Baby Reindeer: una dolorosa esplorazione della mascolinità
Richard Gadd ha creato una miniserie in cui riflette in modo significativo su diversi aspetti dell'essere maschio. E non ha intenzione di fermarsi.
Richard Gadd nei panni di Donny Dunn in Baby Reindeer - © Netflix
Ciao e buon primo maggio! Questo è un numero un po’ speciale di Patrilineare, perché ho deciso di prendere una cosa per cui normalmente avrei speso quattro o cinque righe in coda alla newsletter e darle per una volta la dignità di “pezzo di apertura”. In questi giorni ho visto Baby Reindeer, la serie Netflix di e con Richard Gadd, e penso sia molto importante parlarne diffusamente.
Faccio subito uno spoiler alert grosso come una casa: mentre parlo della serie ovviamente rivelerò diverse cose che succedono nel corso dei 7 episodi (nulla che tu non possa intuire dal trailer comunque). Se però sei allergico agli spoiler ti consiglio di passare direttamente alla sezione delle news e buonanotte, magari tornerai a leggere questa mail dopo che avrai visto la serie. E fidati, che tornerai.
Richard Gadd è uno stand up comedian scozzese. Già questa cosa ha probabilmente fuorviato gli executive Netflix che inizialmente hanno venduto Baby Reindeer come una serie “comedy”. Baby Reindeer ovviamente non è una serie comedy, proprio per niente. Cioè, ha dei momenti in cui si ride “a denti stretti”, ma per la maggior parte del tempo è una serie terrificante che mette addosso un disagio senza precedenti. Gadd parla di abusi sessuali, di stalking, di autosabotaggio, di mascolinità tossica, di esplorazione della propria sessualità, di cosa vuol dire denunciare gli abusi, di omotransfobia, tutto da un punto di vista maschile - il suo, dato che quella di Baby Reindeer è una storia vera leggermente romanzata per evitare di far riconoscere le persone coinvolte.1
La serie comincia proprio nella stazione di polizia in cui Donny Dunn (l’alter ego nella serie di Richard Gadd) cerca di denunciare la sua stalker, Martha (l’eccezionale e agghiacciante Jessica Dunning). Da lì andiamo indietro, accompagnati dal monologo interiore di Donny, ripercorrendo il primo incontro di Donny e Martha: lui lavora in un pub e in un momento di gentilezza offre a lei - che si dichiara squattrinata pur raccontando di essere un’avvocata di vip e politici vari - una tazza di tè. Quella è la scintilla che mette in moto un incubo che dura almeno un paio d’anni, decine di migliaia di email, telefonate, tentativi di insinuarsi nella vita di Donny. Quindi: Baby Reindeer è una serie che prende lo stalking che siamo abituati a vedere sui media (tipicamente un uomo che perseguita una donna) e ribalta la situazione? Martha è la “cattiva” della serie, una specie di Alex Forrest scozzese con problemi di peso?2
Jessica Dunning è Martha in Baby Reindeer - © Netflix
Sì e no. Il vero cattivo della serie è un’altra persona, come vedremo nel lungo flashback cui è dedicato l’episodio centrale. E per molti versi si può anche dire che il vero nemico di Donny… è Donny stesso, chiuso in una gabbia di cultura patriarcale ed eteronormatività che finisce per schiacciarlo. Ma vediamo insieme alcuni temi chiave di Baby Reindeer in relazione all’esplorazione che Gadd fa della mascolinità.
Donny lavora in un pub: ha un gruppo di colleghi che lo spingono ad uniformarsi a uno stereotipo di genere molto radicato, quello dei classici “bro”, i compagni, i camerati (per usare un’espressione che odio perché sa tanto di fascismo ma purtroppo è la più azzeccata). Non che i colleghi di Donny siano dipinti come cattive persone, e comunque hanno un ruolo di contorno, al massimo da “coro greco”. Ma attenzione alla pressione sociale che applicano quando prendono in giro Donny sulla sua “nuova fidanzata”, costringendolo a validare un’infelice battuta a sfondo sessuale che segna la sua condanna: non è una situazione in cui ci siamo trovati un po’ tutti? Il gruppo dei pari, in questo caso, fa da “polizia di genere”, assicura il rispetto dell’eteronormatività, peggiora la situazione inviando per scherzo a Martha una mail sul sesso anale, semplicemente perché “un maschio deve fare così”. Non è un caso che i colleghi di Donny siano assolutamente scioccati nel momento della dolorosa rivelazione delle sue fragilità nel penultimo episodio.
