Chi ha paura dei bagni genderless?
Un'uscita un po' più leggera e sbarazzina in un periodo di pesantezza assoluta. La pipì come diritto universale.
L’inclusione alla toilette - Photo by Getty Images
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Buongiorno, io sono Pietro, questo è Patrilineare e oggi ti parlerò di cessi. Tuttə quantə andiamo al cesso, quindi è un tema assolutamente universale. Da circa un decennio, però, il dibattito sui cessi è diventato più acceso, perché anche i cessi - mi verrebbe da dire soprattutto i cessi - fanno parte di quei luoghi pubblici progettati per rinforzare il binarismo di genere (e non solo: progettati anche per favorire il maschio). Dai, si scherza… ma neppure troppo. Seguimi in questo episodio un po’ scatologico della newsletter.
Quello nella foto sopra è un bagno genderless, unisex, per maschi, femmine e persone trans, per bambini, anziani e persone disabili. Un bagno inclusivo. Sinceramente, è da quando sono piccolo che mi chiedo perché i cessi non siano tutti così: alla fine entri in uno stanzino e fai la tua cosa, non è che i bagni pubblici siano questo teatro di orge e pratiche sessuali non convenzionali.1 Questo tipo di bagni è già molto diffuso in alcuni paesi (UK, USA, Canada, per esempio) ed è un’evoluzione del concetto di servizi igienici “unificati” che troviamo anche in molti uffici italiani (un’area comune unica con i lavandini, due o più stanzini con WC segnalati come maschili o femminili).
Ma insomma com’è fatto questo bagno genderless? Niente di che: ha appunto uno spazio comune con lavandini, specchi, asciugatori e una serie di stanzini tutti uguali senza indicazione di genere. Così semplice? Eh. Però c’è dibattito, c’è preoccupazione, c’è divisione. Perché questi bagni genderless? E soprattutto, a che servono? Diciamo che la spinta arriva soprattutto dalla comunità di persone transgender, che se pure costituiscono una percentuale minima rispetto al totale della popolazione, hanno le loro esigenze e le loro problematiche: una di queste è poter fare pipì nel bagno che ritengono meglio opportuno. E i bagni divisi per genere in questo caso creano ovviamente un disagio. Inoltre, le persone transgender spesso subiscono atti di violenza proprio in questo contesto. Un cesso genderless è quindi più inclusivo e favorisce l’equità di genere. A volte è semplicemente una questione di segnaletica: che senso ha mettere gli omini quando si può indicare un bagno con le icone di WC, lavandini, orinatoi?
OK, mi dirai: i bagni genderless risolvono un problema alle persone trans. E con questo? Attenzione però: i bagni genderless hanno tutta un’altra serie di vantaggi a favore della totalità della popolazione. Ad esempio: le donne aspetterebbero di meno per entrare in un bagno. A parte il fatto che spesso i bagni per uomini sono il 20-30% in più di quelli per le donne, che gli uomini hanno a loro vantaggio anche gli orinatoi, e che le donne hanno oggettivamente più cose da fare in un bagno (pensiamo all’igiene mestruale, per dirne solo una), un bagno genderless con più stanzette garantirebbe un maggiore ricambio. Uno studio vecchio ma sempre valido riporta che il tempo medio di attesa per usare un bagno pubblico per un uomo è di 27 secondi, mentre per una donna è di 7 minuti e 40 secondi. In un bagno genderless il tempo medio si ridurrebbe a 36 secondi per tutti (a parità di vescica piena: poco di più per un maschio, il santo Graal per una femmina).
Cessi genderless alla Rhode Island School of Design - © Bruce Damonte
Un bagno genderless, poi, è un bagno dove un papà può portare sua figlia piccola (o una mamma il figlio piccolo) a fare la numero uno o la numero due in un contesto dove non sei per forza oggetto di sguardi di disapprovazione e fastidio. O dove unə caregiver può portare la persona anziana o disabile che accompagna in uno dei cubicoli. Per non parlare del fatto che costa meno creare uno spazio unico piuttosto che due spazi separati - basta avere qualche accortezza in fase di progettazione (un esempio su tutti: separatori che vanno dal pavimento al soffitto, per una maggiore privacy, oppure piccoli lavandini e contenitore per assorbenti in ogni cubicolo). C’è almeno uno studio di architettura che ci ha fatto una fortuna sulla progettazione di questo tipo di bagni.
