Come ti decostruisco il maschio
Esperienze individuali e collettive per liberarsi dalle macerie del patriarcato morente. Perché se non te ne liberi, poi si infettano.
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Buongiorno! E se hai un nome strano di quelli che non rientrano nel calendario gregoriano, anche auguri! Oggi è la festa di tutti i santi, nonché il giorno in cui qui su Patrilineare parliamo di decostruzione maschile… come se fosse una novità, mi dirai. Certo, ne parliamo spesso, ma non ci siamo mai detti in cosa consiste precisamente, questa decostruzione, e come possiamo metterla in atto.
Vogliamo dare una definizione precisa di “decostruzione”? Non è facile, perché dobbiamo chiamare in causa la filosofia, la linguistica e quel genio sfuggente di Jacques Derrida. Decostruzione è una parola che Derrida si è inventato nel suo saggio “De la grammatologie” del 1967.1 A seconda se stiamo parlando di ontologia o di analisi del testo, la decostruzione è la pratica di scomporre un’elaborazione concettuale in un insieme di concetti semplici allo scopo di analizzarli in modo comparativo e di relativizzarli storicamente; oppure - ma siamo sempre lì - è l’analisi delle diverse strutture formali (stilistiche, linguistiche, retoriche, ecc.) di un testo letterario allo scopo di evidenziare l’infinita “pluralità dei piani interpretativi”.
La mascolinità è per l’appunto un’elaborazione concettuale. Noi possiamo scomporla e relativizzarne le componenti. Qualche mese fa ti ho già raccontato qualcosa sulla decostruzione: ti ricordi? Qui.
In quel numero di Patrilineare ti spiegavo perché per il maschio è così importante la decostruzione (e la successiva ricostruzione, o come preferisco chiamarla, “riconfigurazione”). Dal punto di vista pratico, la decostruzione non può che cominciare con un “big bang” personale: rendersi conto del proprio privilegio.2 Se riesci a vedere il privilegio, quasi metà del lavoro è fatto. Un po’ perché dopo non puoi più “non vederlo”, e un po’ perché il solo fatto di vederlo fa crollare molte costruzioni culturali intorno al maschile. Poi - non mi stanco mai di dirlo - devi leggere molto e informarti su come il patriarcato sta fottendo anche te e non solo le donne e la comunità LGBTQIA+. E questa è una cosa che puoi fare nella confortevole penombra del tuo salotto.3
Poi però tutta questa consapevolezza la devi condividere con qualcuno, altrimenti rimane chiusa nella tua scatola cranica. E attenzione, non ho detto con qualcunə. Cioè, puoi tranquillamente condividerlo anche con qualcuna, o con qualcunə. Ma è meglio se lo condividi con qualcuno. Con altri maschi, insomma, oh! Che, come mi insegni tu, è la cosa più difficile del mondo. Però è importante discutere, confrontarsi con i propri cogenere, non tanto per mettere sul tavolo visioni contrapposte, ma per aiutarsi a vicenda in un percorso dove magari io sono un po’ più avanti di te su una cosa e tu sei più avanti di me su un’altra. Collaborare per evolvere insieme. Questa cosa, che sembra così assurda anche solo da pensare nella società patriarcale, in realtà la puoi fare in molti modi, a seconda di dove ti trovi in questo momento.
Il brutto di essere maschi è che si è tendenzialmente soli. In un saggio ormai esaurito degli anni ‘80,4 lo psicologo Michael E. McGill diceva all’incirca: “Un uomo su dieci ha un amico dello stesso sesso con cui parlare di lavoro, di soldi e di matrimonio; soltanto uno su venti ha un’amicizia maschile con cui parla dei sentimenti profondi”. Senza amici con cui parlare di sentimenti, il maschio ammutolisce, si comprime, non verbalizza, diventa violento, al limite si suicida. Ho semplificato all’osso, ma lo sai anche tu che è così. Esistono però dei luoghi - chiamiamoli “cerchi di condivisione” - in cui noi maschi possiamo esternare quello che abbiamo dentro… o almeno provarci. I primi che vengono in mente, i più famosi, sono la rete di Maschile Plurale, presente fisicamente in diverse città, e la community di Mica Macho, attiva soprattutto on line: ho intervistato più sotto uno dei suoi fondatori, così puoi renderti conto meglio del percorso.