Donny è vittima di stalking da parte di una donna: in questo senso è interessante vedere la classica situazione tra generi ribaltata. È il maschio che deve difendersi da una persona che gli mette le mani addosso, che lo inonda di attenzioni non desiderate, che lo minaccia e che esercita un potere su di lui. Di norma è sempre la persona di genere maschile che, nella società patriarcale, ha un maggiore potere nell’ambito di una relazione di qualsiasi tipo. Inoltre Martha ha tutte le caratteristiche di una donna che potrebbe essere emarginata e oppressa (sovrappeso, non più giovanissima, con evidenti disturbi mentali). Il fatto è che il tema della salute mentale è centrale in Baby Reindeer, e da questo punto di vista Donny è probabilmente ancora più incasinato di Martha (o quantomeno si identifica in lei riconoscendo una comunanza di esperienze traumatiche). Soprattutto, come vediamo nella scena alla stazione di polizia, è il maschio che sperimenta la frustrazione generata da domande come “perché denunci solo adesso”. D’altronde, Donny non ce la fa a denunciare veramente Martha se non quando lei comincia a perseguitare anche i suoi familiari, per un motivo molto specifico.
Richard Gadd e Jessica Dunning in Baby Reindeer - © Netflix
Donny ha subito un abuso sessuale: è stato violentato da un uomo più grande, più ricco, più famoso - in una parola più potente - che dietro la promessa di offrirgli un lavoro prestigioso lo ha drogato e ha ripetutamente abusato di lui. Cosa succede a questo punto nella mente di un uomo? Pensiamo al fatto che quasi un ragazzo su tre viene molestato sessualmente quando è ancora minorenne: è una situazione più frequente di quanto non si pensi, anche se ci sono pochi film che parlando di questo.3 Trattato come un oggetto sessuale da un vero e proprio groomer, Donny diventa impermeabile all’intimità (motivo per cui si chiude la relazione con la fidanzata dell’epoca, Keeley), ma soprattutto comincia anche lui a considerarsi un essere umano di serie z. Perché ha accettato quella situazione pur vedendone il pericolo? C’entra un po’ l’ambizione di Donny di essere visto, di diventare famoso (come spiega bene nel monologo già citato). Perché non ha denunciato il suo stupratore? C’entra moltissimo la vergogna, l’emozione che infonde di sé ogni azione di Donny nella serie.
In una scena straziante di fronte ai suoi genitori, Donny si riferisce all’abuso come a una circostanza che potrebbe renderlo “meno maschio” agli occhi delle persone, nel caso specifico agli occhi del padre. L’evoluzione sorprendente e inaspettata di questa scena è che il padre gli risponde che in nessun modo potrebbe considerarlo “meno maschio” per aver subito una violenza sessuale, considerando che lui stesso è andato a scuola dai preti in gioventù. Questa è una di quelle scene che strappa un ghigno tra le lacrime: non è difficile immaginare uno scambio del genere “ribaltato” in battuta comica, con la punchline che scatena la risata. Invece qui è recitata allo scopo di favorire un momento catartico tra Donny e il padre, in una comunanza di esperienze maschili che sono distanti nel tempo ma analoghe.