L’installazione di bagni genderless permetterebbe di risparmiare costi vivi sulle pulizie: un po’ perché diciamocelo, la pressione sociale di avere persone di ogni genere nel cubicolo accanto spingerebbe chiunque a lasciare i cessi più puliti, e un po’ perché c’è un solo ambiente comune da pulire. Bagni genderless nelle scuole di ogni ordine e grado eliminerebbero alla radice molti episodi di bullismo che si consumano proprio in quegli ambienti, anche perché gli spazi comuni sarebbero frequentati da diverse persone che potrebbero testimoniare o intervenire.
Fin qui, i vantaggi. Poi ci possono essere anche dei lati negativi. Molti potrebbero provare disagio o peggiorare la propria sindrome da vescica timida: sarebbe ora però di debellare questo imbarazzo veramente “troppo italiano”. Tutti dobbiamo fare le stesse cose al cesso, indipendentemente dal genere, e sono tutte cose naturali. Molti si preoccupano che con i bagni misti i bambini potrebbero cadere nelle grinfie dei pedofili e le donne potrebbero incontrare ogni sorta di pervertiti. Io penso che lo shock culturale di essere finalmente tutti insieme e tutti presenti nello stesso posto dovrebbe anzi scoraggiare questa possibilità.
Le icone giuste al posto giusto © ARK-HLW
E per quanto riguarda gli orinatoi, tanto cari alla metà maschile dell’universo? Molti bagni genderless li includono, magari con pareti divisorie leggeremente più avvolgenti. Altri li sopprimono. D’altra parte se ci sono abbastanza cubicoli e sono abbastanza puliti nulla ci vieta di far pipì da seduti. Alla fine è solo una questione di cambiare qualche abitudine, di non affidarsi, anche in questo campo al pensiero malato del “si è sempre fatto così”. E poi sinceramente, se proprio bisogna essere omotransfobici, mi fa più paura un bagno per soli uomini con gli orinatoi tutti uno vicino all’altro dove vige il rito dell’occhiatina per vedere com’è messo il vicino di pisciata che non un bagno misto per maschi, femmine, cis e trans.
Ma quello che veramente mi fa ridere (a denti stretti) è il fatto che persino una questione come dove andare a fare la cacca e la pipì viene strumentalizzata dalla politica per creare paure e divisioni anche dove non dovrebbero essercene. Poi ci chiediamo perché si dice che il corpo è un campo di battaglia.
Linkando qua e là
Articoli, post, notizie che mi hanno fatto pensare “aspetta che me lo segno per Patrilineare”…
Barack Obama col ditino alzato - © APA/AFP/Ryan Collerd
Mentre scrivevo questo numero è passata la legge che definisce “reato universale” (bum!) la gestazione per altri. Curiosamente anche Giancoso qualche giorno fa mi parlava proprio dello stesso argomento (vedi più sotto). E allora, qualche riflessione. Innanzitutto si tratta di una legge che è uno specchietto per le allodole, un’esca per i gonzi, una strizzatina d’occhio all’elettorato che pensa che Meloni si sia ammorbidita troppo. Come sempre ai danni di una delle parti più deboli della società, peraltro: genitori intenzionali, etero o gay, che si troveranno magari a dover fronteggiare processi, multe, guai. Comunque una legge che avrà grandi difficoltà a poter essere messa in atto, soprattutto nel momento in cui in molte parti del mondo “civilizzato” la GPA non è illegale e anzi è regolamentata.2 E mentre oltreoceano per l’ennesima volta diventiamo la “curiosità del momento”, mi piace riportarti qui un articolo su LinkedIn di Enrico Sola che parla di tutt’altra cosa (la felicissima iniziativa del governo Meloni di deportare i migranti in Albania) ma che arriva alle stesse conclusioni: siamo di fronte anche qui a un perfetto caso di showboating politico.
A margine, mi piace metterti qui anche questo bel reel di Sofia Fabiani che offre un bel punto di vista sulla questione.
Barack Obama striglia i maschi afrodiscendenti: non è che niente niente vi dà fastidio avere una leader donna?
Ma il patriarcato non è esso stesso un’ideologia gender? Se lo chiede Laura Schettini su Il Manifesto considerando la potenza di fuoco del discorso mainstream sui generi, cui è opportuno contrapporre la “nostra” ideologia gender.
I femminismi e i transfemminismi esistono. Leggi questa bella lettera aperta del collettivo Lucha y Siesta, resisti e fai comunità.
L’11 ottobre è stato il World Coming Out Day: Elisabetta Moro su Cosmopolitan ha elencato le associazioni e i progetti LGBTQIA+ da sostenere, anche economicamente.
Fenix FC Barcellona: una bella storia di calcio transgender.
Fucksimile, rap contro la mascolinità tossica: già il titolo mi fa scassare!