Confrontarsi, discutere per capire meglio le cose e decidere quali vanno bene per te e quali no, condividere le esperienze: questo s’ha da fare. Io vivo a Torino, e nella mia città abbiamo Il Cerchio degli Uomini. Te lo sto dicendo soprattutto perché su questa esperienza fondamentale (che va avanti dal 1999) c’è anche un bellissimo documentario dell’anno scorso che puoi recuperare su RaiPlay.5 In generale tutte le associazioni di questo tipo nascono spontaneamente sul territorio per iniziativa di uno o più uomini a disagio con il modello di mascolinità proposto dalla società, oppure sono una emanazione di centri antiviolenza o centri di ascolto per uomini violenti. Se vuoi provare a contattare un cerchio di condivisione vicino a te, ti lascio qui i riferimenti di quelli che sono riuscito a trovare on line, così non hai più scuse.6
noino.org BOLOGNA
www.centrouominimaltrattanti.org FERRARA
www.centrouominimaltrattanti.org FIRENZE
www.associazionerelive.it FIRENZE
maschioperobbligo.it FIRENZE
www.whitedoveonlus.it GENOVA
www.associazionelui.it LIVORNO
www.vaeter-aktiv.it/it MERANO
www.noiuominiapalermo.it PALERMO
www.maschichesiimmischiano.it PARMA
www.nuovomaschile.org PISA
Ma questi sono solo i centri che hanno un sito web. Poi comunque trovi Uomini in gioco a Bari, il Cerchio degli Uomini di Milano, il Gruppo Uomini a Verona, Monza, Lucca e Viareggio… sai che ti dico, fai prima a guardare la mappa dell’Italia sul sito di Maschile Plurale e contattare via mail le associazioni, se no non la finiamo più.
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Indubbiamente Maschile Plurale è una delle associazioni con più storia: si è costituita nel 2007 ma al suo interno sono confluite diverse esperienze (come ad esempio quella torinese del Cerchio degli Uomini) che risalgono a volte ai primi anni ‘80, con movimenti anche di matrice politica o religiosa.7 C’è questo reportage di Internazionale di qualche anno fa, dove emergono molto bene la storia dell’associazione e i piccoli grandi smottamenti dovuti all’apertura ai maschi omosessuali, alla pandemia, al confronto con l’immigrazione. Abbiamo citato i centri antiviolenza: ti ricordo che se ne avessi bisogno puoi trovare tutte le informazioni sui siti della rete D.i.Re (Donne in rete contro la violenza) o - a livello europeo - del network WAVE (Women Against Violence Europe). Sono reti contro la violenza maschile, non contro i maschi in sé: vedi di capire presto la differenza.
Direi di chiuderla qua, altrimenti come al solito facciamo la newsletter da 20 minuti di tempo di lettura. Voglio dirti ancora solo questo: se il nodo più urgente per te è quello della paternità, c’è una risorsa europea dedicata. Si chiama 4E-Parent (le quattro “E” stanno per Equal, Engaged, Early, Empathetic) e anche qui puoi trovare una mappa interattiva con cerchi di condivisione riservati ai papà. A livello mondiale, invece, c’è Mencare.org che è un po’ la summa di tutto quello che ho segnalato qui sopra.
Io penso che mai nome fu più azzeccato per un sito come questo: men + care, gli uomini e la cura. Cerchiamo di fare in modo, tutti insieme, che questi due concetti non siano visti come antitetici.
Linkando qua e là
Articoli, post, notizie che mi hanno fatto pensare “aspetta che me lo segno per Patrilineare”…
Il ragazzo dai pantaloni rosa - © Eagle Pictures
Dalla Fondazione RIGEL arriva un webinar aperto a tutti previsto per il 7 novembre dal titolo Processo allo stupro: la vittima tra giustizia e pregiudizio. Lo tiene Loredana Garlati dell’Università di Milano Bicocca che è una persona splendida e promette di essere molto interessante. Già che ci sei ti faccio lo spottone: alla Fondazione RIGEL (che sta per “Rispetto Inclusione Genere Etica Lavoro”) ti ci puoi anche associare, sono 30 euro l’anno ben spesi e ci sono dentro anche io, pensa!
Voi con queste gonnelline mi provocate è un’inchiesta agghiacciante sulle molestie nelle scuole di giornalismo italiane che riguarda da vicino tutti noi che lavoriamo nel mondo dell’informazione. Prenditi il tempo di leggerla, l’avrai sicuramente già vista da , da o da ma te la rimetto qui perché è veramente fondamentale.
Omofobia a scuola: una piaga mai abbastanza presa di petto. Ci ha provato Margherita Ferri con Il ragazzo dai pantaloni rosa (basato sulla storia di Andrea Spezzacatena, il quindicenne romano spinto al suicidio dal bullismo dei compagni) ma a Treviso un gruppo di genitori ha ritenuto opportuno vietarne la visione ai figli. Inserisci qui una bestemmia a piacere. Ti lascio qui sotto anche il reel di che ne parla.
Sono usciti i dati ISTAT sulla natalità in Italia. Tutto molto prevedibile, no?
Si può chiedere lo SPID per entrare nei siti porno? In breve: it’s complicated.