Donny mette in dubbio la sua sessualità: dopo l’abuso avvia un percorso di esplorazione e di autoconsapevolezza che passa per la pornografia etero e omosessuale, per un periodo di promiscuità sessuale che però è più improntato all’autoumiliazione e alla ricerca di una dissociazione tra mente e corpo tipica delle vittime di abuso, fino ad arrivare a trovare la pace con Teri (Nava Mau), una donna trans che incontra dal vivo dopo essersene innamorato on line. Questa relazione è centrale nella serie e potrebbe veramente ingranare cambiando la vita di Donny in meglio. Purtroppo è inquinata dalla transfobia introiettata da anni di educazione patriarcale ed eteronormativa di Donny (vedi la scena del bacio in pubblico sulla metro), ma soprattutto dall’estremo disprezzo di sé che in ultima analisi è anche quello che spinge Donny a identificarsi ed empatizzare con una persona disturbata come Martha nonostante lei gli renda la vita un inferno, anche e soprattutto insultando Teri su un tema delicato come il suo passing.
Richard Gadd e Nava Mau in Baby Reindeer - © Netflix
In ultima analisi, Donny (e con lui Richard Gadd) mette in scena un processo di decostruzione della sua maschilità che ha inizio grazie al trigger dello stalking di Martha. Martha - anche lei una persona traumatizzata e disturbata - illumina alcune delle zone oscure della psiche di Donny che in questo modo può riconoscere e tirare fuori tra le lacrime e le crisi di panico quello che veramente ha dentro. Baby Reindeer non è una storia catartica nel senso che “tutto si rimette a posto” dopo la tempesta. I personaggi sono spezzati e tali rimangono: non c’è consolazione né rassicurazione. Ma, insieme a loro, noi spettatori siamo passati attraverso qualcosa che difficilmente vedremo ancora in termini di rappresentazione del maschio.
Almeno fino alla prossima serie di Gadd, Lions, attesa per il 2025 su BBC4, in cui racconterà l’evoluzione di due fratelli dagli anni ‘80 ad oggi usando la loro storia come chiave per esplorare il disagio della maschilità contemporanea. Io la aspetto già con ansia.
Linkando qua e là
Articoli, post, notizie che mi hanno fatto pensare “aspetta che me lo segno per Patrilineare”…
Weinstein ancora più brutto del solito - Illustrazione di Jane Rosenberg
Non siamo soli nell’universo, anche i nostri vicini svizzeri hanno qualche problema con il programma di educazione sessuale a scuola (d’altra parte almeno loro ce l’hanno nel programma).
Il patriarcato spiegato da Maura Gancitano.5 Il titolo dice tutto, un video da vedere.
Harvey Weinstein e la sentenza ribaltata dai giudici di New York. Questo - nonostante il fatto che comunque Weinstein dovrebbe finire la sua condanna in California - è uno smacco importante per il movimento #metoo e le speranze di poco meno di un decennio fa. La cultura dello stupro si sta prendendo la sua rivincita, come osserva il Guardian in questo editoriale.
Prosegue la saga di Andrew Tate, stavolta pare che sarà processato.
Ho trovato molto interessante questo pezzo di Giorgio Fontana sul Post che parla dell’antisemitismo a sinistra, una cosa che non sembra possibile né a me né a lui. Spero siamo d’accordo che si può essere in totale disaccordo con le politiche del governo israeliano senza scivolare negli odiosi stereotipi su “gli ebrei” intesi come collettività.
Uno studio interessante sulla performance di genere (maschile) negli spazi omosociali, di persona e digitali. Una performance quantomeno contraddittoria (vedi alla voce “non sono misogino ma…”).
Alice Facchini su ValigiaBlu ci parla di luci e ombre dello sharenting. Una questione che riguarda tutti i genitori (e non solo italiani) e che io per primo mi trovo a volte a prendere con troppa leggerezza. Il mio approccio è quello di regolare la privacy dei post, ma ci vorrebbe più che altro un cambio di prospettiva.
Un lungo (e complesso) pezzo su Ms. Magazine su come i maschi progressisti abbiano bisogno di una narrazione nuova e propositiva, che possa contrastare quella dei maschi di destra. Dato che in quanto dotati di pene occupiamo tutti gli spazi di discussione, tanto varrebbe farsi sentire, no?
