Attivismo e barbarie
Come e da quando "attivista" è diventato un insulto (come "buonista")? Ha senso agire singolarmente per il cambiamento sociale? Cioè, parliamone.
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Ciao e buon sabato! Spero che questa mail ti trovi bene, come si suol dire anche con una punta di ironia…1 Un pensiero speciale se mi leggi dall’Emilia Romagna: in questo caso spero veramente che le parole che scrivo possano contribuire ad asciugarti almeno un po’.
Oggi volevo parlarti di attivismo: fare attivismo, definirsi un attivista, cose di questo genere, che mi ronzano un testa da un po’. Parto dalla definizione di attivismo, così ci capiamo subito: un'attività, una pratica, finalizzata a produrre un cambiamento sociale o politico, generalmente attraverso forme di protesta o dissenso, ma non solo. Fare cose, quindi, ma farle per produrre un cambiamento di qualche tipo. E fin qui, potevi consultare Wikipedia.2
Recentemente però ho frequentato uno di quei corsi che fanno accumulare crediti per l’Ordine dei Giornalisti (sì, abbiamo anche una quota obbligatoria di formazione su base triennale, anche se non sembrerebbe). Si trattava di un corso sull’impatto sociale del giornalismo. Ora, perdonami, ma anche qui bisogna che ti dia una definizione di “impatto sociale”, anche perché molta gente pensa che sia solo fuffa. Si parla di impatto sociale per indicare gli effetti a lungo termine, positivi e/o negativi, primari e secondari, previsti o imprevisti, prodotti direttamente o indirettamente da un intervento di sviluppo. Cosa intendiamo per intervento di sviluppo? L’impatto sociale è un concetto che viene spesso tirato in ballo quando si parla di finanza, di ricerca e sviluppo nelle imprese, quindi per fare un esempio banale se io decido che i miei scarti di produzione possono essere riciclati per sviluppare un prodotto ecosostenibile e magari anche figo, creo un impatto positivo (e in questo caso anche previsto e prodotto direttamente) sulla società.
E arrivo al punto: l’impatto sociale del giornalismo è un impatto prodotto… da un articolo, da un reportage, magari da una newsletter. Ed ecco che mi sono sentito chiamato in causa. Io scrivo per me stesso? No, questa è una balla cui non credo più. Ovviamente scrivo per qualcuno. Ma soprattutto: scrivo per cambiare qualcosa? Rispondere a questa domanda mi crea un vago e persistente imbarazzo sabaudo,3 però… dopo più di un anno di newsletter direi di sì: nel mio piccolo spero di avere un impatto sociale. E questo mi rende anche, in una certa misura, un attivista.
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Ma “attivista” oggi è quasi un insulto personale, un po’ come “buonista”. O meglio, è un insulto che una certa parte politica rivolge a chi fa cose percepite come troppo sbilanciate dalla parte politica opposta (con buona pace del fatto che esiste da decenni un attivismo di destra4 tanto forte e diffuso quanto quello di sinistra). In quel corso che ho seguito, si andava poi a parare sul tracciamento e sulla misurazione dell’impatto (roba complicata). Quello che mi interessa di più è la questione della dimensione personale e di quella collettiva. A livello personale mi pare che se io mi definisco un attivista - o qualcun altrə mi definisce tale - improvvisamente mi trasformo in un jukebox di opinioni che devono sempre, costantemente ribadire la mia posizione, come a dire “hai voluto la bicicletta, ora pedala”. Ma l’attivista non è “un lavoro”.5
Se unə sente di voler fare attivismo, a livello sociale, politico, di diritti umani o animali, di giustizia climatica, e chi più ne ha più ne metta, dovrebbe essere libero di farlo. Ma farlo da soli è un po’ sterile… ossia, ha uno scarso impatto sociale. Collettivamente, siamo tutti arrabbiati come la ragazza del cartello in cima alla mail. Il problema è che siamo arrabbiati - anzi furiosi - l’uno contro l’altro. Non è (più) così comune essere arrabbiati “insieme”. Può stare sulle palle l’attivismo da “zuppa contro i vetri dei quadri famosi”, quello da “graffiti sui muri della città”, quello da “sit-in allo svincolo dell’autostrada”. Sta sulle palle perché crea disagio, e quello è il modo migliore per massimizzare l’impatto sociale. Anche a rischio, ovviamente, di un impatto negativo.
