framing attraverso il quale decidiamo di voler vedere il mondo.
Tre domande a… Raffaella Chiaretta
Raffaella, oltre che un’amica da 25 anni, è un’insegnante (da più di 25 anni) molto attenta alle questioni di genere tra gli adolescenti. Quando ho scoperto cosa è riuscita a ottenere nel suo istituto ho voluto farle le classiche “tre domande”. Perché la carriera alias è un concetto che si sta certamente diffondendo nelle scuole più all’avanguardia, ma non te lo aspetti nella provincia segreta!
Raffaella con il collega Francesco Varano
Cos'è una carriera alias e come vi è venuto in mente di proporla nel vostro istituto che peraltro è dislocato nella provincia, tradizionalmente dipinta come refrattaria a queste iniziative?
La carriera alias nelle scuole è un protocollo che prevede che chi ne fa richiesta (se maggiorenne, in caso contrario è necessaria richiesta da parte della famiglia o del tutore) possa essere registrato nei documenti interni all’istituto con il genere e il nome di elezione, anche se diversi da quelli anagrafici. Quindi, in particolare, prevede che sul registro elettronico risulti il nome e il genere scelto dalla persona in questione, anche se il percorso di transizione non è ancora terminato.
Il nostro è un istituto alberghiero “storico” che ha da diversi anni un plesso dedicato all’indirizzo agrario e, da 5 anni, un indirizzo di “servizi culturali e dello spettacolo” nella sede centrale. Proprio in una classe di quest’ultimo indirizzo è successo che una persona abbia trovato l’ambiente adatto e la forza di esprimere in un suo lavoro le sue difficoltà come essere umano bullizzato e discriminato. Con il sostegno del mio collega ha poi acconsentito a fare un vero e proprio coming out nella sua classe, dove è stato accolto e appoggiato in maniera commovente. Le sue compagne e i suoi compagni e tutto il Consiglio di Classe hanno accettato con entusiasmo e profondo rispetto il nuovo nome, nonostante le difficoltà soprattutto da parte di noi insegnanti più datati, con le sinapsi più arrugginite, che ancora facciamo pasticci con i pronomi.
A questa persona il mio collega ed io abbiamo promesso che avremmo portato l’istanza della carriera alias in Collegio dei Docenti per far sì che anche sul registro il nome e il genere fossero quelli giusti e che altre persone nella sua situazione potessero usufruirne. Così abbiamo proposto un regolamento per questo protocollo. Va detto che le vecchie cariatidi come me nel nostro istituto non sono più moltissime e una nuova generazione di insegnanti sta facendosi largo. Credo che sia per questo che la stragrande maggioranza del Collegio ha accolto con entusiasmo la proposta. C’è stato un dibattito con forti obiezioni soprattutto da alcune/i, sempre introdotte da frasi come “Ho diversi amici con figli trans, ma...”, “Intendiamoci, non ho niente contro i gay [!!!] ma...”, “Io faccio un sacco di prevenzione al bullismo nelle mie classi, però....”. Comunque la proposta è passata con una maggioranza di circa il 90% dei presenti.
Quali sono stati i principali argomenti di opposizione a questa vostra iniziativa? E in generale, erano articolati e motivati?
Alcuni erano di tipo pratico logistico: dove andranno in bagno queste persone? E quali spogliatoi useranno? Queste persone non hanno accettato come risposta: “quelli in cui si sentiranno più a loro agio” perché ritengono di non essere tutelate da questa soluzione. Onestamente mi chiedo quale possa essere il problema.4 Se un collega uomo entra nel bagno delle signore e io mi trovo lì, in che modo questo mi danneggia/minaccia? (O viceversa, se io entro nel bagno degli uomini, quale danno porto?) E allo stesso modo qual è il rischio di una persona trans che entra nel bagno che IO ritengo non essere il suo? Perché se stiamo parlando di molestie sessuali, quelle sono un crimine da qualunque parte lo si guardi, da parte di chiunque venga perpetrato e in qualunque locale di qualunque edificio.