E le coppie che hanno già iniziato la GPA, adesso, che faranno? Ce lo racconta Alessandra Pellegrini de Luca su Il Post.
Nel frattempo, in India, la corte suprema sta ancora ragionando su come e se criminalizzare lo stupro coniugale.
Infanticidi di ieri e di oggi: un crimine antico ma un disagio tutto moderno secondo Elisa Messina, che su Sette racconta la storia di Chiara Petrolini mettendo in filigrana un clima culturale che criminalizzando l’IVG genera nelle donne un senso di vergogna (grazie a Maria Elena per la segnalazione).
Sul Guardian, un interessante articolo sulla “maledizione” delle Boy Mum (le mamme di figli maschi). Leggilo anche se sei papà di figli maschi.
Sempre dal Guardian, un lungo approfondimento sui giovani elettori americani maschi e misogini della rust belt.
Francesca Florio su NT+Diritto (non esattamente la mia solita fonte) approfondisce il rapporto tra il reato di DNCII (Diffusione non consensuale di immagini intime) e i creator di OnlyFans. Anche se non sei un esperto di diritto penale, leggi e fatti un’idea.
Donna Moderna ha organizzato I Feel Good, un evento di sensibilizzazione sul body shaming. Qui alcune conclusioni tratte dai talk e dagli studi fatti.
Parlando di fonti inusuali, su Imbruttito.com ho trovato un’intervista a un educatore sessuale dal titolo Se mi bacia resto incinta? (perché sì, nelle scuole siamo ancora al livello della posta di Cioè).
In un nuovo rapporto, la Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI) chiede all’Italia di istituire un organismo di parità pienamente indipendente ed efficace.
Essere queer nel mondo arabo contemporaneo: l’introduzione di Sandra Cane al libro Arabə e queer su Il Tascabile.
Su Vanity Fair si tirano le somme di un importante evento organizzato da Mica Macho sull’empatia maschile negli ambienti di lavoro.
Crescere bambini liberi dalla mascolinità tossica: in sostanza, lasciandoli liberi di esprimere le proprie emozioni. Si può fare!
Carriera alias: un protocollo per modificare il proprio nome a scuola secondo un’esperienza ligure.
Su Cosmopolitan, Elena Quadrio intervista Madonnafreeda a proposito di femminismo e meme culture: interessantissimo!
Non c'è scusa biologica per la violenza di genere: Telmo Pievani su Lucy sulla Cultura smonta l’idea che il maschio sia “naturalmente” aggressivo. Ovviamente è una questione socioculturale.
Tre domande a… Gabriele Guadagna
Gabriele è uno dei fondatori del progetto Mica Macho, un pacchetto completo di libro (“Cosa vuol dire fare l’uomo?“) + community on line di ridefinizione di una maschilità alternativa: ha risposto per me ad alcune domande chiave sulla condivisione maschile.
Un sorriso “mica macho” ;-) - Screenshot YouTube
Ciao Gabriele, e grazie di rispondere a Patrilineare! Per cominciare vuoi raccontarci come è nato - e come è cresciuto - il progetto Mica Macho?
Il progetto è nato nel 2020, in realtà come un gruppo Telegram spontaneo tra persone che si conoscevano già, in concomitanza con dei fatti di cronaca che stavano accadendo in quel momento, questioni di revenge porn, sempre su gruppi Telegram. Quindi, in occasione di quell'evento alcune coscienze si sono smosse, hanno cominciato a confrontarsi tra loro e per pura casualità queste persone avevano tutte un background nella comunicazione online sui social… per cui è nata una pagina Instagram per divulgare, per raccontare pensieri e testimonianze riguardo la mascolinità e la decostruzione della mascolinità. Nel 2021, dopo un piccolo successo della pagina Instagram, siamo diventati ufficialmente associazione. Finita la pandemia abbiamo cominciato a poter uscire anche al di fuori dai social, a vederci dal vivo, a organizzare incontri ed eventi, anche laboratori, fino a quando a un certo punto abbiamo avuto l'opportunità di scrivere e pubblicare il libro “Cosa vuol dire fare l'uomo” per Edizioni Sonda. Da un paio d'anni ormai lo stiamo portando in giro… adesso non so dire se sono due anni di preciso - io li percepisco anche come dieci - che sono in giro per tutta Italia a presentarlo. Quello è stato sicuramente uno dei milestone più importanti dell'associazione, ma adesso siamo aperti anche a laboratori nelle scuole, eventi di tutti i tipi, anche molto grossi, organizzati da noi vicino alle sedi di Milano e Bologna perché siamo un po’ sparsi in tutta Italia…
La community on line e il libro sono due pezzi sicuramente importantissimi, ma cosa mi dici della condivisione di esperienze maschili? Cioè, mi sembra che il confronto tra maschi sia alla base del vostro progetto, o sbaglio?