Per chi si definisce - anche solo un po’ - attivista, mettere in atto pratiche collettive, come anche semplicemente partecipare a una manifestazione o un corteo (cosa che negli ultimi anni, dopo un lunghissimo periodo di disincanto, sto facendo sempre più perché ne sento proprio il bisogno fisico) è un modo per moltiplicare la propria voce e unirla a mille altre, sentendosi anche meno solə. Ovviamente però, in una società che non fa più politica a nessun livello e che anzi è in balìa dei venti dell’antipolitica e del populismo, l’attivismo è visto come una cosa da stigmatizzare; per esempio manganellando studenti di 14 anni, ostacolando il lavoro di ONG, imponendo laddove possibile un pensiero unico. E quindi, tornando a me: che mi resta da fare?
Scrivo, cerco di vivere in un certo modo e colgo le occasioni di dissenso collettivo che mi capitano sottomano cercando di non farmi legnare. E aspetto che passi la nottata.
Linkando qua e là
Articoli, post, notizie che mi hanno fatto pensare “aspetta che me lo segno per Patrilineare”…
“La follia woke” di Salvador Dalì6
Come spesso accade,
su Fanpage chiarisce bene il punto della situazione. La risoluzione contro “il gender” nelle scuole è una cagata senza senso, l’ennesima crociata della destra contro una cosa che… non esiste.A proposito di “ideologia gender” e “follie woke” (due locuzioni ridicole che la destra usa molto spesso) non posso fare a meno di segnalarvi un “ritorno sul luogo del delitto” da parte del podcast di Vera Gheno, Amare Parole - lo ascolti qui sotto.
Nel frattempo, nelle scuole italiane arrivano i codici contro bullismo e cyberbullismo, in conformità alle linee di orientamento del ministero dell’Istruzione (legge 70 del 2024).
“Trasformare la scuola grazie all’educazione sessuale”: è il titolo della recente uscita della newsletter Diritti sessuali a cura di
e : una lettura che apre il cuore e che vi consiglio vivamente (oltre come sempre a consigliarvi di iscrivervi a Diritti Sessuali tout court).Confesso di non averci mai capito nulla del mercato dell’arte contemporanea (la apprezzo e ne godo, ma non capisco quanto vale). Su We Wealth - non una fonte tra le mie consuete - si parla nello specifico di arte contemporanea queer e di quanto muove in termini di soldi.
Come funziona nel dettaglio il contrasto a hate speech su Meta: ne parla Chiara Rossi su Start Magazine e il quadro che emerge non è proprio rassicurante… evidentemente c’è ancora molto da ragionare.
Una vignetta di Michela Negri realizzata per Donne x Strada, che racconta il “tornare a casa la sera da sole” dal punto di vista di un maschio a caso che passa: bella! Grazie a Irene per la segnalazione!
Femministe russe contro la guerra su Micromega: un articolo che evidenzia i rapporti tra patriarcato e militarismo e introduce il concetto di “violenza lenta”.
Pierre Haski su Internazionale scrive di donne iraniane e afgane e di come non dovremmo mai dimenticare quanto la loro lotta continui e sia durissima, mantenendo alta l’attenzione.
Riflessioni sul patriarcato morente da Alberto Leiss sul Manifesto. Nel pezzo si cita un film che consiglio a tuttə: Il popolo delle donne, di Yuri Ancarani con Marina Valcarenghi. Favorisco qui sotto il trailer.
Le maglie si stringono intorno ai fratelli Tate. Nonostante i guai giudiziari, però, la loro influenza è purtroppo ancora molto forte.
E a proposito delle propaggini più oscure della manosphere italiana interviene Francesco Gerardi su Rivista Studio: su YouTube siamo passati dal dominio di PewDiePie a quello di Mr. Beast, ma questo è solo il volto solare di un sottobosco di creator misogini ed estremisti che imbevono di contenuti il linguaggio stesso della generazione Alpha. Da Andrew Tate in giù fino agli emuli nostrani è importante seguire le tracce dell’odio per capire che maschi stiamo crescendo.