Un confronto tra public art differenti: a Napoli il Pulcinella patriarcale di Gaetano Pesce,3 a Leeds la scultura a “nastro” di Pippa Hale che celebra donne e femminismi.
L’educazione sessuale e affettiva non è solo una questione da ragazzi.
Sempre per la serie: normative che non lo erano, il comunicato stampa di AGCom sull'accertamento della maggiore età on line. Un po’ di fuffa tecnica di difficile applicazione… vedremo se Pornhub si impensierirà.
su The Vision prende spunto da Tupperware per tracciare la storia del rapporto tra emancipazione femminile e multilevel marketing: molto interessante!Ms. Magazine parla di “pleasure inclusive sex education”: vuoi vedere che anche in USA si stanno accorgendo che l’educazione sessuale tutta basata sul terrore di gravidanze e STD non è l’approccio giusto con i giovani?
Squillino le trombe e rullino i tamburi, ho trovato un altro maschio etero e cisgender che scrive una newsletter con gli stessi obiettivi di Patrilineare! Diversamente maschio di
: io mi sono iscritto, e tu?Dialoghi con Giancoso
Caro, vecchio Giancoso. In fondo questa newsletter è soprattutto per te, che non la leggerai mai perché “non sono cose che ti competono”. Finché non ti senti in dovere di esprimermi la tua opinione a gran voce nelle orecchie. E allora.
Photo by wayhomestudios - Freepik.com
Giancoso - Io ‘ste famiglie arcobaleno non le capisco: non pensi anche tu che sia meglio avere una mamma e un papà come tutte le persone normali?
Patrilineare - Guarda, no. Parto dal fondo perché hai detto una delle cose che mi disturbano di più. “Le persone normali” è una locuzione che detesto: fidati, non esistono le persone normali. Esistono miliardi di persone tutte differenti. La rilevanza statistica non è indice di normalità. Nessuno vuole cancellare la bella famiglia tradizionale con mamma papà e due figli. Semplicemente esistono anche altri tipi di famiglie, con due papà, con due mamme, con un genitore single, con una mamma cis e un padre trans, o viceversa con un papà cis e una madre trans… Ognuno ha il diritto di considerarsi famiglia, di costruire un progetto di famiglia con l’amore (ingrediente principale) e se necessario con l’aiuto dell’adozione o di una gravidanza surrogata. Perciò no, non è “meglio” la famiglia tradizionale (a volte è persino peggio, perché non è che la mamma e il papà etero e cisgender siano immuni da situazioni critiche come la violenza domestica). Ogni famiglia è una famiglia, punto.
Giancoso - Ma l’utero in affitto è una cosa aberrante, dai. Ormai siamo al supermercato dei bambini!
Patrilineare - Ah, Giancoso, che bello, due cazzate populiste in una sola frase…! Utero in affitto, supermercato dei bambini… OK, dai, ho capito che vuoi usare l’argomento del tardo capitalismo, del “tutto è in vendita” e via dicendo. Certo, esiste una domanda e quindi esiste anche una offerta. Ci sono paesi dove la maternità surrogata è un reato (per esempio da noi) e altri paesi dove è una pratica consentita, e - ovviamente - molto regolamentata. Capisco bene il timore dello sfruttamento, che è un aspetto della questione. Ma dove la pratica è legale non viene vista e agita come un’esperienza degradante per la donna. Ti do atto comunque che è un tema molto delicato, ma sulla condizione delle donne che si rendono disponibili a diventare surrogato gestazionale sinceramente né io né te dovremmo mettere becco. Se invece ce l’hai con le coppie gay, ti assicuro che avere due papà non fa male a nessuno, che per un bambino non significa “cadere in mano ai pedofili” e che non fa cambiare orientamento sessuale come per magia.
Giancoso - Vabbè ma se diamo gli stessi diritti a tutti, scusa, dove andiamo a finire?
Patrilineare - E invece se non diamo gli stessi diritti a tutti? Quando mi dici così ho l’impressione che tu pensi che i diritti sono una quantità finita. Che una volta che li abbiamo noi non possiamo estenderli a qualcun altro perché poi, mio dio, finiscono e non ce ne sono più! Abbiamo finito i diritti, e adesso dove andiamo a prenderne di nuovi? Vediamo se la vicina del piano di sotto ha un po’ di diritti da prestarci? Ma dai. Non è che se concedi la cittadinanza a un bambino migrante di seconda generazione hai meno diritto di cittadinanza tu. Non è che se una coppia omogenitoriale può adottare un bambino improvvisamente non puoi più farlo tu. Non è che se una persona trans può cambiare nome sui documenti - e ti chiede di chiamarla con il nuovo nome - tu perdi improvvisamente la tua identità. Non credo nemmeno che se si depenalizzasse la maternità surrogata tua moglie e tutte le donne eterosessuali e cisgender fertili del belpaese correrebbero a farsi fecondare per portare avanti gravidanze conto terzi. Il punto è solo uno: tu pensi di essere quello normale e che solo “i normali” meritino di esercitare dei diritti. E torniamo al punto di partenza. Normale è morto, se mai è esistito. Fattene una ragione.