Non sbagli, è proprio su questa condivisione che si fonda il progetto Mica Macho. Mica Macho nasce con il racconto di una testimonianza, una esperienza personale raccontata da un uomo a un altro uomo. Questo è un atto, nel suo piccolo, anche molto rivoluzionario, perché effettivamente la condivisione di una parte di sé molto intima tra uomini è sempre stata socialmente ostacolata. Da lì nasce questa necessità di vedere se effettivamente questo problema, questa necessità di parlare con gli altri, era condivisa. Per questo abbiamo lanciato il canale Instagram: il fatto che abbiamo ricevuto e poi ripubblicato tantissime testimonianze di uomini che volevano far parte di questo coro, come noi, ci ha fatto capire che in generale come comunità stavamo facendo qualcosa che serviva, e che serviva a noi in primis, per stare meglio. Ed è proprio su questo fondamento che noi portiamo avanti tutto quello che facciamo. Mi rendo conto del valore di questa cosa sia nel privato che negli incontri di autocoscienza che facciamo online da due anni. Siamo appena partiti con la terza stagione, io di solito faccio il moderatore. Si inizia così: per rompere il ghiaccio, la prima cosa che faccio è esporre il fianco, mostrare la mia parte debole, in una parola mostrarmi vulnerabile. Questo instaura immediatamente un clima di fiducia nella stanza. Devo essere io il primo a dare fiducia ai partecipanti, permettendo loro di ascoltare e di vedere la mia parte debole: solo così ottengo la fiducia del gruppo e la condivisione può veramente iniziare.
Cosa vedi nel futuro di Mica Macho? Pensi a un qualche tipo di evoluzione che vada oltre i gruppi di autocoscienza maschile?
Sinceramente è un po’ difficile da dire, perché Mica Macho è una community fatta da tante persone con tante teste diverse e tanti obiettivi diversi, quindi soprattutto nel panorama di oggi è impossibile prevedere cosa potrebbe succedere. Personalmente, tramite il lavoro di Mica Macho e grazie all'aiuto degli altri membri dell’associazione, mi piacerebbe arrivare nelle scuole ai ragazzini, per intervenire fin da quella fase e proporre un modello maschile alternativo. Ci sono diversi pubblici, diverse “nicchie” a cui ancora non siamo arrivati: potremmo arrivarci tramite l'uso di linguaggi diversi e soprattutto trovandoci nel punto giusto al momento giusto. Io credo che per esempio un ragazzino a scuola abbia bisogno sì dell'educazione sessuale e affettiva “verticale” da parte dei professori, come ci stiamo auspicando tutti che succeda; contemporaneamente però ha bisogno che io - con un progetto come Mica Macho - sia anche dove lui guarda quando si distrae e quindi è necessario in qualche modo occupare quegli spazi, rendersi maggiormente visibili dove quel tipo di pubblico normalmente sta.
Cosa mi gira in testa?
In questi giorni sto leggendo The Grocery di Aurélien Ducoudray e Guillaume Singelin, che poi sarebbe il primo volume della nuova collana “Cherry Bomb” di Bao Publishing curata da Zerocalcare. Io normalmente divoro i graphic novel, anche voluminosi, in poco tempo. The Grocery, nella sua inaspettata e apprezzata complessità, durerà ancora un bel po’ di giorni. I “pupazzi pucciosi”, come li definisce Zero, protagonisti di questo affresco criminale cupo e senza speranza possono trarre in inganno, fin dalla copertina. In The Grocery c’è sangue, violenza, nichilismo e una visione molto acuta della società americana. Se la collana continua così, ci sarà da svenarsi.
Una pagina da The Grocery © Bao Publishing
Al cinema il film da vedere adesso è ovviamente Parthenope, che ve lo dico a ffà, a me è piaciuto assai anche se non è che mi straccio le vesti. Sorrentino comunque in grandissimo spolvero, eh. In televisione non riesco più a vedere nulla perché mi addormento dopo dieci minuti dato che passo le serate a scrivere Patril- uhm… sono parecchio stanco.
Vabbe’ passiamo ai saluti che è meglio. Saluti ma soprattutto ringraziamenti, come sempre, per tuttə voi che inoltrate le mie mail ad altre persone, che animate il dibattito qui sotto nei commenti o mandandomi delle mail in privato (magari non rispondo subito a tuttə, ma prima o poi mi faccio vivo).
Ringraziamenti doppi a te che mi metti i soldini nella tazzina di Ko-fi qui sopra, e state all’erta, ché questi sono gli ultimi due mesi della “season two” di Patrilineare, dopodiché prevedo di rimescolare un po’ le carte… altrimenti sai che monotonia! Un bacio.