Gli attivisti (toh!) del gruppo britannico “Dad Shift” hanno appeso dei bambolotti in fasce alle statue in bronzo della capitale, per sensibilizzare opinione pubblica e politici sull’inadeguatezza del congedo parentale maschile (che da loro è peggio che da noi).
Parla la generazione Alpha: su Vox un lungo e interessante pezzo su come i nostri bambini (quelli che stanno entrando nell’adolescenza ADESSO) non siano così bruciati come li si dipinge. Tra l’altro uno dei pochi pezzi che ho letto di questo tenore dove viene lasciato spazio proprio alle voci degli Alpha stessi. Skibidi!
Ecco l’ennesima cosa di cui devo vergognarmi, da torinese: la “stanza per l'ascolto” aperta nell’ospedale ostetrico ginecologico Sant’Anna. Su questa aberrazione, il 28 settembre ci ritroviamo tuttə con Non una di meno Torino.
Last but not least, sul sito del Ministero della Giustizia c’è il referendum sull’introduzione dell'insegnamento scolastico dell'educazione sentimentale in tutte le scuole di ogni ordine e grado, statali, private e paritarie. Se clicchi sul link ti serve lo SPID a portata di mano per firmare digitalmente. Io ho già fatto, vediamo di raggiungere presto le 500.000 firme!
Dialoghi con Giancoso
Giancoso è tornato, ed è più in forma che mai. Io ci voglio bene a Giancoso, anche perché non posso pretendere che tutti i miei amici condividano la stessa pazza bolla woke. Il problema è quando i Giancosi del mondo mi stressano tutti insieme, ma quella è un’altra storia.
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Giancoso - Ma li hai visti questi che escono da scuola? Guardali! Tutti fluidi adesso, capisci? Vedono sti transgender in TV e li vogliono imitare!
Patrilineare - A parte che ə transgender al massimo lə vedono su YouTube o su TikTok, perché sai… non è che sotto i vent’anni guardino molto la TV generalista. O magari ti riferisci a qualche serie TV su servizi di streaming dove - dio non voglia - ci sono personaggi trans o non binary. In ogni caso dovresti guardare la cosa da un’altra prospettiva. Hai proprio un’opinione pessima della rigogliosa gioventù italiana se pensi che anche solo vedendo un personaggio che si veste in modo particolare, ha un orientamento diverso dall’eterosessualità o manifesta un’identità di genere non conforme alle tue idee venga la voglia improvvisa di “cambiare sponda”. La fluidità di genere che tanto ti inquieta è abbastanza un dato di fatto. L’identità di genere non è mai stata un interruttore maschio/femmina come ti rassicura pensare, solo che prima pareva male esternarlo, oggi ci facciamo meno problemi. Grazie al cielo pian piano ci evolviamo, magari vedi se riesci a non restare troppo indietro.
Giancoso - Vabbè ma in queste serie TV di adesso in ogni gruppo di cinque personaggi c’è sempre il personaggio gay e quello trans, non è normale!
Patrilineare - Intanto Giancoso ti dico bravo, che hai capito la differenza tra un personaggio gay e uno transgender, questo già ti fa onore. Forse statisticamente non sarà normale, non ci metto la mano sul fuoco. Però è una questione di rappresentazione. Te ne ho già parlato altre volte, tu sei abituato a decenni di prodotti culturali in cui l’eroe è come te, un maschio etero e cisgender. Come ti sei divertito tu con Sandokan o Saturnino Farandola7 potranno divertirsi loro seguendo (anche) le storie di personaggi che lə rispecchiano? Potranno vedere la loro vita, la loro sensibilità e le loro aspirazioni rappresentate su schermo? Che male ti fa, scusa… e ripeto: non è perché vedono questi personaggi che decidono di “diventare gay o trans”. Semmai lo sono da prima e vedendo questi personaggi si sentono meno isolati, meno rifiutati, più parte di una società dove le diversità convivono.