Altre obiezioni erano di questo tenore: se queste persone saranno comunque discriminate fuori dalla scuola e chiamate con il nome e pronome di nascita dal verduriere, dall’autista del pullman e dall’allenatore di nuoto, non c’è il rischio che se invece noi usiamo nome e pronome elettivi gli creiamo confusione e disagio? Qualcuno ha voluto sapere: “Ma quindi dovremo usare il nuovo nome anche nelle verifiche?”. Il primo intervento però non poteva che essere: “Che succede se qualcuno vorrà chiamarsi Darth Vader o Puffetta?”.
Da lavoratrice del settore e in merito alle questioni di genere, per voi questo step è importante: ma cosa ritenete ci sia ancora da fare nel settore scuola in generale? Lo considerate l'inizio di un percorso?
Sicuramente è un inizio. Speriamo che dia forza e voce a chi non si è finora sentitə tutelatə nella propria identità di genere. Purtroppo la scuola non è diversa dalla società in cui è immersa, anche se ci piacerebbe che potesse essere una testa d’ariete per certe battaglie. Nel nostro istituto c’è una coppia di colleghi uomini che sta insieme da più di trent’anni ed è sposata all’incirca da quando è stato possibile farlo. Eppure c’è ancora chi fa battute omofobe alle loro spalle, chi li insulta apertamente, chi li guarda come animali allo zoo.
Io mi scandalizzo per il fatto che ancora si debba spiegare a colleghi con titoli per insegnare che ostinarsi a rivolgersi al femminile ad una persona che ha chiesto esplicitamente di essere chiamata con nome e pronomi maschili è una forma di bullismo; che “i gusti sono gusti ma se nasci in un modo la biologia non è acqua fresca” è una frase che manca di rispetto al dolore, alla fatica, al vissuto che non puoi nemmeno immaginare, letteralmente; che c’è una differenza tra orientamento sessuale e identità di genere, ma che ciò che hanno in comune è che non si tratta di affaracci tuoi.
La strada, dentro e fuori la scuola, è lunga. D’altronde è da quando ho iniziato ad insegnare in questa scuola, circa 27 anni fa, che litigo con i miei colleghi delle materie pratiche che insistono che “in laboratorio le ragazze devono avere i capelli legati e i ragazzi i capelli corti”. Vogliamo mica fermarci. Abbiamo appena iniziato!
Cosa mi gira in testa?
Oggi andiamo giù secchi, con un film, un libro e un album. Il film è The Disappearance of Shere Hite, di cui ti ho già parlato, credo, qualche mese fa. Diciamo che sono riuscito a trovarlo “in giro” ed è una visione obbligata per i lettori di Patrilineare. Non voglio dilungarmi troppo per non rendere questa mail pesantissima, quindi ti segnalo che ne ho scritto diffusamente qui. Ma la cosa clamorosa è stata vedere il film nello stesso tempo in cui leggevo Il femminismo non è un brand, l’ultimo saggio di
, che tratta l’argomento di come le teorie e le pratiche femministe si sono intrecciate con la politica e l’economia a partire proprio da quegli anni ‘70 e ‘80 così ben descritti anche nel film. C’è un passaggio nel libro di Guerra che rende evidente come il femminismo tra gli anni ‘80 e ‘90 fosse visto come fumo negli occhi5 esemplificato al meglio (sia nel libro che nel film) dalla citazione del caso Anita Hill.6Shere Hite era la it girl dei suoi anni - © NBC News Studios
Insomma, ti consiglio di vedere il film e leggere il libro, magari ascoltando The Rise and Fall of a Midwest Princess, l’album di Chappell Roan, la performer del Missouri che recentemente è “esplosa” grazie ad un songwriting sfacciatamente pop ma con un gusto che ricorda un po’ Kate Bush, un po’ Tori Amos ma soprattutto grazie a performance live in drag, quindi molto teatrali e con trucco, parrucche e costumi che fanno riferimento al mondo LGBTQIA+. Un vegliardo come me non può che trovare molto di già sentito nelle sue produzioni,7 però devo ammettere che è molto, molto piacevole.
Abbiamo ricominciato col botto, hai visto? Allora adesso ti saluto e ti auguro buona ripresa (di lavoro o di studi): se ti è piaciuto questo numero puoi recuperare tutto l’archivio e spammarlo in giro come se non ci fosse un domani…
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