Dal 4 al 5 maggio a Milano c’è Ensemble, un festival sulla genitorialità intesa in senso lato che mi sembra un’ottima iniziativa, tanto più che tra i vari panel fanno capolino
ed . Qui il link al sito del festival.Infine, due notizie dal mondo, una bella e una brutta. In Iraq sono ufficialmente criminalizzate le relazioni omosessuali e le transizioni di genere. In Australia il primo ministro ha parlato chiaramente della responsabilità degli uomini nel diffondere una cultura antipatriarcale.
Cosa mi gira in testa?
Ho finito Le schegge di Bret Easton Ellis e confesso che ci sono rimasto un po’ di merda nel momento in cui ho letto la pagina finale che recita “Questa è un’opera interamente di finzione. Personaggi, avvenimenti ed episodi sono il frutto dell’immaginazione dell’autore. Tranne per l’autore stesso, ogni somiglianza con persone vive o defunte è perlopiù casuale e non reale”. Un ribaltone alla veste di “true crime” che Ellis stesso ha dato al suo nuovo romanzo dalla prima alla penultima pagina.6 Ma su Reddit impazzano le corrispondenze tra personaggi e persone reali. Del resto anche per Baby Reindeer, il “popolo della rete” sta cercando disperatamente di scoprire chi siano nella vita vera i personaggi descritti. Ora sto leggendo La seconda prova di
nell’assurda speranza di capirci un po’ di più di matematica: inutile. Chi ci capisce di più è sicuramente l’autore, ma è comunque innegabile che il suo percorso sia affascinante.Il visibilmente partecipe Bret a un talk lo scorso 2 febbraio - Wikimedia Commons
Questa ansia di trovare corrispondenze tra fiction e vita vera è presente da sempre anche negli swifties: ora che è uscito The Tortured Poets Department i fan di Taylor Swift hanno ulteriore pane per i loro denti, ma io (che non sono un superfan) preferisco album come folklore o evermore, che mi sembrano meno autoreferenziali. Comunque i due album che sto ascoltando di più in questi giorni sono Why Does the Earth Give Us People to Love? di Kara Jackson e soprattutto Underdressed at the Symphony di Faye Webster, due gioiellini di cantautorato femminile venati di soul e blues tradizionali ma aggiornati al presente (Kara Jackson) e di dream-pop che non ha paura di recuperare e frullare tutta una tradizione country/pop/americana alla brill building (Faye Webster).
Su queste note sognanti ti saluto e ti ringrazio per esserti iscrittə a Patrilineare in queste ultime settimane: abbiamo da poco superato i 600 subscriber, e come ho già scritto nelle Note di Substack questo è un traguardo che se in numeri assoluti è piccolo, per me è molto significativo. Seicento persone vogliono leggere qualcosa che invio periodicamente nella loro casella e-mail. È un onore e una responsabilità. Grazie ancora.
Ottima analisi e approfondimento! Una cosa che ho potuto notare nella mia bolla social è stata la reazione di insofferenza al personaggio di Dunn. Insofferenza alla sua inazione e debolezza, al suo essere vittima soprattutto di se stesso,ma che a me sono sembrate invece la cosa più reale e realistica di tutta la serie. Parlavo settimane fa con un mio amico appassionato di antropologia e diceva una cosa interessante: anni di evoluzione hanno fatto apparentemente dimenticare all' uomo e soprattutto al maschio che non siamo solo predatori , ma siamo soprattutto prede, tutti quanti. E facciamo una fatica immane per rimuovere questa consapevolezza che invece ci sarebbe molto utile.
Non sono sicuro di essere contento della visione, nonostante la serie sia davvero bella, a causa del disagio che ho provato in alcuni momenti. Se non fosse una storia autobiografica, avrei considerato ingiusto il fatto che il protagonista si consideri corresponsabile degli eventi che lo hanno reso una vittima. La vicenda si conclude, o meglio non si conclude, senza speranza né giustizia, ed è ciò che fa più male.