Giancoso - Ma seriamente, perché la diversity? Dovrebbero scegliere l’attore migliore senza mettere segnaposti per genere o razza, no?
Patrilineare - Qui scivoliamo in una questione spinosa. Sono d’accordo anche io che un bravo attore (o una brava attrice) può interpretare anche personaggi che non hanno il suo stesso orientamento sessuale o la sua stessa identità di genere (spero però che siamo d’accordo che un bianco che fa la blackface o che si tira gli occhi per fare “il cinese” è estremamente offensivo). Però: se al mondo esistono anche bravə attorə transgender o attorə dichiaratamente gay, perché non chiamare loro per il ruolo di un personaggio transgender o gay? Fai lavorare una persona che sicuramente è più in parte e può dare sfumature realistiche e non stereotipate al personaggio. Se poi ti riferisci a casi come quello di Bridgerton con il suo cast supermisto, direi che forse non hai capito la differenza tra una rappresentazione storica e un divertissement ironico e fantasioso.
Cosa mi gira in testa?
Sono molto preoccupato perché da quando il mio unico figlio, luce dei miei occhi, amore della mia vita, ha iniziato la prima media scuola secondaria di primo grado tutti ci dobbiamo svegliare tipo alle 6:30 e io non sono più abituato. Non sono più abituato dai tempi in cui lavoravo a Milano e dovevo farmi un’ora di treno e 20 minuti di metro prima di entrare in ufficio. Cioè: iniziano le lezioni alle 8, ma che ora assurda è per pretendere concentrazione da un ragazzino essere umano? Ed escono alle 13:55 affamati come lupi ma prima di arrivare a casa si fanno le 14:30… mi pare una follia. Scherzi a parte, questo ritmo di vita sta facendo sì che io non abbia più una vita. Alle 21, 21:30 al massimo, io che fino all’altro giorno andavo a dormire alle 2, sono già steso stroncato sul divano, col telecomando in una mano e la bava alla bocca.
Faccette © Sky Italia
Negli ultimi giorni le uniche cose che sono riuscito a vedere sono le audizioni di X Factor 2024 in “pillole” su YouTube, perché mi piace vedere le cose un po’ trash o commuovermi per i pischelli sfigati che poi ti sorprendono cantando da dio e soprattutto amo Manuel Agnelli che fa le faccette. E poi, stranamente, sono riuscito a rivedere senza (troppi) colpi di sonno Roma città aperta, Paisà e Germania anno zero di Rossellini (tutti su Mubi in versione restaurata, sia sempre benedetto Mubi, uno dei migliori abbonamenti che ho). Tu mi dirai ma sei pazzo, io ti risponderò che non è finita perché hanno anche Stromboli, Viaggio in Italia, persino La macchina ammazzacattivi.
È che sono film che guardavo all’università, di cui ricordo poche scene iconiche - quelle che conoscono tutti, la Magnani che cade sotto i colpi dei fascisti, il partigiano morto che galleggia sul Po, il piccolo Edmund che si getta da un palazzo bombardato8 - e invece c’è molto di più e a rivederli adesso, a trent’anni dalla prima visione (diciamo così obbligata, per studio) sono film estremamente moderni soprattutto nel dipingere il disagio di un’infanzia e una preadolescenza completamente fottute dalla guerra - quella stessa guerra che adesso facciamo finta di non conoscere solo perché sta a qualche centinaio di kilometri da noi. Ma - appunto - è sempre la stessa guerra, almeno per i bambini.
Dai, la chiudo qua: ti saluto con un grande abbraccio virtuale, ti ringrazio per l’attenzione che mi dedichi se sei una persona che mi legge da tanto tempo e ti ringrazio per la fiducia se sei una persona iscritta da poco.
In ogni caso non ti dimenticare di diffondere questa mail se ti è piaciuta: se non sai a chi mandarla prova con quel tuo amico che si lamenta che i giovani d’oggi sono tutti fluidi. Diversamente, mettimi un cuoricino o - se sei sull’app di Substack - regalami un restack. Se poi ci credi tantissimo, lasciami una monetina nel barattolo su Ko-fi (vedi gif qui sopra). Alla prossima!
Grazie per la menzione ✨💚