Cosa mi gira in testa?
Ho visto Il robot selvaggio di Chris Sanders e devo dirti che da decenni non vedevo un film d’animazione che mi colpisse così tanto al cuore, per temi (genitorialità “difficile”) e per stile (uno strano e ipnotico mix di alta definizione e pittoricismo impressionista).
L’atmosfera, per dire - © Dreamworks Animation
È stato un bel momento padre-figlio al cinema, se escludiamo il fatto che due biglietti (di cui uno ridotto), due popcorn e una bottiglietta d’acqua hanno totalizzato la bellezza di 35€. Poi si chiedono perché la gente sta a casa propria a guardare Netflix. Comunque: qui ne parlo un po’ più dettagliatamente e qui sotto favorisco il trailer.
Invece, sto aspettando Halloween per vedere Terrifier 3 di Damien Leone4, il che mi pone in una condizione di leggero disagio. I miei generi preferiti, lo dico sempre, sono l’animazione, l’horror e il musical (perché sono i tre generi in cui la realtà può essere manipolata a piacimento e dove l’immaginazione è al potere, come si diceva una volta). E quando dico horror intendo robe anche pesanti. I film di Damien Leone sono molto pesanti - l’equivalente visivo di un album dei Napalm Death o dei Carcass, per intenderci (il trailer fallo partire solo se non hai mangiato nulla, mi raccomando).
Art il Clown per me è l’unica vera icona horror del nuovo millennio, degna di stare allo stesso livello di Freddy Krüger, Jason Voorhees, Michael Myers e compagnia assassina. A un livello di splatter ed effetti prostetici che mette l’asticella veramente in alto, però, io (e non solo io) ci vedo anche una velata misoginia: Art si accanisce sadicamente sulle belle ragazze, un po’ come gli antieroi di quei fumetti anni ‘70 tipo Oltretomba, Necron, Sadik o Kriminal che oggi sarebbero semplicemente improponibili.5 C’è anche da dire che la sua nemesi Sienna (l’attrice ed esperta di arti marziali Lauren LaVera) non è semplicemente la solita final girl ma un’avversaria di tutto rispetto. Per ora la saga di Terrifier garantisce sangue e viscere a fiumi: è il classico film il cui marketing usa come value proposition “diverse persone sono uscite vomitando dalla sala”. Vedremo se il suo successo sarà una cosa “da incel” o se Art inizierà a smembrare anche qualche baldo giovanotto.
Grazie di aver letto fin qua (se hai vomitato per il trailer di Terrifier 3, scusami, ma ti avevo avvertito) e ci sentiamo prestissimo. Se puoi, diffondi Patrilineare: invialo a qualcuno che conosci, o anche a qualcuno che non conosci, così, senza un vero perché.
Grazie anche a chi non si sente di commentare qui sotto ma poi mi scrive delle belle mail (non vergognatevi, dai) e grazie soprattutto a chi mi lascia un obolo su Ko-fi. Buon tutto.
Leggendo le statistiche sui tempi d'uso dei bagni tra uomini e donne, la prima cosa che ho pensato è: quante donne usano già i bagni degli uomini quando le file delle donne sono lunghe? Capita spesso di farlo nei locali o durante gli eventi - ci si mette d'accordo in un attimo e non mi è mai capitato che gli uomini si lamentassero della condivisione. Questo per dire che ci sono già molti contesti in cui si concorda sull'utilità dei bagni genderless... sarebbe così bello ufficializzarlo e rendere le cose più facili per chiunque!
Grazie mille per la citazione Pietro. Questa newsletter in realtà è un punto di partenza perché vorrei far diventare Diversamente Maschio un movimento/associazione per aggregare i maschi che vanno in questa direzione e fare di più che ispirare (anche se già questo è un traguardo). A Roma mi sto muovendo con istituzioni locali, ancora e’prematuro ma vorrei organizzare degli eventi di sensibilizzazione e poi una “casa” per muoverci insieme e cercare di fare formazione più capillare. Che ne pensi ? Potremmo fare rete? Per ora sono patrocinato da Superminus un’associazione fondata da una avvocata molto in gamba.